Testi e contributi al tempo del Coronavirus – VI
Proseguiamo con questa sesta serie di contributi, dopo la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta del 21 marzo, del 27 marzo, del 10 aprile, del 16 aprile e del 5 maggio scorsi.
Vedi a
https://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/testi-e-immagini-al-tempo-del-coronavirus-1
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https://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/testi-al-tempo-del-coronavirus-3
https://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/testi-al-tempo-del-coronavirus-iv
https://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/testi-al-tempo-del-coronavirus-v
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In questo VI post sull’argomento, con testi che, alla sensibilità del poièin affiancano riflessioni sulla logica dominante del sistema economicosociale in atto.
Che sia evidente l’invisibile presenza del virus è superfluo ribadirlo. Ma nel corso di questi ultimi mesi è diventato altrettanto evidente un utilizzo del virus teso a esasperare un’atmosfera di sudditanza e paura, da parte dei poteri in atto, dal Governo ai grandi mass-media. Perché? Sono fantasie paranoiche fiorite dalle chiusure, dagli isolamenti e dalle limitazioni imposti ai diritti sospesi, consueti e garantiti dalla nostra Costituzione? O hanno qualche ragione e fondamento, evidenziati da giornalisti, osservatori, docenti e cultori di varie discipline? Un esempio di tali considerazioni è un articolo – tra i contributi che seguono – è quello di Giorgio Agamben, filosofo e docente emerito alla Sapienza di Roma.
Un altro è l’articolo del poeta Giuseppe Conte (solo casuale omonimia con l’attuale capo del Governo), cui segue il contributo reso al Senato dal prof. Alessandro Meluzzi (vedi link).
Ma sono anche tante altre evidenze – anche della cronaca – che spingono a confermare le ipotesi di una strumentalizzazione. È indubbio che – fino a quando saremo chiusi in casa – tutte le carenze dei governanti e le sofferenze dei governati, sono insuperabili e bloccati come da una lastra di ghiaccio sull’acqua gelida delle nostre paure.
Così, il nostro stato ansioso non fa che aumentare, anche se i governati ci innaffiano di parole rassicuranti. Perché, nel contempo, dei miliardi di sostegni economici promessi arriva poco o nulla. E, mentre siamo chiusi agli arresti domiciliari, siamo sommersi da opinioni dell’esercito del mainstream, corredati magari da foto vere o falsificate di comportamenti contrari ai dettami, oltre che da dati “scientifici” e possibili scenari peggiorativi prospettati da esperti garantiti nelle vesti di scienziati. Quello che rafforza le percezioni di un regime strumentale, è il coro monocorde dei media prevalenti, che escludono ogni ipotesi contraria, censurata o – se accolta – subito bollata come complottista e destituita di ogni credibilità.
Mentre, dunque, prosegue il ballo con mascherine di una difesa ideologica della salute, la struttura economica complessiva e milioni di Italiani sono lasciati in una condizione di crescente disperazione. È tale condizione che richiede forme di controllo sociale rigido e autoritario. Se gli Italiani continueranno a fare la rana immobile e bollita (come quella evocata da Chomsky) in questa pentola a fuoco lento, i problemi e le prospettive possono diventare devastanti. A vantaggio però di interessi (basta leggere i dati economici internazionali) che vogliono dare un colpo mortale agli Italiani già impoveriti. E, chi vuole, si consoli con accuse di complottismo, sovranismo…e altre etichette del mainstream.
Anche se estranea a queste tematiche, abbiamo ritenuto di inserire una lettera di Maryan Ismail a Silvia Romano, per la rilevanza di tale vicenda, anche rispetto agli altri gravi problemi in corso.
Adam Vaccaro
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Seguono testi e contributi di
Giorgio Agamben, Giuseppe Conte, Maryan Ismail,
Giancarlo Fascendini, Giuseppe Leccardi, Alessandro Meluzzi,
Ivano Mugnaini, Fausta Squatriti, Adam Vaccaro
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Giuseppe Conte (Poeta)
ORA SAPPIAMO COME SI IMPONE UNA DITTATURA TECNOLOGICO-SANITARIA. MA QUESTA È UNA VITA DISUMANA, SENZA IL SENSO DEL SACRO E L’AMORE PER LA NATURA E IO, COME DON CHISCIOTTE, MI RIBELLO, ALMENO SPIRITUALMENTE.
http://www.pangea.news/giuseppe-conte-editoriale-pandemia/
16 maggio 2020
L’EDITORIALE DI GIUSEPPE CONTE
L’uomo contemporaneo, non avendo più il senso del passato né visioni del futuro, tende a credere che il presente sia ineluttabile. E dunque tende ad accettarlo così come viene. Io no. Avendo speso la vita nella passione della letteratura e della poesia, dunque nell’auscultare l’anima e nell’interpretare e confrontare simboli, cerco di leggere nel presente i segni di ciò che lo trascende e che venendo da lontano prefigura ciò che potrebbe avvenire prossimamente. Io ho un sospetto. Lo dico chiaramente e assumendomi la responsabilità etica di ciò che affermo. Ho il sospetto che la crisi sanitaria che ha travolto e messo in ginocchio l’Italia e l’Occidente, arrivata con furia repentina, apparentemente inattesa e ora in via di attenuazione, e la crisi economica che ne consegue e che invece sta montando come nuvole nere prima della bufera, siano le prove generali di un processo che porterà alla progressiva disumanizzazione e desacralizzazione delle società, degli individui, della stessa vita sul pianeta Terra.
Non ho titoli per opinare in campo medico-scientifico. E ho pensato anche di non aver titoli per opinare in campo politico ed economico. Forse con troppa modestia, guardando al livello di cultura della nostra classe politica, con un parlamento e un governo zeppo di miracolati, arrivati dove sono per il principio che “uno vale uno”, immondo perché falsamente democratico, tirato fuori dalla testa arruffata e astuta di un comico in pensione, benestante e autodidatta. Anche gli economisti mi sembrano nel marasma, visto che si addentrano in tecnicismi inutili invece di dirci con franchezza che con la crisi sanitaria si avrà un trasferimento enorme di ricchezza che metterà alla fame milioni di lavoratori, commercianti, piccoli imprenditori, intellettuali, risparmiatori a vantaggio di chi opera ai vertici nel business della medicina, dei media elettronici e dell’e-commerce. Se già ora 85 persone fisiche detengono la ricchezza di tre miliardi di poveri Cristi, presto possiederanno la ricchezza di tutti gli abitanti del pianeta. Almeno questo è il disegno: poi c’è l’astuzia della Storia, che potrebbe non permetterlo. Le prove di disumanizzazione dovrebbero essere evidenti a tutti.
Abbiamo visto in ospedali colpevolmente privi di attrezzature adeguate medici lasciati soli a fare la terribile scelta di salvare o no un paziente in base alla sua età: dunque costretti a trattarlo come un oggetto, un mezzo per riequilibrare il numero di posti in terapia intensiva piuttosto che come una persona, un fine. È disumanizzante isolare gli anziani in orribili ghetti dove un minimo contagio può fare stragi. Non smetto di ringraziare il Signore dell’Universo per avermi dato la possibilità e la forza di mantenere la promessa fatta a mia madre, venuta a mancare a 98 anni compiuti, di chiudere gli occhi nel letto di casa sua, circondata di affetti. È disumanizzante declassare il valore della vita quanto più si prolunga nel tempo, disprezzare la debolezza del corpo, la limitata presenza sulla scena del consumo e della moda: del resto il succitato comico in pensione non aveva già vagamente proposto di togliere il voto agli anziani? Ed è disumanizzante, anche se tutti lo abbiamo accettato con senso di responsabilità, uscire per strada con il volto coperto come un rapinatore e con i guanti di lattice come un detective o un assassino, dover tenere la distanza di sicurezza da chiunque altro essere, fosse anche un amico o una persona amata. Non ci rendiamo conto che l’uso della mascherina abolisce il sorriso come la distanziazione abolisce la stretta di mano, segni che ci distinguono in quanto esseri umani? È disumanizzante negare come è stato fatto gli accessi ai giardini pubblici e al mare, toglierci paradossalmente, per proteggere i polmoni dal virus, il respiro della natura, della bellezza naturale degli alberi e delle onde. È stato disumanizzante chiudere teatri e cinema, luoghi dove la immaginazione collettiva elabora sogni e miti, massacrare l’universo dei libri, baluardo della formazione di individui e generazioni. E infine è disumanizzante la accentuata perdita del primato del lavoro, che dovrebbe essere sacro e inviolabile, e la conseguente formazione di sacche molto ampie di miseria disperata e di cieca alienazione. Anche se tutti oramai usiamo il telelavoro (lasciatemelo chiamare così, piuttosto che con l’ambiguo smart-working), ci rendiamo conto che con esso la virtualità rischia di prendere il sopravvento sulla nostra stessa corporeità, di farci diventare ombre e ologrammi.
È stata da tempo dimenticata l’energia dello spirito. Il suo primato, che Giuseppe Ungaretti, forte della sua visione poetica, invocava già nel 1950. Ora si comincia a vedere come anche il corpo potrebbe essere dimenticato in quanto fonte di forza, eros, piacere (D.H. Lawrence con la sua visionarietà che lo rende estraneo alla cultura media italiana lo aveva profetato) per diventare un oggetto governato da protocolli lavorativi, ingiunzioni ideologiche (quelle delle femministe estremiste, per esempio) e controlli sanitari forzati. La qualità della vita così si inabissa. E parallelamente si inabissa la qualità della morte. Chi non ha provato una sensazione mista di pietà e di orrore nel sapere quanti nostri simili morivano negli ospedali senza un volto caro vicino, nel vedere le colonne di camion che portavano via le bare ammassate, in silenzio, di notte, come se smaltissero merce avariata? Le porte delle chiese e delle moschee sbarrate sono state segni simbolici terribili anche per un non credente, perché, oltre a limitare la fondamentale tra le libertà che è quella di culto, hanno suggerito la superfluità del sacro, del rito, della preghiera.
La desacralizzazione della realtà è un fenomeno di immane gravità, come la scristianizzazione progressiva dell’Occidente, di cui nessuno si rende conto. Lasciatelo dire all’unico intellettuale della sua generazione che a quindici anni era iscritto al Partito Liberale, in Italia la cellula del PCI (mentre l’ideologia comunista generava il contrario di quello che aveva promesso, servitù e povertà) e la parrocchia (mentre il cattolicesimo continuava a fornire argomenti a certi oscurantismi) erano pur sempre luoghi di resistenza dell’umano. Il proletariato e la piccola borghesia vi trovavano uno scudo contro il nichilismo disumanizzante. Oggi il culto del Centri Commerciali è praticato da zombi incolpevoli, né proletari né borghesi, tutti burattini nelle mani lontane di poteri sconosciuti. Cacciato il sacro, si è cacciato dalla società il mistero, l’invisibile, l’energia creante, la visionarietà, la profezia, l’arte nel senso più alto: in sintesi, la parte più che umana, divina, magica dell’uomo. E cacciato il sacro, si è cacciato l’amore vero per la natura, per la bellezza delle foreste e dei mari, per lo spettacolo del cielo stellato, per l’armonia del cosmo che nessun ecologismo tecnologico, quello oggi di moda, può surrogare. Qualcuno mi dirà che esagero. Si è detto che non ho mezze misure. È vero, non ne ho, credo nelle mie idee da quando ero un ragazzo e le difendo sino in fondo. Walt Whitman non ebbe paura di apparire ridicolo, così fu omerico.
Nel mio piccolo, difendo da decenni le ragioni della poesia, della natura, del sacro, dell’anima, e leggo la realtà in base ad esse. E proprio per questo oggi ho un sospetto. Mi direte che si è trattato soltanto di una crisi sanitaria, che sta tutto per finire e tutto tornerà come prima, tra happy hour e shopping. Non so. Può anche darsi. Ma io sospetto che le prove generali di disumanizzazione e di desacralizzazione del mondo siano ormai avvenute: in qualunque momento lo spettacolo livido di un totale asservimento dell’uomo a forze tiranniche e invasive di ogni momento della sua giornata saprebbe come incominciare. Sappiamo ormai come si instaurerebbe una dittatura tecnologico-sanitaria che adducendo la necessità di una pletora di controlli per salvaguardare la nostra salute finirebbe per controllare perfino l’interno del nostro corpo, ci irreggimenterebbe, ci toglierebbe libertà, dignità, movimento, piacere, anima. In una parola, saprebbe come fare a sradicarci dall’umano. Si prepara a imporla la Cina? Si prepara Conte (che certo con i suoi modi versatili, innocui e gentili, farebbe volentieri il premier anche in un’Italia in mano alla Cina)? Si preparano a imporla i potentati economico-finanziari occidentali, il club degli 85 supermiliardari oggi ancora più super? A me non piacerebbe vederlo. Non so a voi. Ma il sospetto io ce l’ho. E sono pronto a esercitare, donchisciottescamente, tutta la resistenza spirituale possibile. Intanto quella.
Giuseppe Conte
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Alessandro Meluzzi
Meluzzi al Senato sui poteri in atto
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Ivano Mugnaini
Frammenti
These fragments I have shored against my ruins, Questi frammenti che ho eretto a protezione delle mie rovine. La traduzione del verso de La terra desolata di Eliot è libera. Ed è forse la sola cosa libera che posso permettermi in questi giorni di gabbie invisibili e inesorabili. O forse no. È libero, a suo modo, anche il pensiero che mi porta ad erigere con la mente frammenti di parole e pensieri a protezione della mente stessa, e del corpo, ad essa collegato.
La prima decisione, da quando è iniziato il contagio e la quarantena, è stata strana: mettermi a rileggere, con l’aggravante della lettura in lingua originale, La peste di Camus. Strategia autolesionistica, la definirebbe qualcuno. E forse è vero. Eppure, in quelle parole crude e sincere, scelte con precisione chirurgica, ho trovato il veleno ma anche le gocce dell’antidoto.
“Quando si chiusero le porte alle nostre spalle – scrive Camus – un sentimento individuale come quello della separazione da un essere amato, all’improvviso, dopo le prime settimane, fu quello di tutto un popolo, e, assieme alla paura, divenne la sofferenza principale di questo lungo tempo d’esilio”. Dalla consapevolezza della condivisione di una condizione innaturale nasce la riflessione che porta con sé, in modo inconscio, il cambiamento. “Il sentimento di cui nutrivamo la nostra vita, assunse un volto nuovo. Mariti e amanti che avevano immensa fiducia nelle loro compagne si scoprirono gelosi. Uomini che si ritenevano leggeri in amore ritrovarono la costanza. Figli che avevano vissuto accanto alle loro madri guardandole appena, misero tutta la loro inquietudine e il loro rimpianto nella piega del viso oppressa dal ricordo. Soffrivamo due volte, per la nostra sofferenza e per quella degli assenti, figli, spose, amanti”.
Eppure, ogni peste, reale o metaforica, ogni malattia, ogni ferita nella carne di un’epoca ha caratteristiche specifiche. Prosegue Camus: “Perfino la piccola soddisfazione di scrivere ci era negata. Tutta la corrispondenza era bloccata per timore che le lettere fossero veicolo d’infezione”. Oggi non è così. Le nostre gabbie, Internet, i messaggi, le chat, le immagini, le voci trasmesse via etere, possono diventare la chiave per uscire dalla gabbia dell’isolamento. Un fertile paradosso. A patto che si riesca a mutare di segno anche un’altra frase cardine de La peste: “Per settimane fummo ridotti a ricominciare senza tregua la medesima lettera, a ricopiare gli stessi appelli e le stesse raccomandazioni, fino al momento in cui le parole che erano uscite tutte vibranti dai nostri cuori si fecero prive di senso. Questo monologo sterile, questa conversazione arida, non sarebbe cessata con la fine dell’epidemia”.
Ecco, questo è il nodo da sciogliere, è questa la sfida. L’epidemia passerà, presto a tardi. Così come finirono, ad un certo punto, perfino i “quattro anni, undici mesi e due giorni” di pioggia di Cent’anni di solitudine. Quella pioggia che rese necessario “scavare canali per prosciugare la casa, e sbarazzarla dai rospi e dalle lumache, di modo che si potessero asciugare i pavimenti, e togliere i mattoni da sotto le gambe dei letti e camminare di nuovo con le scarpe”. Finirà anche questa pioggia invisibile fatta di paura, alienazione, solitudine. Ma finirà davvero solo se le mascherine che il contagio ci ha obbligato a indossare ci avranno insegnato a togliere le maschere che avevamo sul viso da sempre senza che nessuno ci obbligasse. Finirà se alla fine dell’incubo avremo imparato a sorridere con gli occhi. E, si sa, gli occhi riescono a sorridere solo se sorride anche il cuore. Finirà se capiremo, come ci suggeriva il drammaturgo che ha scritto e vissuto del Caos e della Follia, che “la vita non si spiega, si vive”; e che le cose minuscole per cui ci azzuffiamo se fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.
Ripartendo da queste consapevolezze, da questi frammenti eretti a proteggere le nostre pietre, possiamo provare, noi sommersi e noi salvati, a guarire dal male nuovo e passeggero e da altri, antichi, inveterati, che abbiamo lasciato penetrare da tempo all’interno delle nostre mura senza neppure provare a combattere.
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Giuseppe Leccardi
PARTITA A SCACCHI
Ogni giorno è una partita a scacchi
fatta di schermaglie e contromosse
con avversaria la sorella Morte
la posta in palio è la nostra vita.
Con le sembianze del Corona virus
è l’ombra che fa la prima mossa:
ci costringe in difesa con l’arrocco
per parare l’affondo dell’attacco.
Il ghigno è uno stridere d’ossa
che accresce l’ansia e la paura,
ma bisogna resistere, pensare.
trovare un varco fra Cavallo e Torre.
Se incrocia la Regina con l’Alfiere
farò fatica ad evitar lo scacco
che, fosse matto, significa la fossa.
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Giancarlo Fascendini
come il sospiro se una luce di faro
nel seguitare pacato di risacca
o una finestra accesa nella notte
da un treno verso dove, indifferente.
Come luna sbiadita e ombra di remo
che batte quietamente un’acqua inerte
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Maryan Ismail
Lettera a Silvia Romano
Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post. Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L’aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa. Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosidetto volto “perbene” Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo.
Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi. Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare NON ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa. Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro. Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura, l’impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare? Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche, yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda.
Comprendo tutto di Silvia.
Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere. E in un nano secondo. Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club Mediterranee… Nossignore è un incubo infernale, che lascia disturbi post traumatici non indifferenti. Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito ( che per cortesia non ha nulla di SOMALO, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura. La sua non è una scelta di LIBERTA’, non può esserlo stata in quella situazione. Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una sua sacralità intangibile.
E poi quale Islam ha conosciuto Silvia?
Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell’attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un’intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell’orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?
No non è Islam questa cosa. È NAZI FASCISMO, adorazione del MALE. È puro abominio. È bestemmia verso Allah e tutte le vittime. I simboli, soprattutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande valore. E quella tenda verde NON ci rappresenta. Quando e se sarà possibile, se la giovane Silvia vorrà, mi piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti, cibo, fogge, monili e abiti.
Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego,macawis, kooffi. I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che deriva dall’italiano). Ho l’armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia. Adoriamo i colori della terra e del cielo.
Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci , di poesie, di ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i nonni. Abbiamo anche parti terribili come l’infibulazione (che non è mai religiosa, ma tradizionale) , ma le racconterei come siamo state capaci di fermare un rito disumano. Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie, senza aiuti, fondi e campagne di sostegno. Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici, mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in somalo.
Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato. Della fierezza e gentilezza del popolo somalo. E infine ho trovato immorale e devastante l’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro. In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore.
Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura sono a tua disposizione.
Soo dhowaw, gadadheyda macaan
***
Fausta Squatriti
Sulla crosta del campo
seme germoglia
plausibili circostanze
nel sacco dei ricchi
stipati.
Ma chi è stato?
Nell’avanzo del giorno
il potere
cerca luogo esatto
apre fascicoli di falsi argomenti
infiora parole abusate.
E come ribaltare
conclamato rigore
senza infrangere il patto?
Oracolo stanco
sillaba veggenza senza stella,
deride malore di fantasma
in vena d’apparire.
Osanna.
*
Della cena l’avanzo
conservato per dopo
se ci sarà tempo.
E quale clemenza incide
lapide desueta
al suo stesso epitaffio
nel vicolo dei pezzenti?
Il peggio
deve arrivare.
Il sangue ricusa la corsa
accerchia intuizione.
Ti avevo detto
di respirare
normalmente.
Di belle intenzioni s’ingozza
il Palazzo
mentre il piccolo globo
delira.
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Giorgio Agamben
(dalla rubrica Una Voce, su Quod libet – 11 maggio 2020)
L’impero sociale della biosicurezza
Ciò che colpisce nelle reazioni ai dispositivi di eccezione che sono stati messi in atto nel nostro paese (e non soltanto in questo) è l’incapacità di osservarli al di là del contesto immediato in cui sembrano operare. Rari sono coloro che provano invece, come pure una seria analisi politica imporrebbe di fare, a interpretarli come sintomi e segni di un esperimento più ampio, in cui è in gioco un nuovo paradigma di governo degli uomini e delle cose. Già in un libro pubblicato sette anni fa, che vale ora la pena di rileggere attentamente (Tempêtes microbiennes, Gallimard 2013), Patrick Zylberman aveva descritto il processo attraverso il quale la sicurezza sanitaria, finallora rimasta ai margini dei calcoli politici, stava diventando parte essenziale delle strategie politiche statuali e internazionali. In questione è nulla di meno che la creazione di una sorta di “terrore sanitario” come strumento per governare quello che veniva definito come il worst case scenario, lo scenario del caso peggiore. È secondo questa logica del peggio che già nel 2005 l’organizzazione mondiale della salute aveva annunciato da “due a 150 milioni di morti per l’influenza aviaria in arrivo”, suggerendo una strategia politica che gli stati allora non erano ancora preparati ad accogliere. Zylberman mostra che il dispositivo che si suggeriva si articolava in tre punti: 1) costruzione, sulla base di un rischio possibile, di uno scenario fittizio, in cui i dati vengono presentati in modo da favorire comportamenti che permettono di governare una situazione estrema; 2) adozione della logica del peggio come regime di razionalità politica; 3) l’organizzazione integrale del corpo dei cittadini in modo da rafforzare al massimo l’adesione alle istituzioni di governo, producendo una sorta di civismo superlativo in cui gli obblighi imposti vengono presentati come prove di altruismo e il cittadino non ha più un diritto alla salute (health safety), ma diventa giuridicamente obbligato alla salute (biosecurity).
Quello che Zylberman descriveva nel 2013 si è oggi puntualmente verificato. È evidente che, al di là della situazione di emergenza legata a un certo virus che potrà in futuro lasciar posto ad un altro, in questione è il disegno di un paradigma di governo la cui efficacia supera di gran lunga quella di tutte le forme di governo che la storia politica dell’occidente abbia finora conosciuto. Se già, nel progressivo decadere delle ideologie e delle fedi politiche, le ragioni di sicurezza avevano permesso di far accettare dai cittadini limitazioni delle libertà che non erano prima disposti ad accettare, la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l’assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva mai sognato di poter imporre.
È evidente – e le stesse autorità di governo non cessano di ricordarcelo – che il cosiddetto “distanziamento sociale” diventerà il modello della politica che ci aspetta e che (come i rappresentati di una cosiddetta task force, i cui membri si trovano in palese conflitto di interesse con la funzione che dovrebbero esercitare, hanno annunciato) si approfitterà di questo distanziamento per sostituire ovunque i dispositivi tecnologici digitali ai rapporti umani nella loro fisicità, divenuti come tali sospetti di contagio (contagio politico, s’intende). Le lezioni universitarie, come il MIUR ha già raccomandato, si faranno dall’anno prossimo stabilmente on line, non ci si riconoscerà più guardandosi nel volto, che potrà essere coperto da una maschera sanitaria, ma attraverso dispositivi digitali che riconosceranno dati biologici obbligatoriamente prelevati e ogni “assembramento”, che sia fatto per motivi politici o semplicemente di amicizia, continuerà a essere vietato.
In questione è un’intera concezione dei destini della società umana in una prospettiva che per molti aspetti sembra aver assunto dalle religioni ormai al loro tramonto l’idea apocalittica di una fine del mondo. Dopo che la politica era stata sostituita dall’economia, ora anche questa per poter governare dovrà essere integrata con il nuovo paradigma di biosicurezza, al quale tutte le altre esigenze dovranno essere sacrificate. È legittimo chiedersi se una tale società potrà ancora definirsi umana o se la perdita dei rapporti sensibili, del volto, dell’amicizia, dell’amore possa essere veramente compensata da una sicurezza sanitaria astratta e presumibilmente del tutto fittizia.
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Adam Vaccaro
Perle
(a Ezio Bosso)
Arrivano parole come perle che non sai
se scendono o salgono lucide come
attesi sapienti inascoltati nel loro
canto – ché intanto tutti
gli altri piangono
vinti dal male invisibile
che dilaga in una pioggia infusa
a salse d’ansia asservite e chiuse alle
invisibili attese perle sapienti di salvezza
14 maggio 2020
Scusatemi, comprendo le preoccupazioni e apprezzo i vari tentativi di spiegare la situazione attuale, soprattutto i contributi al margine che in qualche modo tentano un’uscita, ma mi sembra anche che si faccia del catastrofismo all’incontrario, in cui le cause finiscono col diventare gli effetti. Io credo che questa situazione debba essere interpretata soprattutto riferendosi a quanto dice la scienza in merito, e difatti le norme di comportamento danno risultati quando la politica si attiene alle indicazioni di chi ha competenza. Siamo in una reale situazione di emergenza, e in casi di emergenza non si può andare troppo per il sottile su molte cose. E’ vero che tutti i problemi del mondo restano invariati, e certo sarebbe il caso di affrontarli, ma ciò non esclude che la situazione non va sottovalutata.
Per chi volesse capire qualcosa di più preciso consiglio questo articolo da poco pubblicato da Le Scienze:
http://nl.kataweb.it/e/t?q=0%3dIYGZI%26F%3dBY%263%3dXGeLb%26z%3dcFVCeJ%26O%3dsQ9J4_Ofwa_Zp_Lbze_Vq_Ofwa_YuQ8T.1940x9yWt.C5_Ofwa_YuHpT8_Lbze_VqYOVK_Ofwa_YudF_Ofwa_8p5lYudI_Ofwa_YuHpT8_Lbze_VqPpL4-_04P-C_9xIwLvCl_Jt7n83C4Jx_I3FvCyB_2O58ECzKx-XHYJUEg_7udw_G0%26o%3d%26F8%3dYKbFU
Ciao Giacomo, la situazione è tale che ben venga il confronto di opinioni e valutazioni diverse. Ci sono sensibilità e anche fonti alternative cui ognuno può far riferimento. Una cosa è certa: non ci sono verità indiscutibiili, nemmeno quelle spacciate come scientifiche. Visto che altri autorevoli esponenti della scienza esprimono giudizi diversi. Oltre a ciò, le condizioni concrete di ampi settori sociali stanno peggiorando gravemente. E le carenze dell’attuale governo sono evidenti e denunciate anche da chi ha avuto atteggiamenti benevoli. Nel contempo chi esprime critiche o ipotesi alternative è escluso dai mille dibattiti profilati dal pensiero pressoché uniforme del mainstream. Non si tratta perciò di catastrofismo, ma di difendere minimi spazi di apertura al confronto tra opinioni diverse. Questo virus, insieme alla salute rischia di diventare occasione di minacce – già in atto da qualche decennio – a democrazia e stato sociale a protezione dei più poveri. Questi timori denunciano o dicono i contributi che ho voluto ospitare e che – lo spero vivamente! – sono il primo a sperare che rimarranno infondati.
Certo Adam, sai bene che apprezzo molto ciò che fai in genere, ed anche in questo specifico caso, per tenere vivo un dibattito che è sempre necessario. Considera quindi anche queste mie intrusioni alla stregua di contributi al dibattito.
Tuttavia qui non si tratta di esprimere opinioni alla pari, nessuno di noi è in grado di controbattere alle opinioni dei migliori scienziati del mondo, sarebbe una presunzione fuori da ogni logica. E sulla necessità di questi provvedimenti si è appunto espresso pressoché tutto il mondo scientifico. Il dibattito scientifico in corso non è sulla necessità dei provvedimenti, è su come combattere un virus finora sconosciuto e come sia meglio curare i malati.
La scienza (viene spesso ribadito) non è democratica: se non si hanno sufficienti conoscenze e non si riesce a portare dimostrazioni convincenti, nessun parere può avere validità.
Non possono quindi essere ritenute imposizioni arbitrarie l’obbligo delle mascherine, l’abolizione delle strette di mano, la clausura. Forse non ci rende conto che più di 30000 morti (nella sola Italia) sono già una catastrofe, che non è il caso di incrementare. Ritenere un’esagerazione questi provvedimenti è schierarsi con le posizioni di Trump e Bolsonaro.
Mi riferisco ad affermazioni come “dittatura tecnologico-sanitaria che adducendo la necessità di una pletora di controlli per salvaguardare la nostra salute finirebbe per controllare perfino l’interno del nostro corpo, ci irreggimenterebbe, ci toglierebbe libertà, dignità, movimento, piacere, anima.” di Giuseppe Conte, oppure alle farneticazioni di Agamben: “È legittimo chiedersi se una tale società potrà ancora definirsi umana o se la perdita dei rapporti sensibili, del volto, dell’amicizia, dell’amore possa essere veramente compensata
da una sicurezza sanitaria astratta e presumibilmente del tutto fittizia.”
Definire “astratta” e “fittizia” un’emergenza del genere è un’affermazione addirittura criminale!
Ripeto per tutti l’invito a leggere l’articolo de Le Scienze, se si vuole discutere di argomenti che hanno a che fare con la scienza, almeno ci si informi. Ripeto il link, ho visto che nel precedente commento è risultato spezzettato:
http://nl.kataweb.it/e/t?q=0%3dIYGZI%26F%3dBY%263%3dXGeLb%26z%3dcFVCeJ%26O%3dsQ9J4_Ofwa_Zp_Lbze_Vq_Ofwa_YuQ8T.1940x9yWt.C5_Ofwa_YuHpT8_Lbze_VqYOVK_Ofwa_YudF_Ofwa_8p5lYudI_Ofwa_YuHpT8_Lbze_VqPpL4-_04P-C_9xIwLvCl_Jt7n83C4Jx_I3FvCyB_2O58ECzKx-XHYJUEg_7udw_G0%26o%3d%26F8%3dYKbFU
No, Giacomo, mi dispiace ma non posso accettare in primo luogo certe espressioni offensive nei confronti di persone che stimo e che per questo ho deciso di inserire nel post. Espressioni che quindi si riversano inevitabilmente anche su di me, come responsabile di tali scelte. E qui ogni possibilità di confronto, pur avendone tutte le intenzioni, si incaglia irrimediabilmente. No, Giacomo, questo è il disastro socioculturale prodotto da una impostazione politica che è un intreccio di incapacità e supponenza, questa sì criminale, dei governanti in carica. Un poeta come Giuseppe Conte e un docente emerito come Agamben, esprimono solo proprie percezioni e valutazioni critiche, che meriterebbero rispetto e almeno qualche riflessione, e invece vengono subito bollati come farneticanti o criminali.
Agamben e Conte denunciano una serie di timori, carenze e inadeguatezze di un governo che sin dall’inizio di questa fase, mancava sia nell’informazione che nell’organizzazione o acquisizione di adeguati presidi sanitari (a cominciare da mascherine e tamponi). Poi, mentre sommava precise, quanto oscillanti e confuse, norme sanitarie (certo, anche condivisibili), mancava anche su questo piano di fornire dispositivi persino a medici e infermieri, favorendo morti anche tra questi ultimi. Sono più criminali le parole e le valutazioni di un poeta e di un docente universitario, o chi ha favorito tali tragici risultati?
E toccando solo qualcun’altra delle gravi mancanze, si dettano regole rigide per i cittadini normali e si mettono in libertà centinaia di supercriminali mafiosi? Questi ultimi brindano al virus e il ministro responsabile di tale risultato rivendica di non averne alcuna responsabilità. Si fanno conferenze verbose con cui si promettono piogge di miliardi con decreti su decreti confusi e categorici insieme, che dettano regole tali che stanno facendo morire centinaia di migliaia di aziende, le quali ricevono solo promesse di sostegni economici mai finora concretizzati, buttando nella disperazione milioni di italiani. E se questi ultimi si azzardano a fare minime civili dimostrazioni pubbliche, anche rispettando tutti i dettami sanitari, l’unica risposta che ricevono è di multe di centinaia di euro. Cos’è più criminale? Fare rilievi e sollevare critiche e dubbi su tali fatti, metodi e soprattutto tendenze, o i danni che stanno gettando nella prostrazione milioni di italiani?
Non sono certo solo Agamben e Conte che denunciano con crescente preoccupazione tali scenari che, non negano la presenza di una pandemia, ma la sua strumentalizzazione con, nel contempo, una totale incapacità ad affrontare i problemi ad essa connessi. Irrigidimenti, tendenze autoritarie, e incapacità deresponsabilizzate e scaricate su questo o quello: regioni, burocrazia o un plotone di c.d. comitato scientifico. Un pasticcio continuo e dannoso per il presente e il futuro dell’Italia, di una democratura deresponsabilizzata. Ubriacature parolaie e deliri di impotenza. Quello che mi dispera maggiormente è che questo marasma sia la migliore risposta “di sinistra” rispetto alle prospettive di un governo di destra. Ma che facciamo, per timore di questa alternativa, ci tappiamo la bocca davanti a evidenti e inaccettabili carenze? Da tempo ho smesso di fare il tifoso del partito preso e del meno peggio, mentre l’Italia ha continuato a scivolare nel peggio.
Chiudo, sul tema scientifico. Si può ancora sostenere “la” verità scientifica? mentre tra esponenti del campo litigano anche in televisione con opinioni contrapposte e battibecchi offensivi da bar? Con un Burioni che ha smentito se stesso ed è rimasto autorevole componente del c.d. comitato scientifico, mentre i ben più autorevoli scienziati come Tarro, o ricercatori come Di Donno sono stati ignorati o emarginati? Giacomo, se non riusciamo a salvare almeno la civiltà del confronto e dell’umiltà di dare spazi al dubbio socratico, basi della capacità democratica di elaborazione di pensiero critico, a cosa diavolo appendiamo la speranza di rinascita da questo tragico punto zero? A Renzi, Zingaretti, Di Maio e Giuseppi Conte? Ho già ripetutamente scritto che, se non siamo capaci di riattivare almeno questa mobilità e apertura mentale, tra noi senzapotere, mentre siamo immobilizzati e da paure non solo sanitarie, rischiamo il destino di finire come la rana bollita di Chomsky.
Mi spiace Adam, non c’era alcuna volontà di critica nei tuoi confronti, sai bene che apprezzo moltissimo quanto fai, anche quando non sono d’accordo con certe scelte. Un dibattito resta un dibattito, ed ovviamente non è risolutivo in alcun senso. Ma allora proprio per questo ho ritenuto di potere esprimerne uno.
Sono condivisibili tutte le critiche che vuoi, ma non si può opporre a un dato scientifico un’opinione campata in aria come negare un’evidenza: le conseguenze non restano nel campo dell’opinabile, diventano azioni, e queste azioni sono pericolose, e quindi confermo che certe affermazioni sono criminali. Cerchiamo di non scivolare dalla padella nella brace.
Per carità, Giacomo, ho interloquito e controbattuto alle tue anche se non condivise valutazioni, per il lungo percorso condiviso e ricco di collaborazioni, scambi e realizzazioni importanti. E soprattutto perché rimane la stima personale e l’amicizia di fondo. Capisco anche le tue preoccupazioni, anche se non le condivido. Secondo me stiamo già saltanto dalla padella nella brace, per questo è utile ogni avviso pubblico che svegli da uno stato troppo passivo o remissivo del corpo sociale. Spero in un risveglio delle parti più vessate e migliori del Paese, e spero ovviamente che sia da una visione di sinistra, altrimenti stiamo servendo il crescente disagio sociale alle peggiori destre. Possibile che la storia non insegni nulla? Auguri a tutti!