Cala il sipario sul Novecento? O sulla poesia?
La morte di Edoardo Sanguineti
Gio Ferri
I lettori di Testuale 46 ricorderanno una breve scheda in cui si deprecava la vicenda dello Scandaloso merinismo. Non si trattò d’essere troppo severi verso una povera, (non innocente!) creatura, Alda Merini. Si volle stigmatizzare l’insipienza di certa pseudocritica e soprattutto la crassa ignoranza, per altro funzionale (gli ignoranti sono sempre assai furbi!) ad una squallida mistificazione culturale, di quell’establishement che sta portando il nostro paese ai livelli più infimi di una già fin troppo misera massificazione (televisiva in particolare). Scandalosi furono i funerali di stato e l’esaltazione di una infelice scrittrice di ‘pensierini’, poco più che miseramente infantili, elevata al riconoscimento di una delle maggiori poetesse del Novecento!
Lo scandalo, a poche settimane di distanza, si maifesta ancor più clamoroso se si considera, esterefatti, la trascurata supeficialità dei media e il silenzio delle autorità critiche e civili che si va consumando in questi giorni per la morte di Edoardo Sanguineti. Probailmente più avanti qualcuno ne parlerà, non si vuol dubitarne, ma certamente il triste evento, lo si nota fin d’ora, non soffrirà certo di quel clamore che ha sollevato la scomparsa della Merini.
Con la morte di Sanguineti si chiude (confidiamo – ma temiamo – non definitivamente) una delle stagioni più creative, più sapienti e più avventurose della letteratura del Novecento. Al di là di ogni aperto e contrastante, pur lecito, giudizio. Testimonianza comunque di una ricchissima e dialettica ricerca culturale, ancorché civile e politica tout-court. Noto è l’impegno concreto di Sanguineti durante una certa stagione parlamentare.
Uomo dichiaratamente di sinistra – e in quell’ambito non certamente personaggio acritico, anzi sovente polemico – rimane forse uno dei più importanti esempi di studioso e poeta straordinariamente attento ai valori della forma, mai soffocati da una oppressiva ideologia. La creatività eccezionale del suo discorso, della sua scrittura, seppe indagare ed esaltare le qualità di una realtà trasfigurata oltre ogni facile contingenza. Non asservì mai la natura più intima (personale e pubblica) della poesia alla menzogna di un utilitarismo banale seppur, talvolta, necessariamente prammatico.
La marca essenziale della sua produzione poetica si rivela nella sua costante operativa affermazione di una rivendicazione della verità umana e politica, nel senso più ampio, attraverso l’eversione linguistica e letteraria. La parola poetica, al di là dei messaggi di contenuto più o meno condivisibili, e di per sé rivoluzionaria. Nella rivoluzione della metamorfosi formale. Del 1965 è propriamente il testo teorico Ideologia e linguaggio.
Inizialmente, per buona parte, si trattò di una adesione al programma di Giuliani nei Novissimi e poi della determinante ventura – per la letteratura del secondo Novecento – del Gruppo 63. Ma ben presto la peculiarità della sua scrittura si affermò nella maniera più originale ed eversiva. Per altro già rivelatasi anticipatamente fin dal ’56 con Laborintus, e confermatasi appunto nel ’63 con Purgatorio de l’Inferno. E di quell’anno anche il romanzo Capriccio italiano. Ma non possiamo qui, ovviamente, elencare la sua bibliografia che si può benissimo definire ‘immensa’. Non solo nella creatività, ma ancora nella ricerca critica e storica. Seppure così ‘rivoluzionario’ non si limitò allo stravolgimento verbale ma si dedicò sapientemente e innovativamente, a conferma della sua visione della letteratura, allo studio di Dante, e di autori che potevano sembrare, considerati superficialmente, lontani dalla sua intenzione poetica: Goethe, Gozzano, Pascoli, Lucini, Moravia…, dal Crepuscolarismo al Liberty. Notissima è l’antologia da lui curata Poesia del Novecento del 1969.
Come è noto fu autore di testi teatrali e collaborò con Berio, e con Ronconi per una straordinaria messa in scena nei luoghi più diversi (al chiuso, nelle piazze, in televisione) dell’Orlando Furioso.
Si dovrà dire a lungo, con acume critico e dovizia di analisi, della sua opera complessiva. E della sua visione del mondo. Una impresa che richiede interventi di prestigio. A riprova che non si vuol credere (illusione?), come qualcuno pretenderebbe sicuramente non in buona fede, che il sipario sia definitivamente calato sul Novecento, e soprattutto sulla poesia. Ovviamente, ma pare banale sottolinearlo, il Novecento e le ragioni poetiche di Sanguineti (e di Zanzotto, per fare l’altro nome fondativo di un nuovo mondo della parola) non vanno né superate né tanto meno destinate all’oblio dei testi scolastici. Vanno – al di là dell’incacellabile piacere della lettura – considerate un punto di partenza per una rinnovata ragione poetica (illusione?).
Per concludere questa troppo breve nota ci piace leggere pochi versi da Purgatorio de l’Inferno a rivelazione anche di un imprevedibile lirismo, entro la materia d’eversione della scrittura e del senso:
…………
(due giorni più tardi) storditi ancora, quasi inerti: e pensare (dissi);
che noi (quasi piangendo, dissi); e volevo dire, ma quasi mi soffocava,
davvero, il pianto; volevo dire: con un amore come questo (noi):
un giorno (noi); (e nella piazza strepitava la banda; e la stanza era
in una strana penombra);
(noi) dobbiamo morire:
Gio Ferri
22 maggio 2010
non so nulla di poesia. avevo delle cose da dire ed ho pubblicato un libro “Buttiamola in poesia” Poi ho scoperto E. Sanguineti e ho avuto conferma che anche la mia, con tutta la sua umiltà, é poesia. Grazie Maestro
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