Libertà vo cercando…
di Laura Cantelmo
Alcune riflessioni sul termine libertà e sui suoi derivati, in riferimento all’articolo di Gianni Minà sulla crisi del neo-liberismo (Il Manifesto – 7/10/2008), vedi post del 12 ottobre 2008.
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Il sistema capitalistico nella sua fase neo-liberista sembra essere alle corde. Anche se siamo stati abituati alle sue mille risorse di sopravvivenza, la crisi che tale sistema sta attraversando, se non segna semplicemente una fase, certamente mostra che il gioco finanziario estremo che ha portato al fallimento – impensabile solo poco tempo fa – di alcune importanti banche statunitensi con ripercussioni gravissime in tutto l’universo che fa parte dello stesso sistema, ha denudato il re, se mai ce ne fosse stato bisogno.
Ciò che mi impressiona ogni giorno di più è la pervicacia con la quale un sistema come quello attuale consideri la categoria di Libertà il proprio concetto fondante. Credo che mai parola sia stata più mistificata e abusata.
Poiché siamo stati abituati ad accettare l’assunto che l’unico sistema politico che garantisce la libertà è quello capitalistico, allorché ci troviamo di fronte a fatti clamorosi come quello della crisi finanziaria attuale, può capitare che qualcuno si ponga il problema di quale sia l’accezione di quel lemma – libertà – a cui si fa appello.
Ed è a questo che faccio riferimento unicamente come appassionata delle parole e del loro significato. Perciò mi affiderò a Dizionari della lingua italiana più che a saggi economico-filosofici.
Libertà, secondo il Devoto-Oli, è uno “stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale e politico.”
La libertà conquistata dalle Rivoluzioni del Settecento, quella che rendeva indipendenti le colonie nord americane dal re d’Inghilterra e quella proclamata dalla Rivoluzione francese, che promettevano “la perfezione della felicità”, sancivano in realtà la fine di un sistema di subordinazione a un sovrano, permettendo alla borghesia di affermare il proprio potere.
I principi di Liberté, Ėgalité, Fraternité, pur rappresentando un progresso nel riconoscimento dei diritti civili, videro presto disatteso il concetto di uguaglianza.
I diritti dei cittadini sanciti dalle Costituzioni di quegli Stati, che affermavano “Gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei loro diritti” vennero prontamente cancellati in Francia dai termidoriani e dai monarchici costituzionalisti nella Costituzione dell’anno III (1795).
Sappiamo che negli Stati Uniti gli schiavi neri non furono neppure presi in considerazione dalla Costituzione. Nell’Ottocento, al termine della Guerra di Secessione, allorché la vittoria degli Stati del Nord sancì l’abolizione della schiavitù nel Sud, la liberazione degli schiavi neri servì a fornire mano d’opera per le industrie nordiste. E’ dimostrato che la nuova condizione dei neri “liberati”, al lavoro nelle fabbriche, non era più confortevole o dignitosa di quella degli schiavi.
Libertà , secondo il Dizionario Garzanti “assenza di costrizione”, rappresenta l’ideale per il quale si sono scatenate guerre, sono morte milioni di persone e molte, noi compresi, credo, saremmo pronti a immolarci.
Penso, solo perché la memoria è ancora fresca, agli eventi più recenti. La guerra in Iraq non è forse stata scatenata dalle gestioni Bush senior e junior in nome della libertà del popolo iracheno? E l’eterna campagna di Afganistan non nasceva dall’urgenza di liberare il paese dal fanatismo talebano, complice del nemico mortale Osama Bin Laden? Inutile ripercorrere la storia di questi eventi nefasti, perché è noto a tutti coloro che hanno ancora la volontà di documentarsi e di accedere non solo alla nuda cronaca, ma anche agli approfondimenti critici che non mancano, che ciò che veniva chiamato Libertà era quanto mai lontano da essa. Il fallimento di tali campagne è sotto gli occhi di tutti.
Per fornire un riferimento letterario, quando il Presidente Wilson decise l’intervento degli USA nella prima guerra mondiale, chiedendo l’arruolamento volontario ai giovani del suo paese in nome della libertà e della democrazia, tra coloro che risposero all’appello vi erano anche gli scrittori Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway. La delusione che seguì a quell’esperienza, la rivelazione dei poco nobili fini che stavano dietro l’intervento provocò una delusione tale che portò Fizgerald e gli altri membri della cosiddetta “Generazione perduta” a un edonismo sintetizzato dal motto “mangia, bevi e sii felice, perché domani morirai”. Quello fu anche il motto dei “ruggenti anni 20”, un periodo in parte simile (e lo dico con brivido) a quello attuale, di frenetica ricerca dell’effimero e di finanza irresponsabile, che condusse al crollo di Wall Street nel ’29 e alla grande depressione del decennio successivo favorendo, in Europa, l’ascesa di Hitler e poi la seconda guerra mondiale.
Ma tornando ai termini connessi con il lemma Libertà, quali liberale: ”movimento politico che afferma l’esistenza dei diritti individuali e assegna allo Stato il compito di garantirli” (Garzanti) e liberismo, “termine relativo al libero scambio – libera manifestazione dei comportamenti economici” (Garzanti), vale a dire che, con diverse sfumature di interpretazione, l’intervento dello Stato deve essere assente oppure limitato ai casi in cui il privato non ha possibilità di attivarsi.
In seguito alle Rivoluzioni del 600-‘700, con il superamento dell’assolutismo monarchico, si afferma l’uguaglianza politica e giuridica dei cittadini, riservata unicamente ai “maschi adulti” che, in quanto tali, sono liberi di eleggere e di essere eletti.
La parità giuridica e politica, realizzata pienamente solo per breve tempo sotto il potere giacobino e il Terrore nella Rivoluzione francese, si riduce progressivamente nell’Ottocento, durante il quale, secondo la logica del capitalismo industriale il concetto di uguaglianza comprende solo e unicamente il cittadino maschio, proprietario di un patrimonio fondiario o di immobili, che permettono di ritenerlo libero, moralmente responsabile ed economicamente indipendente (Locke).
Nel Novecento si accentua la tensione verso l’uguaglianza di tutti i cittadini, i cui diritti, tuttavia, sono limitati dalla prassi e dall’organizzazione del capitalismo, fondamentalmente basate sulla disuguaglianza.
Secondo Norberto Bobbio “solo genericamente e retoricamente si può affermare che tutti sono uguali rispetto ai tre diritti sociali fondamentali – al lavoro, alla salute, all’istruzione.
Per cui i diritti politici tendono a diventare solo una “maschera totemica”, quella della sovranità popolare e della rappresentanza, istituti ormai privi di alcuna reale funzione di controllo del potere, e tanto meno di partecipare al suo esercizio .
Dopo la crisi del ’29 l’economista inglese Keynes sperimenta negli Stati Uniti una nuova politica di intervento economico dello Stato. Ecco dunque che il liberismo deve piegarsi a ricorrere all’aborrito intervento statale. Come sta accadendo nella crisi finanziaria in atto.
La società postindustriale, dominata dalla comunicazione informatica, grazie alla pressione simbolica dei mass media vede ridursi gli spazi di libertà di auto-orientarsi a livello cognitivo.
In realtà, il libero accesso a un’informazione “libera” con le pay-TV come SKY, non è segno di libertà, ma di adesione alle logiche occulte che governano la selezione dei programmi. Esse tendono a rispondere alle aspettative del pubblico, le quali sono in realtà manipolate dai media.
Da ciò derivano “torpore sociale” ed inerzia verso le tradizionali forme di partecipazione collettiva che promuovevano il dibattito e la consapevolezza.
Il codice televisivo, fondato sul successo, la spettacolarità e la personalizzazione mira a spegnere lo spirito critico e ad alimentare forme di delega plebiscitaria, come ben vediamo dalla comparsa di Berlusconi in politica. Sono quei modelli, più che semplicemente la sua condizione di imprenditore televisivo, che gli hanno permesso di ottenere un così largo consenso.
Se questa che ci viene offerta è la libertà , chiediamoci quale effetto abbia la mistificazione linguistica sulla società e sui singoli, sulla nostra vita.
Bibliografia essenziale:
Bobbio, Norberto, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1992
Zolo, Danilo, Da cittadini a sudditi, Punto Rosso/Carta, Milano 2007