NUOVA FINANZA PUBBLICA
Per una Grande Trasformazione Sociale
Vittorio Lovera (Attac Italia) sul Manifesto di venerdi 6 dicembre 2013
Da quando è iniziata la crisi sentiamo ogni anno ripetere come, a partire dall’anno successivo, si potrà intravedere una ripresa e l’uscita dal tunnel. Naturalmente a patto che seguiamo, come soldatini obbedienti e rassegnati, o le politiche di ferrea austerità che, dalla Troika fino ai governi nazionali, continuano ad essere applicate a dispetto di ogni evidenza sui fallimentari risultati, o quelle più sfrenatamente monetaristiche del «quantitative easing» che hanno condotto gli Usa sull’orlo di un default per ora solo temporaneamente differito.
Su questa grande Crisi, generata proprio dall’applicazione sfrenata delle politiche neoliberiste, i poteri forti, lobbies finanziarie e ceto politico, rilanciano una nuova diabolica fase, la «finanziarizzazione 2.0»: restringimento degli spazi democratici, premierati forti e grandi intese, ma soprattutto privatizzazione selvaggia di tutti gli assets da cui estrarre ulteriore ricchezza (acqua e beni comuni, trasporti, sanità, welfare, scuola, patrimonio immobiliare pubblico, ambiente).
A partire dalla grande esperienza del movimento dell’acqua (27 milioni di cittadini che bocciano sonoramente le privatizzazioni di acqua, trasporti e rifiuti), ai recenti momenti di piazza per la difesa della Costituzione, del lavoro, per il diritto all’abitare e contro le grandi opere, per la tutela della salute e dell’ambiente fino allo spontaneo ammutinamento di Genova, si palesa l’esistenza di una maggioranza culturale del Paese che si oppone a qualunque ulteriore progetto di finanziarizzazione.
Il nesso netto e radicale tra tutte queste vertenze può proprio risultare un progetto forte e condiviso di «nuova finanza pubblica e sociale», possibile medium coeli per tutti i beni comuni.
«Come si esce dalla Crisi – per una nuova finanza pubblica e sociale» Edizione Alegre è il manifesto collettivo, costruito dal basso e frutto di oltre due anni di assemblee pubbliche in tutta Italia, che permette ora di elaborare/concordare una prima fase operativa per un percorso comune di trasformazione e di riappropriazione sociale, che sappia unire e ridare speranza ad intere generazioni, consentendo di invertire la rotta e di uscire dalla Crisi, andando a ragione ben oltre Keynes.
Sfogliando le pagine di questo libro ci si accorgerà di come le cose non siano mai state come ce le hanno raccontate: quarant’anni di fondamentalismo neoliberista hanno generato il massimo delle diseguaglianze sociali e la crisi profonda del capitalismo ha squadernato tutti i suoi errori sistemici in campo economico, finanziario, sociale, ambientale e climatico, rendendola difficilmente reversibile.
Gli Autori (Bertorello, Corradi, Lovera, Baranes, Risso, Errico, Malabarba, Viale, Gesualdi, Tricarico, Bersani, Millet e Toussaint) smontano le teorie del debito pubblico, propongono l’auditoria del debito quale controllo partecipativo popolare, definiscono una nuova equità fiscale che parta dalla tassazione reale della finanza speculativa per giungere alla lotta senza quartiere ai paradisi fiscali e alla «finanza ombra», prendono a utile modello le buone pratiche dell’Altra Economia e della Finanza Etica, propongono una completa e radicale rivisitazione di scopi e finalità del sistema bancario, ragionano su nuove pratiche auto-organizzate di lavoro e di riconversione ecologica della società. Infine propongono un’innovativa forma di finanza pubblica e sociale che, con la socializzazione della Cassa Depositi e Prestiti, garantisca la possibilità di finanziare gli enti locali e di strutturare piani per nuove forme di economia sociale territoriale, di tutela dei beni comuni e di un modello sociale alternativo per il Paese. Si esce dalla crisi solo uniti, decisi, e radicalmente innovativi, motori mobili di una Grande Trasformazione Sociale.
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Riprendono in tutto il paese le lotte sociali. I NoTav e la FIOM non sono più soli. E’ impegno di noi tutti informare puntualmente su di esse ed estenderle nel nostro territorio
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QUESTA, CHE DOCUMENTIAMO, E’ L’ITALIA DEL DISAGIO, DELLA DISOCCUPAZIONE E DELLA POVERTA’ CHE CI HANNO PROPINATO BERLUSCONI E MONTI. E CHE LETTA NIPOTE, AMBIGUO E ABILE VENDITORE DI FUMO, CONTINUA A ELARGIRCI ALLA GRANDE.
I PUNTI DI RESISTENZA A QUESTA POLITICA IRRESPONSABILE E CORROTTA E LE LOTTE POPOLARI CRESCONO E CI FORNISCONO MOTIVI PER NON DISPERARE
SOLO LA PRESENZA NELLE ISTITUZIONI E NEL PAESE DI UNA SINISTRA D’ALTERNATIVA – OSSIA NON LIBERISTA NE’ CORROTTA COME E’ IL PD E STRETTAMENTE COLLEGATA A COMITATI E MOVIMENTI – E’ IN GRADO DI DARE ASCOLTO E RAPPRESENTANZA A CHI NON NE HA, PUO’ MODIFICARE LA SITUAZIONE ED APRIRE SPAZI DI SPERANZA
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Le palle d’acciaio di Letta sulla testa dei ceti medio –
bassi, delle povertà e dei beni comuni
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LA PROTESTA IN TUTTO IL PAESE Che sia solo l’inizio?
Marco Revelli sul Manifesto di sabato 23 novembre
La mobilitazione dei lavoratori genovesi – partecipata, determinata, piena di fermezza e di dignità – ha un significato straordinario e generale. Rappresenta una risorsa per l’intero Paese e una speranza per tutti noi, nel clima asfissiante di questa agonia politica che sembrava senza fine.
I «fatti di Genova» da sempre hanno assunto un carattere esemplare. Fin dal dicembre del 1900 quando lo sciopero generale dei lavoratori genovesi contro la chiusura della loro Camera del Lavoro – il primo sciopero di massa in Italia – determinò la caduta del governo Saracco e la fine del «decennio reazionario».
E poi nel luglio ’60, quando la rivolta di Genova e delle sue «magliette a strisce» preparò la caduta del governo Tambroni e la fine del tentativo «clerico-fascista» di governare da destra il processo di modernizzazione. Fino al 2001, quando a Genova si mostrò apertamente il volto feroce della globalizzazione dall’alto.
Oggi da Genova si leva alto un messaggio che dice che il “servizio pubblico” è un bene comune che non può essere ridotto a mera logica di mercato. Né degradato a semplice variabile dipendente dai vincoli di bilancio. Ma, al contrario, che è il bilancio a dover essere ripensato in funzione di esso perché, appunto, formato da “risorse pubbliche”. Un tema cruciale: il grande spartiacque tra logica di casta e responsabilità di mandato. Tra dispotismo dell’interesse “privato” e universalità dell’utilità pubblica. Tra «colpo di Stato delle banche e dei governi», come lo chiama Gallino, e resistenza ad esso.
Spiace che in questa vicenda la figura – fragile – del sindaco di Genova abbia subìto un capovolgimento copernicano, di ruolo e di posizione. Avrebbe dovuto essere alla testa delle manifestazioni, a difendere i propri lavoratori e i propri cittadini, per una volta uniti nello stesso campo. Si ritrova controparte di entrambi, sull’altro lato della barricata: vittima e insieme complice di quella logica finanziaria e predatrice che ne sta erodendo i residui frammenti di legittimazione e di credibilità, chiamato a negare nei fatti quelle stesse promesse che aveva affermato a parole in campagna elettorale.
Non è questione di “persona” (anche se dovremo prima o poi aprire una riflessione sulla mutazione antropologica dei tanti “sindaci della speranza” che avevano accompagnato la stagione del movimento “arancione”). O, meglio, non è solo questione di inadeguatezza personale. È questione di architettura istituzionale (l’ “uomo solo al comando” che caratterizza la collocazione del sindaco dopo la riforma personalizzante del ’93 o produce impotenti amministratori di condominio o genera mostri). E di inadeguatezza politica (la dissoluzione del Partito democratico dentro le compatibilità delle larghe intese e nel fuoco di fila dei contrasti personali, per esempio, ha un peso devastante in questa solitudine dei sindaci che ne accompagna il crepuscolo o nella eccessiva esuberanza di alcuni di essi, da Renzi a De Luca). È soprattutto questione di ruolo. E di luogo: di dove ci si colloca, quando si assume una responsabilità amministrativa. A quale referente si risponde. A quale popolo si fa riferimento. Se ci si chiude “dentro Bisanzio”, si finisce inevitabilmente per bizantinizzare. Se ci si abbarbica alle sue mura, è inevitabile prendersi in pieno petto le palle incatenate degli esclusi e dei sommersi che l’assediano, con piena ragione, dal di fuori…
Genova può essere un inizio. Il 23 dicembre del 1900, in una grande Assemblea al Teatro Carlo Felice, Pietro Chiesa – l’uomo che aveva guidato quella mobilitazione aurorale – aveva detto: «Lo sciopero di Genova resterà famoso e farà epoca negli annali dei lavoratori di tutto il mondo per la grandezza, la solennità e la serietà della dimostrazione». «Genova è la scintilla di un incendio che si espanderà in tutta Italia», hanno detto ieri nella Sala Chiamata. Ai due capi estremi del “secolo del lavoro”, le lingue si parlano. E lanciano segnali di vita.
(vedi anche su “Pagine on line – nuova serie. n.179 di martedi 10 dicembre 2013)