Una teocrazia imperfetta
Il caso Englaro e il caso italiano
di Alessandro Carrera*
Un mio collega che segue le cose italiane mi ha chiesto di spiegargli che cosa significa per l’Italia la controversia intorno a Eluana Englaro (che in America ha fatto capolino anche su CNN). Senza pensarci, istintivamente, gli ho detto che per capire l’Italia di oggi deve pensare all’America coloniale, prima della dichiarazione d’indipendenza. Finché è durata la Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana aveva un’importante funzione di mediazione tra il Vaticano e l’Italia. Venuta meno la DC la mediazione è saltata, e gli italiani si sono trovati esposti alla lotta che da allora, a Roma come nel resto d’Italia, si svolge tra due stati per il controllo dello stesso territorio. Il risultato è una situazione coloniale e una teocrazia imperfetta.
In una nota dello Zibaldone datata 1 dicembre 1825, Leopardi osserva che i romani e in generale gli italiani, per via del gran numero di papi non italiani che hanno avuto, sono l’unico popolo che non trova strano il fatto di essere comandato da un capo di stato straniero. Tale situazione di “pacifica e non cruenta schiavitù, e quasi conquista” (parole testuali) non solo è data per scontata, è anche obliata. Molti italiani non sanno affatto di vivere in una colonia e non in uno stato sovrano, che le curie vescovili agiscono sul loro territorio come agenzie coloniali, e che lo stato non è retto da governanti ma da governatori. Alcuni di questi governatori hanno mantenuto un certo grado di autonomia e infatti sono stati rimossi. Altri, come quello attualmente in carica, si vogliono distinguere per zelo e fanno di tutto per guadagnare crediti agli occhi del loro sovrano.
Che cosa vuole un potere coloniale? Riscuotere le tasse (l’otto per mille, pagato in anticipo dallo stato italiano, prima ancora di averlo incassato) e tener buoni i nativi. Non interviene a gestire la cosa pubblica. A tale scopo ha bisogno di una classe di colonizzatori collocati nei governi locali, nell’istruzione e nei media, e che avrebbero tutto da perdere se la popolazione locale alzasse la cresta e volesse prendere decisioni autonome. Non disponendo di un esercito, la potenza coloniale dalla quale l’Italia dipende fa di più e di meglio: sostenendo di essere l’unica istituzione in grado di interpretare il diritto naturale (ma se è naturale come può avere un solo interprete?) sottrae al popolo la possibilità di gestirsi come soggetto morale. Agli occhi di questo potere coloniale, la popolazione è fatta di indigeni senza autonomia decisionale e che devono essere guidati, premiati o castigati a seconda dei casi.
Vivo in America da ventun anni. Quando torno nel paese in cui sono nato, ogni volta che varco le porte di un’istituzione connessa alla gerarchia religiosa capisco di trovarmi di fronte all’unica classe dirigente che esista oggi in Italia. Sono svegli, colti, informati. Viaggiano, imparano, e hanno un’idea molto chiara dello scopo che perseguono. Tra loro vi sono serie differenze d’opinione, naturalmente, perché la Chiesa è una grande istituzione, tanto vasta al suo interno da poter essere reazionaria su alcuni punti e progressista su altri, nonché dotata, su alcune specifiche questioni, di maggiore buon senso dei governanti laici. Voglio solo far notare che questa classe dirigente, la sola attiva in Italia, non lavora per l’Italia ma per un altro stato, che i suoi rappresentanti sono agenti di una potenza straniera operante su un suolo colonizzato e che i funzionari indigeni, se in un momento di crisi devono scegliere tra la potenza coloniale e la colonia, sanno benissimo che la loro lealtà deve andare alla prima.
Le conseguenze di questa teocrazia imperfetta sono molteplici. Da un lato, la potenza coloniale costituita dal Vaticano, dalla CEI, dalla Compagnia delle Opere (stavo per dire la Compagnia delle Indie, ma del resto i gesuiti nel Settecento chiamavano le isole “le Indie d’Italia”) raccoglie tutti i benefici; dall’altro non si assume responsabilità spicciole. Non deve costruire ferrovie, risolvere crisi economiche o ripulire i cantieri dall’amianto. Questo è compito dei funzionari indigeni. Se falliscono, la colpa è interamente loro. La potenza coloniale aborrisce i dettagli, glielo impedisce la sua stessa superiorità morale. Molti studiosi della modernità, stranieri e non, osservano spesso che gli italiani non hanno ben chiaro che cosa sia la responsabilità individuale, e nemmeno di che natura sia il vincolo che lega il cittadino alla legge. Ma nessuno può crescere come soggetto morale e giuridico se ogni giorno constata che nemmeno i governanti da lui eletti sono padroni in casa propria, e che l’ultima autorità non risiede presso di loro, bensì presso i rappresentanti di uno stato straniero che lui non ha eletto e non avrebbe potere di eleggere.
La situazione di teocrazia imperfetta toglie agli italiani la dignità di decidere e quindi anche di sbagliare, affrontando da adulti le conseguenze delle proprie decisioni. Agli occhi della gerarchia coloniale gli italiani sono dei Renzo Tramaglino, tanto bravi e un poco sciocchi, e se non interviene Fra’ Cristoforo a dirgli che cosa devono fare non ne combinano una giusta.
Finché gli italiani non si renderanno conto di essere colonizzati non avranno nessuna speranza di diventare adulti. E nulla cambierà finché non verrà sottoscritta una Dichiarazione d’Indipendenza del Popolo Italiano. Che potrebbe cominciare ispirandosi a quella stesa da Thomas Jefferson: “Quando nel corso degli eventi umani diventa necessario per un popolo dissolvere i legami politici che l’hanno legato a un altro e assumere, tra le potenze della terra, lo statuto separato e uguale al quale le leggi della natura e divine gli danno diritto…”. Gli italiani potranno allora ascoltare quello che i loro funzionari ex-coloniali hanno da dire, e potranno loro rispondere: “Grazie, terremo conto del vostro parere, ma siamo indipendenti, siamo un’altra nazione”.
È difficile per due nazioni condividere lo stesso territorio, ma una nazione è formata dai suoi cittadini e dalle sue leggi, non dai suoi chilometri quadrati. E siccome la strada verso l’indipendenza sarà lunga e faticosa, intanto è bene che la Dichiarazione d’Indipendenza venga sottoscritta interiormente, cittadino per cittadino, che si faccia ricorso ad essa ogni volta che si tratta di prendere decisioni difficili, e che in ogni momento della giornata venga sempre tenuta in mente, stampata a caratteri d’oro, costi quello che costi.
*Alessandro Carrera, scrittore e critico, dirige il programma di Studi Italiani alla University of Houston, in Texas.
Houston, 11 febbraio 2009
Punto di vista molto interessante, essendo quello di un italiano che vede da una prospettiva diversa uno dei peccati originali che minano la nostra democrazia.
Laura
Questa condizione di sudditanza io la tengo sempre presente; mi consola e mi dà speranza sapere che esiste ancora chi, come me, non ha la vocazione del lacché…
sì, credo che siano trincee di civiltà che non vorremmo così arretrate ma che, proprio per questo, è necessario testimoniare
So (sappiamo) benissimo che siamo colonizzati ma il problema è:
si può democraticamente scrollarsi di dosso il colonizzatore in maniera indolore ? ovvero incruenta ?
Quale zecca lascerebbe spontaneamente il caldo corpo che la nutre ? Possiamo scacciarli senza schiacciarli? Sarebbe una santa guerra…ma…
eh sì, Luisa, tocchi il punto doloroso e concreto cui non riusciamo a dare risposte, tanto meno a ipotizzare soluzioni, per le gravi insufficienze, non dico della sinistra (basti pensare alle responsabilità del Togliatti ministro), ma della cultura laica che, a parte presenze marginali in cui mi onoro di essere, non riesce a costituire una massa critica di minimo peso sociale.
Una situazione in cui già dire la verità e chiamarla col suo nome, di colonia, può far riflettere qualcuno meno succube. Loro ci ignoreranno irridendo.
Forse l’analisi è un pò esasperata per alcuni aspetti.Per un altro verso la situazione è peggiore: i colonizzati non sanno di essere tali. Illudendosi di essere autonomi, non sentono il bisogno di lottare per divenirlo.
Ricevo da Giuliano Zosi questo commento, che provvedo a inserire per problemi tecnici del mittente. A.V.
Caro Adam,
mi associo a pieno a quanto è scritto su questo documento. Ci rendiamo conto, infatti, progressivamente di essere manovrati per bene, in una fitta rete di esperienze politiche che mostrano l’acuto combattimento, tra diverse fazioni, ognuna delle quali è convinta di avere la verità dalla sua parte. La Destra però sottolinea questa ostinazione a mantenere inalterati i dettami della Chiesa cattolica, che continua ad agire spesso occultamente sulla opinione pubblica, senza essere disturbata da una tendenza opposta, timorosa di dover fare i conti con il proprio credo religioso: vedi il caso di Rutelli e di altri. La religione di Stato opprime lo Stato di Diritto. Per questo ci troviamo ad essere in ritardo rispetto alle altre nazioni. Alcuni dalla Sinistra Democratica tentano anche una vivace opposizione, ma si capisce che non ci sono le idee laiche chiare, non c’è unità e coerenza di pensiero. Il Papa è sempre più presente sui mass-media, con dichiarazioni che il più delle volte sono perlomeno ovvie, e in alcuni casi col senso di oscurantismo medioevale. Purtroppo le speranze di salvare la situazione italiana in questo momento è fortemente handicappata da una sinistra inesistente. Sarà già un bene se la nuova legge sul caso di Eluana, possa apparire con qualche minima innovazione che tenga conto della volontà del cittadino di decidere coscientemente e autonomamente su come essere curato negli ultimi istanti della sua vita.
Certo, siamo una colonia, innanzitutto americana. Molto meno risaputo (occultato dagli insegnamenti religiosi) che siamo una colonia vaticana: perché per la maggioranza degli italiani i dettami della religione di stato non possono essere assolutamente discussi, vanno accettati esattamente come le cure dei medici. L’autonomia laica dello Stato viene però erosa ogni giorno di più dall’azione dell’attuale papa. Inutile sperare da questo governo una resistenza a questa azione, anzi. Tutto è nelle nostre mani, per quello che potremo fare per aiutare le forze di una sinistra semidistrutta.
Cari saluti
A presto
Giuliano Zosi
Un articolo che non ha la forza di costruire nulla… se il nostro Carrera proponesse un’alternativa utile, magari qualche Italiano adulto avrebbe il piacere di rispondere, magari ci sarebbe modo di riflettere e di controbattere. Così mi sembra tanto un’accusa ormai masticata da chi ha i denti cariati.
Grazie dei commenti, anche critici. L’articolo di Carrera ha il merito e l’obiettivo di far riflettere sui dati di fatto della sudditanza in cui siamo. Chi non li vede o non vuole ascoltare (non c’è peggior sordo…) è prono o adattato a tali dati. Chi li vede è spinto a desiderare il loro superamento, che non è frutto di qualche mago o di singole volontà, può essere solo frutto di tante piccole forze e processi che si incontrano e ricercano insieme davanti alla loro storia e ai denti d’oro che umiliano la loro umanità.
La forza di una società sana ed equilibrata sta nel riconoscere e distinguere i dati di fatto dalle opinioni, pur rispettabili. Lo sfacelo della nostra attuale società viva non nella sudditanza (?) al Vaticano, ma nel disorientamento filosofico e spirituale di tanti figli putativi di Carlo Marx che si sbracciano per tenersi a galla con fatica nel loro mondo puntellato da incertezze. La denuncia di sudditanze (ma siamo onesti, a che pro?) sono semplicemente una forma camuffata di antiliberalismo e rifiuto della vera democrazia (questo sì!).
Umiliare l’umanità è distaccarsi da essa con giudizi ‘tranchant’ che hanno la lungimiranza di una talpa, senza alcunché che possa esser morso davvero. Denti d’oro o non.
Può esserci un reale disorientamento nella sinistra per ben altri motivi, ma ciò non toglie che ci siano forze in Italia e certamente una di queste è il Vaticano, che storicamente hanno cercato di dominare le coscienze, caso ancor più grave oggi quando i toni diventano oscurantisti, dimostrando uno scollamneto dalle reali esigenze della gente e dalla loro volontà di libera autodeterminazione.
Grazie a Fabia per la risposta e alla lungimiranza di Roberto Mosca che ha capito tutto e ci ha finalmente illuminati!
Cari tutti, continuiamo questo dibattito, sono arrivati anche a me altri contributi e risponderò anche sul mio blog, segnalando anche a Carrera i nuovi commenti.
Per quanto mi riguarda sono d’accordo con quasi tutti gli interventi, ma vorrei soffermarmi su quello di Luisa Sax che secondo me tocca uno dei punti nodali della questione, non solo riferita all’argomento specifico del Vaticano a all’insieme della situazione italiana attuale. Io non credo che usciremo da questa situazione in modo indolore e incruento. Penso da tempo che l’uscita dal regime berlusconiano-fondamentalista-mafioso assomiglierà di più alla caduta del fascismo che non a un semplice cambio di maggioranza elettorale, ma ho anche la consapevolezza storica che i cambiamenti traumatici in Italia avvengono solo come trascinamento e conseguenza di rotture traumatiche a livello internazionale. A cominciare dal risorgimento, dove la capacità più grande fu proprio quella di inserirsi come un cuneo nelle contraddizioni europee. La stessa resistenza nasce dalla guerra, senza quella solo una esigua minoranza contestava il regime e senza l’avventura bellica Mussolini avrebbe governato fino allo soglie degli anni ’60. Non vedo all’orizzonte eventi internazionali traumatici a meno che la situazione economica precipiti a un punto tale, da suscitare rivolte popolari massicce anche nel contesto europeo.
Temo anch’io che questo regime, che grava sul corpo sociale con uno stracarico di parassitismi (drenati dal terziario, dai ceti politico e religioso e non ultima dalla criminalità), sia difficile possa disfarsi per implosione indolore. E’ peraltro un regime di cui è parte integrante la perenne giostra televisiva e dello spettacolo, con mezzi di distrazione e narcotizzazione di massa mai così ingenti e alimentati da un volume pubblicitario che dicono (Berlusconi docet) non costi niente a nessuno.
Allo stato è difficile fare qualunque previsione, se non che questa crisi scoprirà parecchi nervi.
A chi vede questi moti e nodi non resta, per ora, che collegarsi, resistere minimamente, chiamarsi fuori, testimoniare e vigilare.
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