MENTI E MONDI – Giornata Mondiale della Poesia del 19 marzo 2010
Scrittura, storia e senso civile
Adam Vaccaro
Le tematiche relative al senso civile dell’arte rientrano nel fare poesia senza connotazioni, se questa è concepita come tensione alla totalità della vita, interna ed esterna, del soggetto. Char scrive: «Casa mentale. Dobbiamo occupare tutte le stanze, le sane come le malate, e quelle ariose, con la conoscenza prismatica delle differenze».
Il titolo menti e mondi implica il soggetto plurale che ognuno di noi è, che nel suo fare creativo, in apparenza solitario, è in realtà prisma di mille altri – uguali e diversi – del presente e del passato: scintilla e voce sulla soglia delle relazioni con l’altro (esseri viventi, cose e linguaggi), della tensione e passione di apertura alla vita nei suoi infiniti aspetti; linfa d’eros del fare poetico, che in origine è congiungere, in primo luogo suono immagini senso. Il poeta era colui che dava il nome all’altro, soggetto sociale che riduceva le distanze tra cose e segni, facendone Cosa, canto-materia di conoscenza e legami tra i componenti di una comunità.
L’accento su chiusure monadiche/monodiche, esalta l’io-io e riduce il senso di mettere in comune. Col che – domanda non retorica perché la poesia non è un monolite – cosa viene esaltato o impoverito? La sua implicita funzione civile non sta, comunque, nel caricarla di compiti impropri o in sovraccarichi ideologici tendenti a salvare il mondo, ma di sentirla nel suo fare originario, di voce plurale che contribuisce, qui e ora, a rinnovare sensi e valori più umani di vita.
Nessuno possiede formule, per questo ho cercato e cerco il confronto sia con autori che con Riviste, quali luoghi collettivi di misura con la realtà, del contesto e dei testi. Che senso hanno per essi tali quesiti posti sul crinale tra storia e immaginazione? Quali strategie di apertura e approfondimenti vengono da ciascuno di essi privilegiati: altri ambiti culturali, autori non contemporanei, stranieri, altro?
Si pone in tali incroci la sfida della comunicazione di Antonio Porta, che non è il “piroscafo di linea” della comunicazione piatta e consueta, ma ricerca di intensità e forme che vanno oltre, se e in quanto incorporano la complessità, sia della scrittura che dei mutamenti epocali in corso.
Quanto alla prima, Hölderlin diceva: «Devo apprendere il rapporto vivente della poesia, l’alternanza reciproca dei toni, la tensione fra pathos e precisione». Matematica della musica e musica della matematica. Pensiero critico ed emozioni. Graffio, fuoco e lingua che vogliono incorporare tutte le altre lingue, in una forma di canto che nasce dalla e nella storia, ma va oltre.
Quanto ai mutamenti di realtà, possono essere utili alcuni richiami di studiosi di vari ambiti. Per Carlo Sini è finito un ciclo di 500 anni: se negli anni ’50 e ’60 vivevamo in un clima di rinascita e di cultura intrecciata alla politica, oggi siamo messi di fronte a una “catastrofe di senso”.
Eleonora Fiorani (in Panorami del contemporaneo) dice: “La lettura degli scenari contemporanei …ci pone di fronte a nuove forme di fruizione…dei flussi…della comunicazione…in continuo mutamento… società progettante dominata dall’economia del simbolico, in cui la produzione di senso diviene produzione di valore economico. Per questo, nel passaggio che stiamo attraversando, di crisi recessiva e culturale, vengono in primo piano il mutamento dei linguaggi e dei valori in grado di aprire nuovi orizzonti e coniugare l’etico e l’estetico, mettendo in discussione la spettacolarità e la logica degli eventi e finalizzati a se stessi, ridando peso al sociale e al pubblico…innalzando la sfida tecnologica per coniugarla a dimensione umana.”
E Umberto Galimberti (in La casa di Psiche) afferma: “la psicologia del profondo, nata in uno scenario umanistico, nell’età della tecnica deve rivedere se stessa fin dalle radici”. Una ricerca di pensiero critico, che riguarda anche la poesia, perché il soggetto, nell’attuale contesto tecnologico tende a essere travolto dalla potenza di quest’ultimo, mai così alta, in una rete impersonale di un mare di oggetti, media e linguaggi, seduttiva per l’Es, pervasiva per l’Io, spinto a ridurre “la sua identità in funzionalità omologata”.
È una condizione che a livello psichico riduce le distanze tra Io e Es, e a livello sociale tende a una mucillagine (vedi l’ultimo rapporto Censis) in cui “gli individui perdono l’anima”, “monadi senza porte né finestre…perché sono cadute le pareti che separano dentro e fuori…che consentono di distinguere un individuo dall’altro”. Un apparato che tende a far collassare il desiderio di appartenenza del singolo nella omologazione funzionale, e “a negare la differenza tra l’Io e l’apparato tecnico che lo riconosce”. L’identità assume il senso di “identico a”, con illusione di libertà e rischio di patologia, tipica dei casi in cui il confine tra esterno e interno diventa incerto. Fino quasi a far apparire patologico il necessario, seppur violento e drammatico, processo di individuazione dell’Io, per affermare il riconoscimento della propria differenza.
L’attuale potenza della tecnica fa dare una risposta rovesciata alla domanda di Eschilo nel Prometeo incatenato, “se è più forte la tecnica (téchne) o la necessità (anánke) delle leggi della natura“: la tecnica (chi la domina) è oggi “di gran lunga più forte” – anche se non sa più darci un futuro-promessa.
Tali fenomenologie non possono non riguardare anche il fare poesia, cui “resta molto da pensare”, se colloca le sue metafore, metonimie e strutture formali nella storia che viviamo. In cui è più difficile la prassi e la teoria di una differenza e di una visione critica inattuale rispetto all’ideologia imperante dell’utilitarismo e del successo. Per la quale ”la sola cosa sacra è la merce”, e può quindi lasciare libero sfogo a egocentrismi tesi solo all’apparire, ma contrae il respiro di una Cosa capace di ricreare nei nostri corpi immagini e simboli di apertura e rinascita verso un altro senso.
Se l’Es è un bambino libero e irretito da oggetti e logiche esistenti (l’Es tecnologico) e l’Io vi accade, lo stesso approccio junghiano teso alla totalità del Sé e a forme di adiacenza intrasoggettiva, in attimi necessari per continuare a vivere, quanto può garantire quel cortocircuito di esplosione di ricchezza di significati e apertura originaria atteso?
Dobbiamo allora domandarci quale tessitura simbolica stiamo articolando: è una mitizzazione fideistica di tecnica linguistica con frutti noiosamente replicanti echi e pornografie dell’esistente, o costruisce una presenza critica fruttificante rispetto all’altro? Cosa succede se il rimosso riguarda meno le pulsioni e più “l’ordine dei significati”? Se l’Io si misura in primo luogo con la difficoltà di idee forti e inattuali, senza le quali la sua differenza è inesistente “rispetto al senso codificato”, al gioco simbolico non viene a mancare la parte fondante: l’esercizio del “coraggio di mantenere la…apertura di senso” della propria identità, definita non in astratto ma rispetto alla storia in atto?
È in questo gioco e in tale quadro che credo occorra collocare la ricerca di un rinnovato senso civile della poesia.
Marzo 2010
Adam Vaccaro