Il coraggio di cambiare:
il nuovo Uruguay di Pepe Mujica
di Giacomo Russo Spena su Micromega di domenica 3 agosto 2014
Un libro ricostruisce la storia del “Presidente Impossibile”, da guerrigliero tupamoros a Capo dello Stato. Stile di vita sobrio, si definisce socialista e libertario e sta trasformando il Paese legiferando soprattutto sui diritti civili: un laboratorio interessante – come un po’ tutta l’America Latina – da studiare e analizzare.
Erri De Luca lo scrive nell’introduzione: “Peppe Mujica e il nuovo Uruguay democratico inaugurano insieme il tempo moderno e il futuro praticabile. A me lettore di queste pagine fa venire voglia urgente di andare a vederlo”. Non un istant book su un personaggio in voga ora in Occidente, “Il presidente impossibile” – scritto a quattro mani da Nadia Angelucci e Gianni Tarquini (editore Nova Delphi, 199pp) – è un lavoro iniziato anni fa: una narrazione dettagliata e documentata di una piccola grande rivoluzione in un Paese passato dal crack economico a rappresentare un interessante laboratorio socio-politico.
Un profondo cambiamento che sta riguardando, tra anomalie e qualche contraddizione, l’intero continente latinamericano dove una nuova leadership progressista – e populista, secondo le categorie dello studioso Ernesto Laclau – è stata capace di conquistare una egemonia culturale che passa attraverso la critica e l’opposizione al modello neoliberista: “A noi arrivano i successi ottenuti dai governi nati dall’ondata di cambiamento ma bisogna ricordare che il loro emergere è stato favorito dal lavoro dei movimenti sociali latinoamericani, dei movimenti indigeni e sindacali – affermano i due autori del libro – I governi progressisti e integrazionisti sono per lo più frutto di questo costante lavoro di riflessione, analisi e azione. Dall’altra le organizzazioni partitiche, nel caso dell’Uruguay, hanno saputo cogliere queste istanze e considerano i movimenti interlocutori alla pari”. Appunto l’Uruguay, governato ora da un ex guerrigliero tupamaros.
Il testo ci porta in questo Stato di soli 3 milioni di abitanti, principalmente agricolo dove “la terra ha un potere quasi religioso”. Si ripercorre la biografia di Pepe Mujica – classe 1935 – il quale fin da giovane dimostra l’attaccamento alla vita rurale diventando un esperto di fiori (soprattutto giapponesi) da vendere in fiere e mercati. Ma la politica entra presto nella sua vita. Si forma ispirandosi al pensiero anarchico, successivamente sposa un marxismo eterodosso. Negli anni ’60 visita la Cina di Mao Zedong e la Cuba di Che Guevara rimanendo positivamente colpito dall’esperienza cubana, mentre dell’Unione Sovietica riporta il rifiuto verso un modello anchilosato a causa dell’enorme peso della burocrazia.
Aderisce al Movimento di Liberazione Nazionale-Tupamaros nel 1966, in un Uruguay in grande fermento politico: sono gli anni di una destra golpista che getterà le basi per il futuro regime. Mujica sceglie l’opzione militare. Il MLN, un gruppo armato di sinistra ispirato dalla rivoluzione cubana e alla difesa dei diritti dei lavoratori della canna da zucchero (cañeros) del nord del Paese sindacalizzati da Raúl Sendic, è inclusivo e attira militanti politici e sindacali di diversa provenienza.
“Fummo molto attenti – le parole di Mujica riportate nel libro – cercammo di evitare il più possibile lo spargimento di sangue. Perché eravamo imbottiti di questa percezione anche in quanto figli dell’Uruguay, un Paese che ha determinate caratteristiche tra le quali quella della vita umana come un valore portante”. Una guerriglia di liberazione principalmente urbana che nel tempo è duramente piegata dalla repressione del governo: molti attivisti sono uccisi, la polizia scheda e sorveglia 300mila persone. Lo stesso Mujica è torturato e arrestato nel 1971. Proprio l’esperienza di prigionia, di cui ben 12 anni in isolamento, è fondamentale per capire il suo attuale pensiero: “In quella cella realtà e immaginazione erano tutt’uno”. Uscito dal carcere, l’Uruguay è in via di cambiamento. Lui, animale politico, passa dalla lotta armata alle vie parlamentari. Viene eletto per la prima volta deputato il 15 febbraio 1995.
Nel libro viene ricordato uno dei suoi interventi maggiormente esplicativi del suo pensiero: “La democrazia vera non esiste, è una meta da raggiungere, non so quando né so bene come. La democrazia è un insieme di compromesso, lavoro, partecipazione, gestione dell’economia e tutto il resto. Noi siamo lontani da tutto questo e mi sembra che si avvicinino di più i popoli indigeni. La democrazia liberale […] massifica, non promuove lo sviluppo delle enormi potenzialità della società, non dà opportunità, è rigida […]. Il fatto che io accetti di navigare con questo sistema non significa che mi illuda che sia il sistema ideale. No! Da questo punto di vista sono socialista come esattamente trent’anni fa”. Nella sua attività parlamentare da subito si evince la necessità di restituire il Parlamento ai cittadini come luogo di discussione ed elaborazione: “Compagni, il mondo è sottosopra. Nel palco dovreste esserci voi e noi in basso ad applaudirvi”.
I giornali raccontano come si sia presentato il giorno dell’insediamento con jeans, maglietta, spettinato e con una vecchia motocicletta. Questo il suo stile di vita, estremamente umile, sobrio e quasi – lo definirei – francescano, che ad oggi ancora lo caratterizza. Nel 2010 l’elezione a presidente dell’Uruguay col Frente Amplio, dopo un’esperienza da ministro nel primo governo di centrosinistra nel Paese.
Da premier rinuncia a tutti i privilegi della cosiddetta casta. Rimane a vivere nella sua umile chacra, con la sua compagna (anch’essa militante storica del MLN ed intervistata nel libro) e i suoi tre amatissimi cani. Nel poco tempo libero si dedica alla terra, al trattore, alla coltivazione. Come scrivono Nadia Angelucci e Gianni Tarquini “l’unicità di Mujica è data proprio dalla sua resistenza ad un certo tipo di ‘civilizzazione’”.
E poi l’innovazione nel Paese. Soprattutto sui temi dei diritti civili: l’istituzione del matrimonio omosessuale (una rivoluzione per uno Stato latinoamericano) e la legalizzazione dell’uso della cannabis. Non solo. La decisione di lottare contro gli sprechi e di donare gran parte del suo stipendio ai poveri. Per ultimo, la campagna contro l’eccessivo uso delle armi: a chi dà indietro un fucile lo Stato garantisce una bicicletta e un computer. Strumento sempre più utilizzato e diffuso nelle scuole dell’Uruguay. Un consenso nei suoi confronti in grande ascesa anche se non mancano critiche. Qualcuno lo accusa di aver fatto poco a livello socio-economico, di non aver contrastato fino in fondo le politiche liberiste e di non aver ancora attuato riforme strutturali (come la riforma agraria). Mujica ne è consapevole. Parla di “umanizzazione del capitalismo” e, nel suo definirsi ancora socialista e libertario, chiede tempo per attuare completamente quel cambiamento promesso e annunciato.
Pragmatico, rappresenta nel governo un uomo di grande mediazione che però ha avuto il coraggio di non abbandonare mai l’utopia: “Chi non coltiva la memoria, non sfida il potere – le sue parole – E’ questo lo strumento per costruire il futuro che, in ogni caso, è nostro perché non hanno potuto sconfiggerci”. Non un modello esportabile. Né un esempio da seguire in maniera pedissequa. Ma dall’Uruguay ci giunge un laboratorio politico-sociale che dovremmo analizzare e studiare per riscoprire da noi le ragioni della sinistra e riaffilare gli strumenti per la lotta dal basso. Il libro di Angelucci e Tarquini è prezioso per tali motivi.