La riforma Fornero del lavoro, la disaffezione dalla politica, le politiche economiche di destra non eque e senza opposizione, hanno tutti una medesima radice comune: l’errore neoliberista.
In questi giorni una serie di grandi mobilitazioni del mondo del lavoro sta attraversando il Paese. Fiom, Sindacati Confederali, Sindacati autonomi e di base, fino al variegato mondo del lavoro precario scendono in piazza per manifestare le preoccupazioni per una crisi senza fine e l’insofferenza verso le politiche economiche dell’Unione europea e del governo Monti.
L’ideologia neoliberista che permea anche questo governo mira infatti ad un rilancio economico dal lato dell’offerta (flessibilità del mercato, stimolo alla competitività, risanamento delle finanze pubbliche), esigendo un mercato del lavoro fortemente deregolamentato con ulteriore peggioramento delle condizioni dell’occupazione, del lavoro e delle retribuzioni, innescando una suicida spirale deflattiva. La ripresa invece dovrebbe avvenire non dal lato dell’offerta bensì della domanda, quella delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni, sostenuta grazie all’impegno pubblico, perchè così si e’ fatto nel mondo durante le altre grandi crisi, a cominciare dalla Grande Depressione fra le 2 guerre, nel 1934, dopo la crisi del 1929, quando per es. in Italia si decise di porre fine alle politiche di contenimento dei costi che avevano portato a risultati disastrosi e si promosse una politica espansiva di reflazione, cosicché il Pil riprese una crescita duratura e sostenuta. La medesima cosa avvenne anche in America, con il successo del New deal roosveltiano, e con analoghe misure accadde anche in altri Paesi. Lo stesso piano Marshall, nel dopoguerra (1947), legò riduzione dei debiti e rimborsi dei prestiti alla crescita ritrovata. Questo perché, quando si attraversano momenti difficili, è sbagliato contrarre la spesa dello Stato e si dovrebbe invece aumentarla: il deficit di bilancio non si espanderà necessariamente se al tempo stesso si introducono per es. la tassazione sulle transazioni finanziarie, sulle grandi rendite e patrimoni. E comunque l’innalzamento del deficit in valore assoluto verrebbe compensato dall’ampliamento del PIL Solo dopo che, grazie al sostegno pubblico, la domanda privata sarà ripartita, si potrà pensare a risanare le finanze pubbliche.
1) LA “RIFORMA” FORNERO DEL LAVORO IN SINTESI
Da un Parlamento di nominati, condannati, indagati per reati gravi – con i rispettivi avvocati -, di rinviati a giudizio, di inquisiti, di inseguiti da ordini d’arresto, non ci si poteva aspettare di meglio che a pagare fossero i lavoratori onesti e i poveri cristi. Fra poche settimane verrà infatti approvato definitivamente il Ddl Fornero, un provvedimento di legge che non crea posti di lavoro ma anzi li toglie dando la possibilità di licenziare senza giusta causa; non interviene sufficientemente nel contrasto alla precarietà, riduce le tutele economiche e temporali per chi si ritrova disoccupato, non serve allo sviluppo né agli investimenti.
a) MODIFICHE ALL’ARTICOLO 18 DELL STATUTO DEI LAVORATORI
Il significato dell’art. 18 consisteva nel diritto della lavoratrice e del lavoratore di essere reintegrati nel posto di lavoro da parte del Giudice quando veniva accertata l’illegittimità del licenziamento ordinato dal datore di lavoro. Ora invece sparisce il reintegro automatico in caso di licenziamento individuale illegittimo per motivi economici. È una barbarie giuridica, che provocherà, secondo i dati diffusi dalla CGIA di Mestre – il Centro studi della Confederazione generale degli artigiani veneti- la perdita di 600.000 posti di lavoro nei primi 10 mesi di applicazione della legge. Diventeremo così tutti precari, e si potrà mascherare con ragioni economiche un licenziamento per cacciare, al prezzo di qualche mensilità, chi si batte per la difesa della salute, per le misure di sicurezza o contro le violazioni ai diritti più elementari.
NON CI SONO GIUSTIFICAZIONI ALLA MODIFICA DELL’ART. 18:
– Non si sentiva la necessità di porre mano all’art. 18 dato che il nostro ordinamento prevede già espressamente la possibilità di licenziare per motivi economici fino a 5 dipendenti (legge 604 del 1966), o oltre i 5 dipendenti (legge 223/91). Inoltre la stragrande maggioranza dei nuovi assunti ha un contratto a termine, ed è quindi licenziabile appena questo scade; e infine le imprese con meno di 16 dipendenti, che sono il 95% delle aziende in Italia, possono liberamente licenziare senza altro onere che quello di pagare un’indennità di preavviso.
– Non è assolutamente vero che l’art.18 riguardi pochi lavoratori. Secondo la CGIA di Mestre, nelle aziende interessate dall’art. 18 lavora circa il 65,5% dei lavoratori dipendenti, cioè circa 7.790.429 lavoratori.
– Le ricerche effettuate dall’Ocse e perfino dal Fondo monetario internazionale (Olivier Blanchard) ci dicono da anni che la riduzione delle tutele NON accresce l’occupazione e non riduce la disoccupazione. Una conclusione ribadita anche dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz nel recente incontro con Monti. L’occupazione infatti non dipende dalla maggiore o minore rigidità del cosiddetto mercato del lavoro (lo dimostra il fatto che Nord e Sud Italia condividono la stessa legislazione in materia, ma hanno tassi di disoccupazione assai differenti), bensì dal livello e dalla composizione della domanda aggregata di beni e di servizi.
– La modifica dell’articolo 18 non serve neppure a richiamare capitale dall’estero, come sostiene Monti, perchè ben altri sono i motivi per cui gli investitori stranieri non vengono in Italia, ovvero: i diffusi fenomeni di corruzione su ogni passaggio dei processi autorizzativi per le nuove imprese, l’arretratezza di infrastrutture, la piaga della criminalità organizzata, il nostro sistema giudiziario lento, il ritardo dello Stato nel pagamento delle forniture, l’elevato costo energetico, i tempi biblici prima di poter avviare un’attività a causa di problemi burocratici; la mancanza di domanda di beni e servizi; lo scarso accesso al credito bancario per le imprese, il sistema fiscale esagerato che andrebbe diminuito come fece a suo tempo Prodi col cuneo fiscale, facendo costare meno il lavoro a tempo indeterminato e di più il lavoro precario.
– Un eccesso di offerta di manodopera dovuta a maggiori licenziamenti determinati dall’art. 18, provocherà come conseguenza un abbassamento dei salari per tutti, a causa della legge economica della domanda e dell’offerta. Diminuendo gli stipendi, la domanda di beni e servizi diminuirà, e quindi ne risentirà anche la produzione e l’occupazione e si avrà un generale aumento della recessione e della caduta del PIL e di conseguenza una riduzione delle entrate fiscali per lo Stato (le entrate tributarie dei primi 4 mesi del 2012 sono inferiori di 3,477 miliardi di euro rispetto alle previsioni annuali contenute nel Def) e perciò ci sarà un aumento del debito pubblico, per ridurre il quale si taglierà la spesa pubblica, il che farà diminuire ancor più la domanda di merci, riproducendo il ciclo suicida attualmente in corso in Grecia, Portogallo, Irlanda, ed ora in Spagna.
Se il licenziamento e’ illegittimo la sanzione deve essere il reintegro, e non ci possono essere sanzioni differenti: a uguale reato uguale sanzione, perché questo prevedono la Costituzione e la stessa Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, che esige (art. 30 Carta di Nizza) la tutela dei lavoratori contro ogni licenziamento ingiustificato. Al di fuori della giusta causa o del giustificato motivo, il licenziamento è nullo: lo prevede il Codice civile, la legge n. 604 del 15 luglio 1966 ma anche il diritto internazionale (Convenzione OIL n. 158/82). Il lavoro non è una concessione dell’imprenditore, ma il fondamento della Repubblica Italiana, che non può essere semplicemente lasciato all’onestà del datore di lavoro.
Monti e Fonero non hanno voluto puntare sulla valorizzazione del lavoro proseguendo e peggiorando una tendenza sbagliata che fa leva sulla riduzione dei costi fondata su licenziamenti facili e lavoro “usa e getta”, anziché puntare su ricerca, educazione, formazione, innovazione tecnologica e di prodotto.
Ma “Guai a quelli che promulgano decreti iniqui e nel redigere, mettono per iscritto l’oppressione” (Isaia 10:1): la Fornero si ricordi sempre di essere a capo del Ministero del Lavoro e non dei licenziamenti, e che esasperando ulteriormente la situazione occupazionale alla fine rischierà lei di essere licenziata dalla mobilitazione democratica del Paese.
b) IL LAVORO PRECARIO.
Il lavoro precario ormai riguarda circa 7 milioni di persone in Italia (dati Isfol), rappresentando una vera e propria emergenza nazionale, una realtà contrattuale infernale senza tutele e diritti. Ma nonostante ciò, la riduzione drastica delle 46 modalità contrattuali “atipiche” esistenti, assicurata inizialmente dal Ministro Fornero, è stata poi incredibilmente accantonata.
La logica della riduzione dei costi che accompagna il provvedimento non dà alcuna garanzia alla stabilizzazione dei giovani nel mercato del lavoro e all’allargamento dell’occupazione femminile. Il testo approvato al Senato presenta pochi aspetti positivi e nuovi pericolosi arretramenti rispetto al documento uscito dagli incontri coi sindacati, in cui il governo era intervenuto solo su alcune specifiche tipologie contrattuali sia applicando nuove pratiche amministrative disincentivanti – anche se per molti aspetti carenti – , sia stabilendo nuovi oneri contributivi, che però rischiano di andare a detrimento anziché a vantaggio dei lavoratori temporanei.
c) RIDUZIONE DELL’INDENNITÀ ECONOMICA E DEL PERIODO DI COPERTURA PER CHI PERDE IL LAVORO.
Sugli ammortizzatori sociali il testo arrivato alla Camera non risulta migliorato nella sostanza. Qui si tocca con forza il tema della scarsità delle risorse pubbliche impegnate per la “riforma”, che è sostanzialmente un’operazione di tagli che non prevede neppure l’indennità di disoccupazione per tutte quelle figure che oggi non ne hanno diritto. Con la riduzione della possibilità di ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria e con la cancellazione della mobilità, chi perde il lavoro avrà degli ammortizzatori sociali che dureranno meno nel tempo (si passa da 4 anni ad 1 anno!) e con un’indennità economica inferiore. Ciò è tanto più grave in quanto avviene a fronte di un significativo allontanamento dell’età pensionabile, e avrà come conseguenza che centinaia di migliaia di lavoratori resteranno senza pensione e mobilità per lo spostamento dell’età di accesso alla pensione.
Saranno esclusi dall’indennità di disoccupazione quelli che non abbiano due anni di anzianità assicurativa e versato almeno 52 settimane di contributi, cioè le giovani generazioni del lavoro discontinuo e i giovani disoccupati che non trovano il primo lavoro. Non è previsto nella “riforma” alcun reddito minimo garantito, e neppure alcuna tutela per co.co.pro., collaboratori occasionali, a chiamata, assegnisti di ricerca e tutte le finte partite IVA.
Il disegno di legge Fornero è sbagliato e va bocciato. Con un Paese in ginocchio la ricetta che i nostri furbi tecnici hanno saputo trovare è stata di strumentalizzare i giovani per ridurre ulteriormente i diritti di tutti.
MA ASPETTI IL MINISTRO FORNERO AD ESULTARE COME HA FATTO IN SENATO, PERCHÉ LA LOTTA SARÀ ANCORA LUNGA E PROSEGUIRÀ ANCHE DOPO IL VOTO PARLAMENTARE, UTILIZZANDO UN CONTENZIOSO LEGALE SENZA FINE, CHE COMPRENDERÀ ANCHE IL RICORSO ALLA CONSULTA E AL REFERENDUM, PER CANCELLARE QUESTA IGNOBILE CONTRORIFORMA.
2) LA DISAFFEEZIONE DALLA POLITICA CAUSATA DALL’IMPOPOLARITÀ DELLE MISURE ECONOMICHE NEOLIBERISTE
In Italia lo scollamento tra società civile e società politica è molto avanzato, come dimostrano le recenti elezioni comunali: si accentua la tendenza alla non partecipazione al voto, c’è il successo di un partito nuovo, il Movimento 5 stelle, e si assiste al forte aumento del peso delle liste civiche. Le cause della disaffezione dalla politica sono l’impopolarità delle misure economiche, i processi di ristrutturazione produttiva e di deregolamentazione del mercato del lavoro, il calo dei salari reali, l’aumento di disoccupazione e sottoccupazione e i tagli al welfare state. È una tendenza presente anche in molti altri paesi in Europa, che prescinde dal colore politico dei governi, e trova causa nel fatto che quei governi sono tutti artefici delle politiche neoliberiste di austerità di bilancio. Parliamo della sconfitta della cancelliera tedesca Angela Merkel ad Amburgo, a Brema, in Sassonia-Anhalt, in Renania-Palatinato e Baden-Wurtemberg, nello Schleswig-Holstein nel Macklemburgo-Pomerania occidentale, a Berlino e in Nord Renania-Westfalia. O dell’allontanamento dal governo di Brian Cowen (Fianna Fail) in Irlanda, di Socrates (PS) in Portogallo, di Papandreu (PASOK) in Grecia, di Zapatero (PSOE) in Spagna, di Iveta Radicova (Partito Democratico-Unione democratica e cristiana) in Slovacchia, di Mark Rutte (Partito popolare per la libertà) nei Paesi Bassi.
La politica e’ insopportabile ai popoli perchè si e’ inginocchiata davanti ai poteri forti delle grandi lobby, perchè non si può più mettere in discussione un mondo in cui la dignità della persona che lavora vale meno di qualche percentuale di profitto.
3) IN ITALIA POLITICHE ECONOMICHE DI DESTRA NON EQUE E SENZA OPPOSIZIONE
I partiti del Parlamento italiano, tranne qualche eccezione (Italia Dei Valori), hanno confermato in blocco il sostegno alle politiche di austerità del governo Monti, con l’approvazione di una serie di imposte indirette non eque che si applicano a tutti con una medesima percentuale e quindi gravano maggiormente sul reddito più basso anzichè sul reddito più alto. Ne è un esempio l’Imu, che è una tassa non progressiva né equa perché applica la stessa aliquota a patrimoni di diverso valore; oppure l’aumento approvato a dicembre dal Governo Monti-Bersani-Berlusconi-Casini dell’aliquota di base dell’Irpef regionale, che grava sui più poveri; o anche l’aumento delle accise sui carburanti, deciso anch’esso nella manovra di dicembre.
I vertici del Partito democratico hanno votato tutto ciò giustificandolo col “senso di responsabilità”. Ma se proprio si fosse voluto agire per senso di responsabilità verso i cittadini non si sarebbe dovuto dare sostegno a riforme che sviliscono la Costituzione, a misure economiche che fanno pagare la crisi a esodati, dipendenti, disoccupati e pensionati.
Nella peggiore tradizione inciucista, i vertici del Partito democratico si sono schierati in linea con il Pdl anche sul pareggio di bilancio in Costituzione, sulla vergognosa spartizione lottizzatoria dell’Agcom (l’Autorità garante delle comunicazioni) e del Garante della Privacy; e pure sul finto decreto anti-corruzione dove tolgono il reato di concussione per induzione (il reato grazie a cui Mani Pulite fu in grado di agire!), non ripristinano il reato di falso in bilancio, restano gli arbitrati (la fonte di maggior inquinamento durante la verifica degli appalti), riducono le pene e accorciano i tempi per la prescrizione, mandando in malora tanti processi (tra cui probabilmente il Penati-Area Falck e Ruby). Il voto sulla “riforma” del lavoro e l’articolo 18 ha dimostrato che il vertice del Partito democratico fuori dai palazzi sostiene ipocritamente di voler difendere i lavoratori, ma dentro vota la fiducia a chi toglie loro i diritti. Se il PD continuerà in questo modo le alleanze elettorali finirà per farle solo con quelli che, come l’UDC, invocano da anni a gran voce “misure antipopolari”.
Sulle alleanze per le prossime elezioni politiche, Sor Tentenna Bersani ricorda quella poesia di Giusti: “Là là per la reggia dal vento portato, tentenna, galleggia, e mai dello Stato non pesca nel fondo: che scienza di mondo! Che Re di cervello, è un Re Travicello!”
Anche il brutale intervento sulle pensioni, avvenuto senza neppure un confronto sindacale, è stato consentito grazie al voto dei parlamentari del PD, nonostante il sistema pensionistico italiano fosse certificato dall’Unione europea in equilibrio fino al 2050 ed avesse un saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali (cioè quanto effettivamente esce dal bilancio pubblico e entra nelle tasche dei pensionati) POSITIVO fin dal 1998 (nel 2009 ad es. il saldo è stato positivo per 27,6 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil), il che significa che il sistema pensionistico pubblico finanzia per decine di miliardi di euro il bilancio dello Stato ogni anno! Nonostante ciò, sono state utilizzate le pensioni come un Bancomat ritardando all’inverosimile l’età pensionabile e provocando perciò la perdita di 800mila nuovi posti di lavoro per i giovani; si sono escluse le pensioni medio-basse dal recupero dell’inflazione, e si è prodotto il dramma sociale degli esodati rimasti senza pensione, senza stipendio e senza un ammortizzatore sociale. IL MINISTRO FORNERO ERA A CONOSCENZA DA TEMPO CHE FOSSERO 390.200 GLI ESODATI, AVENDO RICEVUTO LA RELAZIONE DALL’INPS, MA HA TACIUTO CONDANNANDOLI ALLA FAME. PER QUESTO IL MINISTRO FORNERO IN UN PAESE NORMALE DOVREBBE DIMETTERSI DOPO AVER CHIESTO SCUSA. Se la Ministra dei licenziamenti Fornero fosse una lavoratrice statale rischierebbe il licenziamento per l’articolo 28 comma 1 lettera d): “Il dipendente deve, nei rapporti con il cittadino, fornire tutte le informazioni di cui abbia titolo, nel rispetto delle disposizioni in materia di trasparenza e accesso all’attività amministrativa”.
Anche su questa vicenda va registrato l’ipocrita comportamento dei vertici del PD che recita 2 parti in commedia: da una parte critica la Fornero, ma dall’altra non raccoglie le firme per la mozione di sfiducia presentata dall’Italia dei valori, né forse la voterà.
CONCLUSIONE.
Il governo Monti aveva un compito ben preciso: risollevare le sorti economiche del Paese. Tutti i dati economici indicano che non solo ha fallito questo risultato, ma con le sue politiche ragionieristiche, recessive e di rigore ha persino aggravato la crisi economica. Se per tenere in vita il governo i lavoratori devono spezzarsi la schiena e rinunciare ai propri diritti, allora meglio che Monti se ne vada a casa al più presto, prima di combinare altri danni. Al Paese serve un governo legittimato da un voto politico, che rilanci l’economia e che abbia un progetto di società in grado di fare il bene del Paese. Non servono governanti che più che pensare al bene dell’Italia, pensano ad utilizzare la vetrina degli incontri internazionali per i propri scopi di futura carriera personale.
Il vento del cambiamento è arrivato anche in Italia e ci permetterà presto di imboccare altre strade per la soluzione della crisi perché ormai i cittadini si sono accorti che i conservatori, gli oscurantisti e i reazionari – anche quelli mascherati da “tecnici” – sono solo un grande fantoccio di cartapesta costretto a farsi da parte quando avanzano le forze socialiste e progressiste del lavoro!
– Dobbiamo chiedere conto alla Cgil del fatto che si proclamino 16 ore di sciopero per farne solo la metà senza indire lo sciopero generale, lasciando i lavoratori indifesi e senza una proposta alternativa su cui costruire un percorso di lotta.
– Dobbiamo seguire l’esempio degli operai della Piaggio di Pontedera che sono andati sotto la sede del PD a sturar le orecchie dei suoi dirigenti, ormai sempre più sorde alle istanze dei lavoratori.
– Dobbiamo organizzare il presidio permanente dei Palazzi di governo, per a far sentire potente la voce di chi si oppone alla riforma Fornero e dice BASTA al governo Monti-Bersani-Berlusconi-Casini.
Diceva Albert Einstein: “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai mascalzoni, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare.”
Franco Pinerolo
15 giugno 2012
Condivido in larghissima parte le analisi dettagliate di cui sopra. Solo la parte destinata all’analisi del governo Monti non mi convince, essendo basata secondo me su un presupposto sbagliato e che è pure la causa di molte (non di tutte) le incertezze. Monti aveva sì un compito preciso, ma non è quello indicato secondo me e cioè risollevare le sorti eocnomicjhe del paese. Il compito è un altro: fare quello che Berlusconi, troppo screditato, non era in grado di fare: imporre la linea Marchionne spezzando le ultime resistenze operaie, salvare, svendere quanto resta dell’industria di Stato, rinunciando a un piano industriale qualsiasi, allineare l’Italia senza se e ma al progetto di centralizzazione e concentrazione del capitale finanziario nelle mani della BCE e delle altre isitutuzioni finanziarie e non politiche (mai elette) e di fatto vero governo del mondo in questo momento, favorire il processo di discredito verso non questi partiti ma la politica in generale, premessa a una svolta ancor più autoritaria, vanificazione di ogni iniziativa di democrazia dal basso, compresi i referendum. Un golpe senza carri armati nelle piazze, ma che va chiamato con il suo nome. E’ un progetto europeo e non italiano e in questo momento gli unici a opporsi sembrano essere i poveri greci, lasciati soli da tutti e anche da noi. Il problema è che anche una buona parte del popolo della sinsitra e non solo dei suoi partiti, pensa che Monti tutto sommato vada bene perché non avevamo alternative. Forse gli “inerti” sono tali anche perché non sono proprio del tutto “giusti”, per stare nella metafora di Einstein. La parte conclusiva del tuo intervento la condivido di nuovo, ma sono chiare le conseguenze se si seguisse quella strada?
Condivido anche buona parte del commento di Franco, che considero integrativo rispetto all’analisi articolata condotta da Pinerolo, di cui questo articolo è l’ultimo tassello. Che sia in atto un’azione strategica da parte dei gruppi di potere economico-finanziario è indubbio. Il fine di una enorme compressione dei diritti e dei redditi delle classi medio-basse è altrettanto chiaro. Ma questi termini non bastano a definire una strategia che è articolata a livello di aree e regioni del primo mondo (in Europa), di cui si sta ristrutturando la composizione. Si vogliono, a quanto pare e nella competizione feroce con gli USA e le nuove aree emergenti (Cina, India, Brasile ecc.), ridurre le aree geografiche con i ceti medi e l’aristocrazia operaia come quelli concessi dal neocapitalismo post-bellico.
Il piano (se è accettabile l’ipotesi) è favorito da corruzioni, mafie e ceti politici (di destra e di sinistra) dediti negli ultimi decenni solo all’accumulo dei propri poteri e privilegi, anche con clientelismi e corruzioni di tutto il corpo sociale e la crescita esponenziale del debito pubblico.
Tale debito diventa la giustificazione “tecnica” del piano suddetto, cui manca una contrapposizione politica e sociale adeguata, perché alle vittime difettano una o tutte e tre le precondizioni necessarie alla sua concretizzazione: 1) visione di idee e chiarezza di analisi delle azioni del nemico (sarebbe ora di ricominciare a usare termini messi all’indice dalla ideologia della fine delle ideologie) e quindi di ciò che si dovrebbe fare (in coerenza a tale visione contrapposta); 2) le condizioni di chi dovrebbe/ potrebbe essere materialisticamente interessato alle azioni di analisi preliminare, sono molto frammentate, sociologicamente e ideologicamente (anche se per fortuna polarità operative, dai No-Tav ad altri ci sono); 3) è questo dato di fondo che genera (in Italia in particolare) una sorta di catalessi sociale e che rende ardua la costruzione del terzo indispensabile punto, e cioè una testa politica (collettiva) capace di elaborare e guidare un’azione di contrapposizione che non sia mera protesta e sfogo privi di strategia degna di incalzare e smascherare quella di chi, in nome del risanamento, ci massacrerà sempre di più.
Per far seguito al terzo punto sottolineato da Adam, chiedo ad un esperto del campo sindacale : Come va che i ”GRANDI SINDACATI ITALIANI” che nel passato sono stati una forza decisiva delle lotte sociali, questa volta, hanno poco peso nelle decisioni del governo tecnico Monti e che non riescono a creare una forza d’opposizione significativa per arginare e moderare le riforme imposte agli Italiani?
Nicola Franco tocca il punto più dolente di questa situazione, manca (si è rivelato inconsistente, alla base e ai vertici) l’io-noi “esodante”, capace di dialogare, polemizzare, criticare, distinguendosi sia dal realismo “privatistico” esistenziale sia da una ragione falsamente pubblica o politica. Anche senza più essere ‘compagni’ o collegarsi di nuovo per uno scopo comune, la presenza di un ‘io-noi’ di tale livello e qualifica e capacità, oggi manca, quale base per non inchinarsi ai dominatori e non accettare il presente da loro imposto.
Solo su questa base può costruirsi una forma di testa strategica collettiva. In caso contrario, succede che anche chi ne è conscio tende a ripiegare su prediche di sapore moralistico e interclassista (“i giusti”, gli “onesti” ecc.). Manca la percezione di una forte presenza sociale di opposizione, anche solo sindacale, se non nei salotti televisivi o in brevi effimeri lampi di manifestazioni che non cambiano di una virgola le pesanti randellate inflitte dal governo Monti e di chi lo sorregge (bastano gli esempi della c.d. riforma delle pensioni e dell’art. 18).
Sono 1 settimana ϲhe gіfo per laa rete e questo post è la sola cosa cߋnvincente che ho letto.
Proprіo interеssante. Se tutte le persone che creano blog si preoccupassero di dare materiale interessante
come questo il web ѕarebbe indubbiamentе più piaсеvоle da leggere.
Ti ringrazio!!