La storia della formazione dello stato italiano unitario è lastricata di violenze e orrori contro le popolazioni meridionali. I mali del Sud – latifondismi parassitari, corruzione, cultura familistica e mafie – non sono stati combattuti ma esaltati dal nuovo stato, sull’altare delle necessità del capitalismo del Nord di unificare il mercato italiano e “liberare” masse di proletari e forza-lavoro. Obiettivo raggiunto con emigrazioni bibliche, non solo dal Sud. La retorica delle attuali celebrazioni rimuove questi nodi, già affrontati da studiosi e storici, e che questo articolo opportunamente ricorda. Nodi di un brodo di cultura patriarcale che, tra migrazioni e clientelismi politici (di tutti i partiti), ha accentuato forme di individualismi vuoti, furbizie e vittimismi supini al potere di turno (anche criminale). Nodi fondanti, da ripensare per una cultura critica, sia del processo immaginato di fare dell’Italia una Nazione, che delle successive peggiori derive, autoritarie o populiste, fino al loro presente intreccio intriso di ignoranza e beotismo televisivo, del berlusco-leghismo. A.V.
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MEMORIA E UNITÀ D’ITALIA 2011
Franco Romanò
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.» (Giuseppe Garibaldi in una lettera ad Adelaide Cairoli, 1868).
«Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti.» (Antonio Gramsci in L’Ordine Nuovo, 1920)
Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie. Ciò spiega quello che ad altri e a me e accaduto tante volte di constatare; il popolo delle campagne meridionali non conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori dell’unità italiana, ma ricorda con ammirazione i nomi dell’abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro più recenti imitatori.» (Francesco Saverio Nitti.)
Questo intervento vuole riaprire un dibattito, di cui tutti fingono di sapere già tutto, ma che non compare mai in nessuna riflessione. Può darsi che per le generazioni precedenti, la conoscenza di che cosa si nascondesse dietro la formula sbrigativa delle guerre al brigantaggio nell’Italia meridionale fosse chiaro. Certo lo fu per me che nacqui politicamente intorno al fatidico ‘68. Prima la lettura di Gramsci, poi un evento più che un film: Bronte di Florestano Vancini che f u per la mia generazione un vero e proprio bagno di realtà che spazzò via la retorica risorgimentale appresa a scuola. Vincenzo Consolo, a margine di un’intervista che gli feci per il Cavallo di Cavalcanti, mi disse che di Bronte in realtà ce n’erano state più d’una.
Fatta questa premessa, quello che segue è un nudo elenco di fatti e vittime, con pochi commenti. Le fonti cui attingere per approfondire ulteriormente la questione sono indicate, sia quelle storiche più importanti sia quelle più recenti; ma ce ne sono molte altre, cui chiunque può accedere: basta avere la volontà di farlo. Ciò che è importante è fare i conti con la propria storia, non lasciarla alla retorica, oppure alla concordia discorde di leghisti del nord e neo borbonici al sud, coalizzati nel far vincere il peggio dell’Italia di oggi, oppure a giocare un ruolo subalterno e tutto ideologico che consegnerebbe ancor di più l’Italia alle mafie di tutte le latitudini.
I DUE FRONTI
I RIBELLI.
Ex soldati borbonici, réduci delusi dell’esercito meridionale, disertori del nuovo esercito italiano, braccianti nullatenenti, pastori, rivoltosi repubblicani, ex garibaldini come due dei figli di Garibaldi stesso, infine briganti sovvenzionati dal deposto Francesco II delle Due Sicilie, Pio IX e Isabella II di Spagna. I capi più importanti della ribellione furono: Carmine Crocco, Luigi Alonzi detto Chiavone, Rafael Tristany de Barrera, Ferdinando Mittica, Damiano Vellucci, Pasquale Romano. Nel complesso i combattenti più o meno organizzati, nel momento più acuto dello scontro potevano contare su: 135.000 uomini suddivisi in 488 bande, scoordinate tra di loro e composte ognuna dai 5 ai 900 guerriglieri.
Ad essi vanno aggiunti i contadini ed i possidenti terrieri che rifornivano ed informavano gli uomini in armi, le popolazioni che si sono più volte ribellate in massa all’occupazione militare piemontese ed i numerosi parroci dei paesi che operavano quali portalettere tra le famiglie ed i guerriglieri.
L’ESERCITO REGIO PIEMONTESE
120.000 soldati del Regio Esercito, metà della forza nazionale, dislocati dalla Campania alla Sicilia divisi in: 52 Reggimenti di Fanteria; 10 Reggimenti di Granatieri; 5 Reggimenti di Cavalleria; 19 Battaglioni di Bersaglieri. Inoltre, vanno sommati: 7.489 Carabinieri; 83.927 Militi della Guardia Nazionale. In totale le forze impegnate nella repressione furono: 211.416.
ESITO DELLO SCONTRO FRA LE TRUPPE COMBATTENTI
Totale delle perdite sabaude: 23.013, di cui: caduti in combattimento 21.120, morti per ferite o malattie 1.073, dispersi e disertori 820.
Totale delle perdite dei resistenti: 266.370, di cui: caduti in combattimento 154.850, fucilati o morti in carcere 111.520. Totale dei detenuti: 339.397, di cui all’ergastolo 10.760, detenuti a varie pene detentive 328.637. Totale dei condannati: 498.850, di cui:detenuti dopo un processo 19.850, detenuti senza processo 479.000.
«I militari solitamente così avari di immagini, rivelano un’improvvisa prodigalità fotografica durante la repressione del brigantaggio, negli anni successivi all’incontro di Teano. Ecco che d’un tratto l’impassibilità distante e oggettuale, la veduta silente, sono messe da parte, e i cadaveri prima nascosti vengono ostentati. Ufficiali e soldati collaborano a mettere in posa i fucilati davanti al l’obiettivo, organizzano messe in scena in cui gli ancora vivi recitano la parte del brigante. Una folla di contadini meridionali e centrali si affaccia in questo modo macabro alla storia della nazione.» (Giulio Bollati, L’Italiano, Einaudi, Torino, 1983, pp. 142-143.)
Secondo le stime di alcuni giornali stranieri che si affidavano alle informazioni “ufficiali” del nuovo Regno d’Italia, dal settembre del 1860 all’agosto del 1861 vi furono nell’ex Regno delle Due Sicilie: 8.964 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti uccisi, 22 frati uccisi, 60 ragazzi uccisi, 50 donne uccise, 13.529 arrestati, 918 case incendiate, 6 paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati.
Nel 1863, fu istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta dal deputato Giuseppe Massari dalla quale venivano indicate le cause del brigantaggio: la miseria delle popolazioni, dovuta ovviamente all’oppressione borbonica; era povera perché affamata dai Borbone. Dalla relazione Massari ebbero come risultato la promulgazione della Legge Pica che autorizzava lo stato d’assedio nei paesi battuti dai briganti.
Risultato: quasi un milione di morti, 54 paesi distrutti, stupri e violenze inaudite, processi e fucilazioni sommarie.
Pontelandolfo paese del beneventano fu letteralmente raso al suolo. Anche la storiografia corrente ha riconosciuto che la repressione della ribellione nel Mezzogiorno d’Italia e in ampie zone del centro ha fatto più vittime di tutte le altre guerre risorgimentali messe insieme. Ma c’è di più, purtroppo, campi di concentramento il più temibile quello di Finestrelle, fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. Ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce. La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso del Forte.
Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l’iscrizione:
“Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”.
Come si vede, i nazisti non sono stati i primi. Già nel 1862 Nel mese di ottobre, essendosi fatta insostenibile la sistemazione dei prigionieri di guerra e dei detenuti politici, con la deportazione degli abitanti d’interi paesi, con le “galere” piene fino all’inverosimile, il governo piemontese diede incarico al suo ambasciatore a Lisbona di sondare la disponibilità del governo portoghese a cedere un’isola disabitata dell’Oceano Atlantico, al fine di relegarvi l’ingombrante massa di molte migliaia di persone da eliminare definitivamente. Il tentativo diplomatico, tuttavia, non ebbe successo, ma la notizia riportata il 31 ottobre dalla stampa francese suscitò una gran ripugnanza nell’opinione pubblica. (fonte www.cronologia.it/storia/a1863b.htm).
ECONOMIA ED EMIGRAZIONE
Le riserve auree del Regno delle Due Sicilie prima della conquista ammontavano a 500 milioni, quelle del regno sabaudo a 100. Il Regno d’Italia poté stampare carta moneta per circa tre miliardi, una vera e propria manna se a ciò si aggiunge le nuove tasse imposte ai 9 milioni di abitanti, i risparmi, le terre ed i beni sottratti alle autorità ecclesiali destinati allo sviluppo dell’agricoltura padana. Tutto in nome dell’unità d’Italia.
Nel Regno delle Due Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo regime, le tasse erano salite fino a 28 franchi a testa. La maggior parte degli insediamenti industriali fu smantellata e trasposta al nord. Due esempi: il famosissimo complesso di S. Leucio, i cui telai furono portati qualche anno dopo a Valdagno, dove fu creata la prima fabbrica tessile nel Veneto e le ferriere di Mongiana, i cui macchinari furono trasferiti in Lombardia.
Verso la fine del tremendo decennio, la resistenza sconfitta si trasformò in vero e proprio brigantaggio, andò perdendo la spinta ideale che lo aveva animato e le bande rimaste si diedero, allora sì, ad atti di malavita, istigate anche dalla condizione di estrema povertà nella quale le regioni meridionali erano cadute e dalla persistenza del latifondo, che toglieva ai contadini ogni possibilità di una sopravvivenza dignitosa. Solo da quel momento in poi, la repressione piemontese prese il sopravvento: il brigantaggio fu debellato definitivamente e i Meridionali andarono a cercare una nuova vita nelle Americhe, avviando un fenomeno del tutto sconosciuto fino nel Regno delle Due Sicilie. Nel 1861, infatti, si contavano soltanto 220 mila italiani residenti all’estero; nel 1914 erano 6 milioni (13 in tutta l’Italia).
È inquietante, se si pensa che la popolazione dell’ex Regno napoletano era composta da 8 milioni di persone.
Post scriptum. Oltre alle fonti indicate, mi sono servito delle documentazioni raccolte in pubblicazioni recenti di Giordano Bruno Guerri, Pino Aprile e altri, oltre che ai meridionalisti storici, quali Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti e specialmente Antonio Gramsci.
Franco Romanò
Vedi anche su www.overleft.it e http://www.agendadiscrittore.blogspot.com/
E’ quasi tutto vero, e dico “quasi” riferendomi al bilancio piuttosto inverosimile dei caduti (1 milione di morti su 8-9 milioni di abitanti, 266.270 caduti tra i “resistenti”), ma la relazione sembra scritta dai “ribelli” e non da uno storico: alcuni passi sono pregiudizialmente antiunitari e anriitaliani; mancano la quantificazione e la descrizione delle efferatezze compiute dai cosiddetti “resistenti” (dal ’65 al ’70 solo banditi).
Non si tiene poi conto di quale fosse la posta in gioco: l’unità della Nazione, appena conseguita. Questo non giustifica gli eccessi e la “ferocia” (Napolitano) di certi comandanti (e dei loro mandanti) (ma chi ha cominciato?), ma non si può ignorare come sono sempre andate quasi tutte le guerre (in)civili: la Guerra di secessione USA, la Vandea ecc. E poi non si tien conto del fatto che l’Italia, a 5 anni dall’Unità (1866) fu in guerra contro l’Austra, con “metà della forza nazionale” dispiegata al Sud.
Infine domando: perché voler infangare proprio quest’anno il Risorgimento andando a rivangare una sua brutta pagina (peraltro subìta) di 150 anni fa?
In questo modo non si fa il gioco degli odierni antiitaliani del Sud e del Nord?
Lelio Scanavini
Grazie a Lelio del commento, ma non si tratta di “infangare” quanto di riproporre alla riflessione dati che spesso sono ignorati
Adam
Caro Lelio, proprio no. Un popolo che ignora la sua storia non va da nessuna parte e tu semplicemente la ignori; sono quelli come te e come napolitano che consegneranno l’Italia alla lega e ai neo borbonici. Ci sono decine di libri a cominciare da quelli di Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti, Antonio Gramsci. Io sono sono in loro compagnia e ci sto benissimo in che compagnia ti trovi tu non lo so.
Quanto agli Usa, tocchi proprio un punto che ti va completamente contro. Nel luogo in cui si svolse la battaglia decisiva fra nordisti e sudisti c’è una lapide su cui c’è scritto che erano tutti americani, anche i vinti: non li hanno chiamati banditi e nemmeno briganti sebbvene fossero dei truci schiavisti (peggio di briganti), ma americani, mentre tu continui a chiamarli in un altro modo a cento cinquanta anni di distanza. L’unità d’Italia, dalla quale non si deve tornare indietro non sarà difesa dalla menzogna e dalla retorica.
Egregio Romanò, qui mi pare che sia proprio lei a ignorare la storia ma a pretendere di raccontarla. Non per nulla non ha citato una sola fonte della sue informazioni, tranne qualche riferimento generico ad autori come Giustino Fortunato o Antonio Gramsci, che evidentemente non ha mai letto, mentre ha letto certamente Pino Aprile. Come lei non sa, per fare solo due esempi, Pontelandolfo non fu raso al suolo (ci vivevano quasi quattromila persone nell’autunno 1861) e Fenestrelle non era un capo di concentramento, come è facile accertare studiando la bibliografia sull’argomento, se non si vuole indagare attraverso le fonti, e quella scritta che lei riferisce ricorda l’ideologia nazista per la semplice ragione che risale agli anni della seconda guerra mondiale. Quello che lei scrive dei telai di S. Leucio e del macchinario di Mongiana è del tutto inventato.
Senza nessuna intenzione polemica, oltretutto posto queste riflessioni dieci anni dopo l’intervento di cui sopra, quindi può darsi pure che nessuno mai lo legga. Vorrei però dire che in questa analisi del territorio del Regno delle Due Sicilie DOPO l’impresa dei mille, manca del tutto qualsiasi riferimento alla situazione dei rapporti di forza e dello scontro di classe nel Regno delle Due Sicilie PRIMA dell’impresa dei mille (1089, 1088 uomini e una donna Rosalie Montmasson, savoiarda moglie del siciliano Francesco Crispi). Peccato perché sarebbero emerse subito alcune contraddizioni feroci che spiegano anche perché il Risorgimento, che durò ben 52 anni (dai primi moti carbonari del 1818 alla presa di Porta Pia del settembre 1870) coinvolgendo almeno tre generazioni di italiani, fu diffuso in tutta la Penisola, certo non solo al Nord, ed ebbe anzi in alcune zone del Sud veri e propri punti di forza. Cinquantadue anni a tratti costellati da episodi sanguinosissimi; qui ricorderò solo i 1150 giovani e giovanissimi patrioti italiani repubblicani caduti combattendo, fucile in pugno, per la Repubblica Romana (giugno 1849, “giugno di sangue”). Un’analisi del Regno delle Due Sicilie PRIMA avrebbe fatto emergere lo sfruttamento feroce dei braccianti agricoli, contadini senza terra, da parte di baroni e latifondisti . Oppressione reazionaria da cui poi nacquero DOPO il passaggio dei mille episodi come quello di Bronte: qui i proletari delle campagne si illusero che la rivoluzione politica potesse essere anche sociale e diedero l’assalto alle case dei latifondisti mettendole a ferro e fuoco. Va detto inoltre della contraddizione tra siciliani e napoletani. Molti siciliani vedevano nell’esercito napoletano niente di più e niente di meno che un esercito STRANIERO OCCUPANTE. questo NON è, TRA L’ALTRO, MOTIVO SECONDARIO PER SPIEGARE UN DATO NUMERICO STRABILIANTE (STRABILIANTE SE SI PENSA CHE gARIBALDI E MAZZINI FOSSERO DUE PAZZI CHE ORGANIZZAVANO “SPEDIZIONI ALLO SBARAGLIO”, Bé non è così) Eccolo: I 1089 CHE SBARCANO A MARSALA, QUANDO PASSANO LO STRETTO DI MESSINA E SBARCANO IN Calabria, SONO DIVENTATI 50.000 e si chiamano “Esercito Meridionale”. In Calabria trovano altre migliaia di volontari, diventano in breve tempo 60.000.Conosco e ovviamente rispetto le analisi di Gramsci sul Risorgimento. Da marxista (aiuto!l’ho detto!) però so che quello che conta di un evento è il giudizio finale complessivo che si deve dare di un’epoca alla luce del rapporto dialettico dello scontro dei rapporti di forza. Questo giudizio complessivo (sulla direzione impressa alla totalità, potrebbe dire Hegel) è, per me, il seguente: il Risorgimento italiano fu un fenomeno PROGRESSIVO. La repressione dei guerriglieri post/borbonici fu certo feroce. Feroci e sanguinose furono però anche le azioni degli “insorgenti” post/neo borbonici.