Lo chiameremo Olmo
di Patrizia Gioia
Dicono che le radici dei frondosi – e perchè no, irrispettosi- olmi di via Mac Mahon danno noia alle rotaie del tram, del resto radici simili mica possono prosperare dentro una prigione d’asfalto, cella in cui furono trasferiti ai primi del novecento, dopo essere stati, volenti o nolenti, sfrattati dalla loro casa, il marciapiede davanti alla nostra di casa, dove gratuitamente offirvano respiro e bellezza.
Non è che potremmo qualche volta essere sinceri e dirci che con le rotaie abbiamo violato per la seconda volta la casa di questi nostri poveri amici olmi e dirci che non ce ne frega niente della nostra prepotenza, anzi questa volta siamo ancora più bruti e, alla faccia anche di Dante, li abbatteremo, ma siccome continuiamo ad essere finti cristiani e finti esseri umani, imbevuti di buonismo e sensi di colpa, ci diciamo che ne metteremo
altri a dimora. E ci raccontiamo che siamo noi in pericolo, poveri cittadini stiamo attenti, la natura potrebbe crollarci addosso. (A volte lo spero) .
Così ci diciamo che quegli olmi lì, mica ce le hanno profonde le radici e potrebbero da un momento all’altro caderci addosso.
( Del resto come avrebbero potuto averle ? con trenta centimetri di terra nemmeno un ciclamino sarebbe tanto felice, figuriamoci un olmo !).
Peccato che olmi e rotaie non possano giocarsela a carte la loro sopravvivenza, o magari a un duello, senza la miserevole nostra intercessione e invece siamo sempre noi i padroni e, per ora almeno, la morte è sempre quella dell’altro.
So che sono un’anacronismo vivente, un’arretrata e per giunta nemmeno molto intelligente, la tecnocrazia mi spaventa più della lebbra, del resto mi ostino ad essere poetessa, con nel sangue più Ada Negri che la Plath, ma è in provincia che ho imparato ad amare “l’essere” più che il “progresso”. Sono talmente ingenua da credere che l’umano possa divenire davvero “quello che è” , se solo iniziasse a “conoscere sé stesso”, andando a conoscere , udite udite, le sue profonde radici, proprio quelle che continuamente sradica, come se avesse paura di vedere quello che è diventato..
Forse sono un relitto di un’altra era geologica dove un padre chiamava il figlio Olmo, sperando potesse diventare come quella cara pianta amica, cresciuta con e come lui davanti a casa, quando ancora si chiedeva aiuto al cielo per un buon raccolto da condividere, seduti tutti insieme, sotto un cielo di stelle.
“i semi della gioia”
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