Italia: numeri e annunci

Pubblicato il 3 marzo 2016 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

Il presidente del Consiglio pubblica su Facebook un post “urticante per i gufi” in cui rivendica di voler fare chiarezza sui dati dell’economia italiana. Ma la sua selezione lascia fuori, su ogni argomento, molte informazioni altrettanto importanti. Per esempio l’Italia è quartultima in Ue per crescita del prodotto, che resta inferiore a quello del 2000. E se le imposte indirette sono scese, quelle dirette sono salite, Irpef compresa.

Pil, tasse, lotta all’evasione e mutui: i “veri numeri” di Renzi e quelli che al premier non piacciono

di Chiara Brusini sul Fatto quotidiano.it di mercoledi 2 marzo

“Post urticante per gufi e talk”. E’ la premessa con cui il premierMatteo Renzi apre un post su Facebook in cui invoca “chiarezza sui veri numeri dell’economia italiana” nel giorno in cui l’Istat ha diffuso i numeri definitivi su pil e conti pubblici del 2015, oltre che sugli occupati e sull’andamento del mercato del lavoro, mentre l’Agenzia delle Entrate ha ufficializzato i risultati dellalotta all’evasione, che lo scorso anno ha portato nelle casse dello Stato 14,9 miliardi. “Dopo mesi di editoriali, chiacchiere, ricostruzioni, possiamo finalmente fare chiarezza“, scrive il presidente del Consiglio. Ma la disamina che segue, ancora una volta, è una selezione dei dati più favorevoli scelti tra quelli diffusi da diverse fonti. E lascia fuori molte informazioni altrettanto rilevanti.

Il Pil torna a salire, ma siamo quartultimi nella Ue – “A inizio del 2015 avevamo immaginato la crescita del +0,7%”, si legge nel post. “La crescita è stata invece del +0,8%. Meglio delle previsioni. Il Governo Monti aveva chiuso con -2,3%; il GovernoLetta con -1,9%”. Tutto vero, ma Renzi omette alcune informazioni. Per prima cosa, la crescita del +0,7% era prevista dal Def di aprile2015, ma la nota di aggiornamento del Documento, approvata a settembre dello scorso anno, l’ha alzata allo 0,9%. Solo a dicembreRenzi ha informalmente rivisto al ribasso la previsione a +0,8%, nonostante le resistenze del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che lo sollecitava a “tenere il punto”. Per interpretare il valore del dato, poi, sono indispensabili un confronto con gli altri Paesi e uno sguardo al livello assoluto del prodotto. Sul primo fronte, lo stesso Istat rileva che “i dati disponibili per i principali paesi sviluppati indicano un aumento del pil in volume del 2,4% negli Stati Uniti, del 2,2% nel Regno Unito, dell’1,7% in Germania, dell’1,2% in Francia”. Nel resto dell’Unione europea, solo Grecia,Austria e Finlandia sono cresciute meno dell’Italia. Quanto all’andamento del pil in volume, nonostante il lieve recupero il livello resta più basso di quello registrato nel 2000.

Il deficit cala ma è più alto di 1,2 punti rispetto a quanto promesso a Bruxelles – “Il deficit è sceso per la prima volta da anni sotto il 3%: quest’anno abbiamo fatto il 2,6% (miglior risultato degli ultimi dieci anni). E nel 2016 scenderemo ancora”. Il riferimento è al rapporto indebitamento netto/pil, che è in effetti sceso al 2,6%. Ma l’obiettivo inizialmente concordato con Bruxelles era dell’1,4%La differenza, che vale oltre 19 miliardi, è la famosa “flessibilità, gran parte della quale è ancora sub iudice. Il governo lo scorso anno ha infatti ottenuto di poter aumentare il rapporto dello 0,4% invocando il fatto di aver messo in atto “riformestrutturali”, ma nella legge di Stabilità ha rivendicato un altro 0,1% per lo stesso motivo più uno 0,3% a fronte degliinvestimenti. E si è anche preso uno 0,2% aggiuntivo per le spese a fronte della “emergenza migranti“. Il dato definitivo è più alto di due decimi di punto, che valgono oltre 3 miliardi. Tutti da giustificare davanti alla Commissione Ue, il cui giudizio sulla manovra è atteso a maggio. Nel frattempo il debito è salito a 2.169 miliardi, pari al 132,6% del pil, lo 0,1% in più rispetto al 2014.

Lotta all’evasione: recuperati 14,9 miliardi su 51 – “Il 2015 è stato l’anno record nella lotta all’evasione con 14,9 miliardi di euro recuperati dallo Stato, alla faccia di tutti quelli che criticavano il nostro Governo su questo”. Il dato arriva dell’Agenzia delle Entrate ed è in effetti il più alto della storia. Ma va confrontato con la montagna di 841 miliardi di ruoli affidati a Equitalia dalla pubblica amministrazione (tolti i debiti non dovuti e le cartelle annullate), di cui circa 51, secondo l’amministratore delegato dell’ente della riscossione Ernesto Maria Ruffini, effettivamenterecuperabili.

Le tasse: giù le imposte indirette, su quelle dirette. Irpef compresa – “Abbiamo impedito ogni aumento di tasse e bloccato anche l’aumento delle tasse locali. In due anni siamo intervenuti con 80 euro a più di dieci milioni di persone, Imu e Tasi prima casa, Irap costo del lavoro, superammortamento fiscale al 140%, incentivi fiscali del Jobs Act, tasse agricole, credito di imposta per il Sud”, scrive Renzi citando come fonte “la legge di Stabilità“. Ma l’Istat rileva che, mentre “le imposte indirette sono diminuite dello 0,5%” per effetto della “riduzione dell’Irap e dell’imposta sull’energia elettrica, in parte compensata dall’incremento del gettito Iva”, quelle dirette “sono risultate inaumento dell’1,9%, per effetto della marcata crescita dell’Irpef, dell’andamento positivo dell’Ires e delle imposte sostitutive”. Nel complesso, la pressione fiscale è scesa dal 43,6 al 43,3%, ben sopra la media europea che secondo la Commissione si attesta al 39%.

“I mutui a più 97%”. Ma l’ammontare complessivo è salito solo dello 0,7% – Renzi rispolvera infine il dato dell’Abi sui mutui per sostenere che “sono a più 97%”, un risultato che il premier lega all’aumento dei posti di lavoro stabili. Ma, come si legge nello stesso bollettino mensile dell’associazione bancaria, il dato si riferisce all’incremento dello stock delle nuove erogazioni registrato nel 2015 rispetto al 2014. Se si guarda invece all’ammontare complessivo dei mutui in essere, spiega la lobby delle banche, la variazione positiva è stata solo dello 0,7%.

Da ilfattoquotidiano.it

Istat. E ora chi glielo dice a Renzi e al Pd che l’occupazione cresce solo tra gli over 50? I nuovi dati raccontano la realtà: è l’effetto della riforma Fornero sulle pensioni. Altro che Jobs Act

Cresce l’occupazione tra gli over 50, lavoro lontano per i giovani

di Roberto Ciccarelli sul Manifesto di mercoledi 2 marzo 2016

E ora chi lo dice a Renzi e al Pd che nel 2015 l’occupazione è cresciuta solo tra i lavoratori over 50 di 359 mila unità, mentre solo a gennaio hanno perso il posto 31 mila giovani tra i 15 e i 24 anni, portando il relativo tasso al 39,3%, +0,7% sul mese precedente? L’Istat nella stima preliminare sul primo mese del 2016. È la conferma uno dei dualismi costitutivi del mercato del lavoro italiano: quello tra «giovani» e «anziani».

Senza contare che aumentano i disoccupati nella fascia di età tra i 35 e i 49 anni: 69 mila in più senza lavoro nella parte più produttiva della forza-lavoro attiva. è la fotografia della Riforma Fornero sulle pensioni quattro anni dopo: l’estensione dell’età pensionabile oggi favorisce il «riciclo» dei vecchi contratti precari in quelli «a tempo indeterminato» finanziati dagli sgravi contributivi predisposti dal governo.

Altro che Jobs Act, è la riforma del governo Monti a diminuire il numero degli inattivi (-63 mila) soprattutto tra i 50-64enni. Più a lungo al lavoro e presumibilmente spremuti come limoni, questi lavoratori partecipano involontariamente all’uso politico delle statistiche sull’occupazione condotto — anche ieri — dal governo al gran completo e dal suo partito di riferimento.

Renzi ha scritto su twitter: «Con questo Governo le tasse vanno giù, gli occupati vanno su, le chiacchiere dei gufi invece stanno a zero». Il premier si riferiva al dato generale sulla disoccupazione, ferma all’11,5% e invariata da agosto 2015. A questo ha aggiunto il dato sull’aumento di 70 mila unità degli occupati. Anche qui si torna sui livelli di agosto.

L’Istat ha registrato una ripresa della quota dei dipendenti a tempo indeterminato a partire da settembre pari a 99 mila persone. Si tratta della «coda lunga» di dicembre, quando le imprese hanno fatto la corsa per aggiudicarsi il «bonus» da 8 mila euro per ogni neo-assunto. Da gennaio, infatti, lo sgravio sarà più che dimezzato: a 3 mila euro. é probabile che, a partire da febbraio, questo dato sarà molto più contenuto e seguirà l’andamento ciclotimico del mercato del lavoro, drogato dagli incentivi renziani.

A riprova che il Jobs Act non è servito a produrre nuova occupazione, e non solo a contribuire al gran ballo dei contratti, c’è il tasso di occupazione: fermo, drammaticamente, al 56,8%, uno dei più bassi dell’Eurozona, in misero aumento dello 0,1% rispetto a dicembre, nonostante la pazza corsa all’incentivo. Le riforme del governo hanno consolidato il dualismo anche in questo indicatore. A gennaio, infatti, l’occupazione tra i giovani è rimasto fermo alla percentuale dello stesso mese del 2015: 15,4%. Per il resto della popolazione è invece aumentato dell’1,5%. Dai dati emerge anche lo stallo del tasso di disoccupazione femminile al 54,3%, mentre quello maschile è al 74,5%. Ecco un altro dualismo.

Il problema di Renzi è con i numeri, non con i gufi.

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