Il cuore e la storia resistenti di Milano
Adam Vaccaro
***
Vedi anche su Rivista “Odissea”: Adam Vaccaro. Il cuore e la storia “Odissea”:
https://libertariam.blogspot.com/2024/02/il-cuore-e-la-storia-di-adam-vaccaro.html
***
Angelo Gaccione, La mia Milano, Meravigli Ed. 2023, pp. 222, € 17.
Bisogna avere un grande cuore, al pari di quello che si vuole aprire e riaccendere, per poterlo raccontare e farne corpo di questo libro di Angelo Gaccione. Cuore, beninteso, non come melassa sentimentale, ma come centro vitale di intelligenza che sa andare in profondità, per risalire col sorriso trionfante di un sub con in mano una perla che brilla nelle sue mani. Un frutto di lavorio lungo, attraverso il tempo e lo spazio, immagine di bellezza, perché sintesi di quella nostra illusione di prendere nelle mani la totalità della vita, che solo le oasi d’amore ci regalano, dopo lunghi attraversamenti di sabbie aride.
Stiamo percorrendo un tratto di storia, che disegna orizzonti illusoriamente aperti tra dune desertiche, che ci accecano e ci seccano le labbra, tradendo promesse risolutive delle somme di ansie, pericoli, ignominie e orrori che costellano sempre più le linee del contesto. Questo libro di Angelo Gaccione diventa così una sorprendente, salutare macchia verde dei rari ristori cercati e trovati.
E che questa oasi abbia il nome di Milano è un regalo inatteso, vivendo e respirando nella sua crescente foresta di problemi irrisolti e cemento. Ma è l’amore che sa scovare tutte le ragioni per glorificare e fare Luogo di un orizzonte che tende a esaltare connotati di un nonluogo metropolitano.
La carrellata nel tempo e nello spazio, che Angelo inanella va a caccia di tutte le tracce ed evidenze, non solo architettoniche, che resistono e smentiscono tali tendenze, come testimoni testardi presenti ai delitti commessi, ma che riaffermano ragioni di un passato che ostinatamente vuole essere pedana di un salto verso un futuro disegnato entro un’altra prospettiva.
È una sfida che sfama il nostro bisogno di coniugare bellezza, quale incrocio antropologico di dignità operosa ed etica, che fece meritare a Milano l’appellativo di Capitale morale, prima di vederlo rovesciare in morale del capitale, con il trionfo, a partire dagli anni ’80, del neoliberismo globalizzato e del dominio finanziario su tutte le attività umane.
Gaccione racconta la sua vicenda personale, quando arrivò a Milano dalla Calabria alla fine degli anni ’60, col sogno di una nuova vita in quella che allora era ancora una città, nemmeno tanto grande, col suo Monumento di marmo al centro di un fervore di vita e una Madonnina d’oro in cima. I terroni che arrivavano vi trovavano sensi di comunità unita a una sacralità della vita, seppure con nomi e forme diverse da quelle delle proprie origini. Chi vi arrivava (anch’io ne feci approdo dal Molise, dieci anni prima) trovava modi di rinascere dopo il trauma del trapianto, perché Milano – come tutte le altre realtà urbane, piccole e grandi, era ancora una realtà-città, che proiettava nell’animo di chi vi viveva una sua identità, con segni di storia, memoria, arte e civitas, trasmessa da evidenze di luoghi del sacro e luoghi amministrativi, quali segni-simboli che componevano. una immagine finita dell’infinito.
Lo tsunami cementizio travolgente degli ultimi ‘60 anni ha come accerchiato questi segni, e anche se non ha potuto ovviamente cancellarli, ha prodotto rovesciamenti di sensi del passaggio da una realtà-città a una realtà-metropoli, con l’accentuazione di spazi e strutture poco distinguibili gli uni dagli altri, in luoghi senza identità tendenti a disegnare quei nonluoghi, che rovesciano la percezione urbana dei sensi precedenti in immagine infinita del finito.
È una immagine consona alla cancellazione del senso del limite, alias dell’etica e del senso del sacro, rispecchiante la visione e i deliri di onnipotenza, la hybris costitutiva dell’ideologia neoliberista che si addobba di una magia tecnologica capace di farne essenza e immagine, con zoccoli, poteri e armi monetarie, dominanti e insieme invisibili.
Gli ultimi decenni sono stati teatro di esplosioni ravvicinate di innovazioni, diventate supporti di disgregazioni socioculturali, che hanno inciso anche sulla “amministrazione di una città” e ridotto anche il senso civico della “cura che ciascuno ne fa per la sua parte”, frase di Licurgo, citata dall’Autore, in esergo alla sua nota iniziale, con la quale evidenzia le sue origini che non fanno ombra all’amore per questa sua nuova casa, amata perché è stata fonte di una ulteriore crescita della propria identità: “Non ho sangue milanese nelle vene, ma spesso i figli adottivi si rivelano più affettuosi e riconoscenti dei figli “legittimi”.
Gaccione va perciò a caccia di luoghi che illuminano e trasmettono la fatica, i pensieri e l’umiltà di essere umani, che sono tali, solo se incarnano una polis e la sua identità collettiva, orgogliosa quanto bisognosa della visione di un Oltre e Altro, storico, sociale e spirituale, che riguarda sia credenti che non credenti. Un Oltre che non può essere restituito dall’infinito indistinto e artificiale, a tratti infernale, di un sacro senza mistero.
Il libro è un viaggio, sia orizzontale che verticale, che risponde a tali orizzonti e fa rivivere la magia delle ricchezze accumulate dalla storia, se si è capaci di uscire dall’indifferenza della “maggior parte dei suoi abitanti” verso il “destino della città”, che “appena può corre altrove, come se la città fosse invasa dalla peste”.
Ma è in effetti una sorta di peste invisibile che è subentrata, come il ronzio sordo di insetti corifei dello scenario cementizio che ha ricoperto navigli e dilaga intorno al suo cuore originario. Uno sviluppo e inviluppo che producono respiro affannoso, fisico e mentale, e che a tappe crescenti hanno issato vessilli chiamati progresso e fatto della città una metropoli.
Sono vessilli di centri di potere economici che di tali magnifiche sorti e progresso hanno fatto fonte di un processo di concentrazione di ricchezze finanziarie, che ha asservito gran parte delle tradizionali forze politiche e ridotto lo Stato a un fantasma, tra illegalità, corruzioni e impoverimenti crescenti delle classi lavoratrici, pur essendo queste le formiche artefici di quelle ricchezze.
Il viaggio di Gaccione segue i percorsi di una coscienza critica rispetto a tutto il processo che ha informato gli ultimi decenni, stando “dalla parte degli interessi collettivi contro le consorterie e le lobby di ogni tipo, che si annidano, impudentemente, a destra e a sinistra.”.
E non a caso le prime tappe del suo libro riguardano proprio simboli del sacro, con sensi laicali di difesa del sacro della vita, ridotta a merce e a medium di affare, fino a far diventare privati, elementi e alimenti primari, dall’acqua a beni pubblici di sussistenza, quali energie e sanità.
Il viaggio è in primo luogo pedonale, di un cammino che ha sentori di un pellegrinaggio, con primi capitoli e soste ne “La Sala Capitolare di Santa “Maria della Passione”, in “San Bernardino alla Monache”, e “Santa Maria della Sanità e via Durini”, più avanti le abbazie di Viboldone e Chiaravalle, ”Il Luogo Pio di San Giuseppe”, cui segue ovviamente, oltre alla “La Fabbrica del Duomo”, il Lazzaretto e le Lapidi dedicate alla Resistenza, per chiudere il percorso del libro, non a caso, con “Campane e campanili”.
Ma tra l’abbrivio e una sorta di ossimorica chiusura aperta del cerchio narrativo, il cammino inanella musei e spazi culturali, fontane, giardini e alberi, presenze parimenti del sacro (“Niente è più sacro e più esemplare di una albero bello e forte”, citazione in un esergo, di Hermann Hesse).
Chiudendo questo sintetico resoconto, come detto, il pellegrinaggio amoroso non è solo orizzontale, da via a via, da porta a porta, è anche verticale. Ma pure tale moto, non è solo nei meandri della piccola storia personale che rivive visitando questo o quello scorcio, inebriandosi ad esempio nel ricordo di una via piena di sole, che magari riaccende fulgori lontani e perduti dell’infanzia calabrese. Come già evidenziato con alcuni titoli delle tappe del percorso, il moto sprofonda e fa riemergere soprattutto memorie epiche, gloriose e dolorose della storia collettiva, recente e lontana.
In ultima sintesi, la lettura del libro è una esperienza che sa coniugare restituzioni affettive con presa di coscienza e responsabilità eticosociali. Eppure non basta, perché il moto verticale si apre anche all’immaginazione, di cui diventa focus simbolico il volo del capitolo finale, “Milano vista dall’alto”, nota ed eco di leggerezza del testo, nonostante le tematiche coinvolte siano tutt’altro.
Leggerezza e impegno si intrecciano, così, in una scrittura e lettura, che donano tensione alla totalità, sottolineata all’inizio e per me fondamento della passione poetica, che fu parimenti alla base – mi sia qui consentito di ricordarlo – di quel mio progetto, “Il Castello, Storia e Immaginazione”, realizzato nel 2007 con Milanocosa: 5 incontri che coinvolsero diecine di autori e artisti, non solo soci, nell’allora libreria del Castello Sforzesco (inopinatamente cancellata), con contributi poi raccolti nel libro, “Milano, Storia e Immaginazione”, (Milanocosa Ed. 2011).
Lo ricordo, non per autocelebrazione, ma perché nella lettura di questo libro non comune, tra mille altre consonanze, ho ritrovato e mi ha fatto rivivere anche quella straordinaria esperienza collettiva di fatica felice, suscitata dalla Milano che resiste agli interessi contrari alla ricchezza della sua storia.
11 febbraio 2024
Adam Vaccaro
Un grande amore per Milano e la volontà di comunicarlo agli altri, mostrando le bellezze che molti ignorano ai questa città dai tanti volti. A chi d Milano ha visto solo l’aspetto del “lavoro” e del faticoso clima di pianura, la testimonianza di Gaccione dice che Milano è anche Storia e mistero, è arte e accoglienza e difficile resistenza alla cementificazione. Tutto questo è stato affettuosamente e abilmente colto da Adam Vaccaro.