IL LAVORO È LA PRIORITÀ
Franco Pinerolo
L’Italia è in piena emergenza economica e sociale: crescono la disoccupazione, il lavoro precario, i licenziamenti, le disuguaglianze, e chi è occupato spesso non ce la fa a sbarcare il lunario. La de-industrializzazione sta mettendo in ginocchio interi territori e portando alla disperazione: gli operai si danno fuoco per protesta, il numero dei suicidi tra i piccoli imprenditori non si conta più e tanti lavoratori rischiano la propria vita salendo sui tetti, sulle torri, sui campanili, sulle ciminiere, calandosi nelle profondità della terra per rompere il muro di silenzio e porre fine a una situazione drammatica a cui l’inerzia del governo Monti li ha condannati.
I DATI DI UN DISASTRO INDUSTRIALE
Da quando Monti si è insediato, la produzione industriale ha continuato a scendere ed è tornata ai livelli del 1987, mentre la disoccupazione, considerato anche il dato degli “scoraggiati”, è salita al 13% e quella giovanile addirittura al 35,9%. Assistiamo in Italia ad una preoccupante scomparsa di parti importanti del tessuto produttivo: siderurgia, auto, alluminio, commercio, bancari, edilizia, elettrodomestici, ceramica, tessile, settore aeroportuale, navale e delle telecomunicazioni sono i comparti oggi drammaticamente più a rischio. E Ilva, Alcoa, Fiat, Lucchini, Finmeccanica, Thyssen di Terni, Carbosulcis, Vinyls, Irisbus, Alitalia, Agile ex Eutelia, Nokia Siemens, fanno parte di un interminabile elenco di situazioni di crisi.
In Italia ogni giorno 10 imprese chiudono i battenti, l’industria negli ultimi 5 anni ha perso circa 700.000 posti di lavoro considerati anche i lavoratori in cassa integrazione (aumentata del 315% dal 2008) mentre nel settore pubblico i posti di lavoro sono calati di 124.700 unità ma la stima è destinata a salire per i rovinosi effetti della spending review del governo Monti. Sono 180.000 le persone coinvolte solo nei “tavoli di crisi” aperti al Ministero di Roma, e di questi, 110.000 sono metalmeccanici. Tutto ciò senza contare le migliaia di precari a cui non viene rinnovato il contratto, oppure le centinaia di migliaia di «esodati», dimenticati senza stipendio e senza pensione dal Ministro del lavoro Fornero. Le vertenze si moltiplicano ma non se ne risolve nessuna da parte del governo Monti. Veniamo da quattro anni di crisi e non si possono considerare queste situazioni come aziende decotte, perché sono figlie della crisi finanziaria, e delle scelte neoliberiste dell’Unione europea.
LE CAUSE DI UN DECLINO PRODUTTIVO
a) L’ideologia neoliberista, che permea anche questo governo, ha impostato erroneamente il rilancio economico solo dal lato dell’offerta, esigendo un mercato del lavoro fortemente deregolamentato con ulteriore peggioramento delle condizioni dell’occupazione, del lavoro e delle retribuzioni, innescando una suicida spirale deflattiva. Occupazione, crescita, e produttività dipendono fondamentalmente dalla domanda aggregata, quella delle famiglie e della Pubblica Amministrazione, che andava sostenuta anche dall’impegno pubblico, perchè così si e’ usciti dalle grandi crisi, a cominciare dalla Grande Depressione fra le 2 guerre, nel 1934, o dopo la crisi del 1929 col New Deal di Roossevelt, e poi col piano Marshall, nel dopoguerra (1947). L’equità, auspicata ma mai applicata dal governo Monti, va nella stessa direzione della crescita perchè la redistribuzione verso i redditi più bassi e da lavoro genera maggiori consumi, fa aumentare la domanda aggregata e sostiene il mercato interno.
b) La mancata crescita dell’economia italiana, a partire dagli anni ‘90, è derivata dall’inesistenza di una politica industriale, dal ritiro dello Stato dai settori economici più avanzati, dall’incapacità del sistema d’investire nei nuovi settori emergenti, ma soprattutto dal ritardo tecnologico per gli scarsi investimenti in ricerca e formazione, che ha causato perdita di competitività delle nostre merci e servizi sui mercati globali. I nostri fondi per la ricerca sono assolutamente inadeguati (1,3% del PIL contro una media del 2% europeo) e la loro riduzione sta proseguendo insensatamente anche con la spending review e con la legge di Stabilità di Monti. Le riforme del mercato del lavoro, precarizzando, (v. prof. Hanan Morsy e Silvia Sgherri; prof. Ian Dew-Becker di Harvard e Rober J. Gordon della Northwestern University), hanno abbattuto il costo del lavoro e scoraggiato perciò gli investimenti tecnologici innovativi nel processo produttivo. Il governo Monti e il Ministro Fornero, in questo senso, hanno responsabilità precise non avendo ridotto con la “riforma del mercato del lavoro” le 46 (!) modalità contrattuali “atipiche” esistenti. Nel decreto “start up”, poi, viene incentivato da Monti un contratto fatto di precarietà a tempo determinato proseguendo nell’idea sbagliata che il sostegno all’impresa vada dato in forma di precarizzazione del lavoro, in abbassamento di salari e diritti, anziché essere legato a processi di innovazione, per un diverso modello di sviluppo.
c) I processi di esternalizzazione hanno favorito il proliferare di piccole imprese le quali, riducendo le economie di scala e diminuendo la ricerca tecnologica innovativa, hanno fondato la propria capacità di competere solo sulla produttività del fattore lavoro, cioè sull’intensità e sulla estensione del lavoro. Questo processo è andato avanti finchè c’è stata la possibilità di svalutare la lira per essere competitivi, poi è arrivato l’euro e i nodi sono venuti al pettine. Il nanismo delle imprese ha pesato anche nell’abbassamento della produttività, perché il valore aggiunto per addetto delle microimprese (che in Italia sono il 95% delle imprese), è pari a circa 25 mila euro l’anno, cioè metà di quello delle medie imprese e due volte e mezzo più basso di quelle grandi (60 mila euro).
d) Abbiamo un’inflazione strutturalmente più elevata che negli altri Paesi perchè i prezzi dei servizi pubblici e privati tendono a crescere più rapidamente, anche dei salari; e se si alzano le accise sui carburanti e si aumenta l’IVA come sta facendo Monti, l’inflazione corre, con conseguenze negative – oltre che sulle nostre tasche – sulle esportazioni e sulla bilancia dei pagamenti, quindi sulla produzione e di riflesso sui bilanci pubblici.
e) Sulla produttività oraria incidono negativamente le richieste di ore di Cassa integrazione (circa un miliardo all’anno per 500mila lavoratori) perché solitamente la produttività è calcolata sul numero complessivo della forza lavoro. Monti promette la detassazione del salario di produttività alle imprese (ossia la quota aggiuntiva di retribuzione collegata all’andamento dell’impresa) solo se i sindacati firmano un accordo con Confindustria, Abi, e piccole imprese, le quali vorrebbero flessibilità di orario, diminuzione delle festività e delle ferie, demansionamento e riduzione del salario demolendo il contratto nazionale e finalizzando tutto agli accordi a livello aziendale. Le risultanze empiriche dimostrano però che ridurre i salari aumentando le ore di lavoro non è la ricetta giusta. Leggendo infatti i dati OCSE, chi è al top nella produttività (la Norvegia), è al terz’ultimo posto per ore lavorate, mentre chi è primo posto per ore lavorate (il Messico), è ultimo in produttività. L’italiano lavora tantissime ore: ben 200 ore sopra la media dell’Eurozona (1.573) e addirittura 363 in più rispetto ad un tedesco, eppure la sua produttività, che l’organizzazione parigina calcola come Pil per ora lavorata, stenta: infatti nel 2011 erano 45,6 dollari contro quasi il doppio della Norvegia (81,5), che però totalizza il 20% di ore in meno, come la Germania. Dunque aumentare le ore non spinge la produttività, se non si investe in tecnologia, ricerca e innovazione di prodotto. Infatti se lavoriamo in Italia circa 200 ore all’anno in più rispetto alla media europea (v. anche dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro OIL), con retribuzioni del 20 % inferiori, è chiaro che non è il costo del lavoro la causa dell’abbassamento del CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto), semmai la causa è il prodotto, il cui valore è del 35% inferiore a quello che con lo stesso costo del lavoro riesce realizzare la Germania. Inoltre il PIL è dato dalla somma di consumi, investimenti, spesa governativa ed esportazioni nette (cioè la differenza tra esportazioni ed importazioni) più altre variabili minori, e non c’è nessuna ragione per la quale l’aumento di ore di lavoro annuali dovrebbe incrementare significativamente una di queste grandezze, anzi, la diminuzione di tempo libero, la riduzione delle ferie e delle festività potrebbe arrecare danno al settore turistico. Sarebbe più sensato allora ridurre l’orario di lavoro a parità di salario per aumentare gli occupati e redistribuire il reddito complessivo, e anche detassare stipendi, pensioni e tredicesime per incentivare consumi e quindi crescita. Va inoltre considerato che, in presenza di una domanda di merci calante, o nel migliore dei casi costante, un maggiore volume di lavoro porterebbe ad aumentare le scorte, e quindi a più cassa integrazione e licenziamenti, come hanno mostrato i proff. Krugman ed Eggertsson con il “paradox of toil”, il paradosso della fatica: se tutti decidiamo (o se ci viene imposto) di lavorare di più, serviranno meno persone per realizzare gli stessi beni. D’altra parte è la stessa Banca d’Italia a scrivere (aprile 2012) che la crescita della produttività del lavoro modesta è dipesa essenzialmente da un livello molto basso in investimenti in innovazione tecnologica per scelta poco perspicace delle aziende. La soluzione va da sé, Mr. Monti!
f) Tra il 1998 e il 2008 l’Italia ha fatto registrare una caduta record degli indici di protezione del lavoro, realizzando un contenimento senza precedenti della dinamica salariale. Sorge spontaneo un sospetto quando si constata l’inazione del governo Monti verso la disoccupazione: infatti una certa strategia europea per le nazioni debitrici consiste fondamentalmente (prof. P. Krugman) proprio nel portare alla deflazione relativa (diminuzione dei salari) attraverso un alto tasso di disoccupazione. È una strategia ignobile portatrice di gravi ripercussioni sociali, oltre che controproducente, come stiamo constatando. Infatti Monti, per rendere le merci maggiormente competitive, è ricorso a politiche di svalutazione salariale, che hanno creato ulteriore depressione della domanda interna e conseguentemente una contrazione della base fiscale imponibile, e perciò peggioramento della situazione del debito. Ciò nonostante continuiamo a registrare un problema di competitività. Perché? Perché contemporaneamente anche la Germania ha fatto lo stesso Se tutti i competitori abbassano i salari, non vince nessuno e l’unico risultato è una riduzione della domanda e della crescita. Per recuperare il differenziale di competitività con la Germania i Paesi della sponda Sud (prof.ssa A. Stirati), dovrebbero ridurre i salari e i prezzi dei beni esportati di qualcosa come il 30%. Se accadesse (come è probabile) che la riduzione dei salari non producesse un’eguale discesa dei prezzi, il potere d’acquisto delle retribuzioni si ridurrebbe, creando contraddizioni sociali insostenibili. D’altra parte se anche i prezzi scendessero, questo renderebbe comunque il debito contratto, sia pubblico che privato, più oneroso, con conseguenze gravissime. Se il problema è di riallineare la competitività di Berlino con quella dei Paesi della sponda Sud si può fare (proff. J. Stiglitz, P. Krugman, S. Cesaratto, E. Brancaccio, D. Strauss-Kahn, A. Bagnai, N. Rubini, A. Stirati, J. Bibow, R. Cooper et al) anche facendo crescere in Germania sia i salari reali (in modo da recuperare il terreno perduto rispetto alla produttività) che i prezzi. L’inflazione ha conseguenze meno negative della deflazione, e ciò potrebbe trovare consensi anche tra i lavoratori tedeschi. La Germania ha giocato sporco in questi anni non avendo voluto collaborare col prossimo, ma fregarlo facendo dumping fiscale e sociale per aggredire le economie circostanti, violando le regole europee. È il cosiddetto “mercantilismo monetario” (prof. C.L. Holtfrerich) una sorta di violazione dei patti impliciti Europei, che richiede ora un riequilibrio della situazione.
g) In Italia i costi energetici sono troppo alti e manca una politica energetica che orienti le scelte pubbliche e private su che cosa e come produrre; non c’è una politica industriale che assicuri un futuro di innovazione all’industria e ai servizi grazie a un piano adeguato di investimenti; c’è una crisi di liquidità perché le banche ormai non prestano più soldi a imprese e famiglie; la nostra burocrazia e il nostro sistema giudiziario sono lenti e macchinosi, le infrastrutture arretrate, e la criminalità organizzata oltremodo diffusa in certe aree del nostro Paese. Tutto ciò ha impedito lo sviluppo produttivo. Cos’ha fatto in questo senso il governo Monti da quando si è insediato? Transparency international Italia stima la corruzione pari ad una perdita di 50 miliardi l’anno, e la corruzione mina la fiducia dei mercati, scoraggia gli investimenti, fa perdere competitività e condanna le imprese grandi e medie del nostro Paese a perdere il 25% del loro tasso di crescita, che sale al 40% per quelle più piccole. Andrebbero dunque rafforzati gli ambiti di contrasto alla corruzione in capo alla Corte dei Conti e soprattutto andrebbe modificata la legge sulla corruzione, per aumentare la pena e il tempo della prescrizione per la concussione, per evitare che l’investitore straniero indotto a corrompere rischi anche una condanna; rendere incandidabili i condannati patteggianti e per reati di finanziamento illecito, finanziari e fiscali; punire il mediatore che influisce illecitamente sul pubblico amministratore anche se non c’è un compenso patrimoniale; inserire tra le attività a rischio di infiltrazione mafiosa il settore del gioco e delle scommesse; ripristinare il falso in bilancio, vietare gli appalti al massimo ribasso che permettono le infiltrazioni della criminalita’ organizzata. Ma soprattutto, come dice il “Padre Nostro”, bisogna evitare di indurre in tentazione i politici, eliminando il finanziamento pubblico ai partiti.
h) La Legge di stabilità (ex Legge finanziaria) del Governo Monti in discussione in questi giorni, e’ esattamente l’opposto delle tante cose che si dovrebbero fare perchè riparta la crescita, dato che e’ un lungo elenco di “taglia e scuci” (franchigia su deduzioni e tetto alle spese detraibili, accisa sui carburanti, tagli alla spesa sanitaria, aumento delle aliquote della tassazione sul Tfr). L’incremento di un punto dell’aliquota Iva proprio nel momento in cui l’Istat rende noto che il potere d’acquisto dei salari è diminuito di un altro 4,1%, è un provvedimento che ha dell’insensato – per il tasso di iniquità e recessione che si porta appresso- oltre che dell’inutile, per il fatto che tra gennaio e agosto 2012, nonostante l’aumento dell’1%, il gettito Iva è diminuito rispetto al 2011 di 913 milioni (-1,3%).
Monti finora ha lasciato le imprese libere di decidere che cosa fare e se ne è lavato le mani, con un’assoluta indifferenza alla responsabilità sociale delle imprese, sia rispetto ai territori che all’aspetto produttivo. E quando Monti è intervenuto, ha riproposto i contenuti ideologici delle perdenti ricette liberiste, destinate ad aggravare la situazione e a rafforzare l’attacco speculativo dei mercati finanziari, facendoci rischiare il circolo vizioso di tipo greco a causa degli effetti recessivi delle sue politica di austerità. Pure lo stesso capo-economista del Fondo Monetario Internaz, Olivier Blanchard, ha dovuto recentemente ammettere, nell’ultimo World Economic Outlook, che “i moltiplicatori fiscali sono stati sottostimati” cioè che le misure restrittive, prese per ridurre il deficit nei Paesi periferici, hanno danneggiato l’economia riducendo troppo il PIL e la crescita. Con buona pace della sua tanto decantata “austerità espansionista”! Persino i Magistrati della Corte dei Conti, esaminando la “Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza” del Governo Monti, hanno confermato il tutto.
I neoliberisti dovrebbero imparare una lezione dalla crisi che dal 2008 ha colpito America ed Europa: il mercato, lasciato a se stesso, produce disastri, che poi lo Stato è chiamato a risolvere. E le economie emergenti, a partire da quella cinese, mostrano che la crescita ha sempre bisogno di un forte ruolo dello Stato.
IMMAGINIAMO SOLUZIONI
a) Spesa pubblica volano degli investimenti per creare occupazione: è indispensabile procedere a una politica di ripresa economica attraverso la domanda, combinando (prof. P. Krugman) 1) investimenti pubblici. 2)aumento del potere d’acquisto dei salari. 1) In un contesto di bassa domanda, le politiche pubbliche (v. doc. di tutti i professori di Princeton e della London School of Economics) dovrebbero agire come una forza stabilizzatrice a sostegno della spesa. La domanda interna potrebbe compensare la mancanza di competitività, se stimolata da una spesa pubblica convenientemente indirizzata. L‘intervento dello Stato dovrebbe andare nell’indirizzo dell’economia e nella produzione, da quella dei servizi in regime di monopolio ai settori tecnologici avanzati, che i privati non coprono. Ci sarebbe bisogno di scelte chiare di politica industriale su un diverso modello di sviluppo e difesa degli insediamenti produttivi; serve un’adeguata spesa in formazione che accompagnerebbe la transizione verso nuove specializzazioni produttive dei lavoratori “intrappolati” nei settori che presentano redditi in declino. Non si può uscire dalla crisi senza investimenti importanti, da parte delle imprese e del governo, nei nuovi settori emergenti e per le infrastrutture, soprattutto attraverso manutenzione, ampliamento e modernizzazione delle infrastrutture fisiche. Lo Stato deve operare come datore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente il maggior numero di persone, istituendo un’Agenzia per l’occupazione, promuovendo progetti di pubblica utilità diffusi sul territorio e ad alta intensità di lavoro, dal momento che le grandi opere non presentano né l’una né l’altra caratteristica. Quindi riassetto del territorio, rifacimento della rete idrica, riconversione energetica degli edifici pubblici scolastici, ristrutturazione di scuole ed ospedali (nel 70% dei casi la loro struttura non è adeguata per i modelli di cura e di intervento oggi prevalenti), risanamento idrogeologico di aree particolarmente dissestate, difesa del territorio da frane ed esondazioni. Il settore pubblico dovrebbe promuovere gli investimenti nei settori ad elevato contenuto di lavoro (istruzione, ricerca, sanità, servizi alla persona e alla famiglia, etc.) e quelli legati alle tecnologie verdi e al risparmio energetico. Un «new deal verde» può rappresentare la via d’uscita dalla recessione con grandi investimenti per una transizione ecologica verso la sostenibilità, sostituendo il combustibile fossile con le rinnovabili, trasformando non solo i trasporti ma anche l’industria e l’agricoltura in modo che siano più energeticamente efficienti e ricostruendo il nostro intero ambiente per risparmiare energia. Si creerebbero maggiori posti di lavoro per gli operai licenziati dell’edilizia ammodernando edifici e abitazioni in modo che diventino energeticamente più efficienti; i minatori di carbone licenziati potrebbero assemblare turbine e installare pannelli solari sui tetti; maggiori posti di lavoro si potrebbero creare nell’insegnamento per addestrare le nuove generazioni a trasformare e gestire una rete elettrica decentrata che accolga l’elettricità di milioni di tetti e sostituisca ogni volta che sia possibile le risorse locali ai generatori centrali distanti. 2) Andrebbero fatte politiche mirate al reddito, quindi alla domanda per incentivare i consumi interni e quindi la crescita e l’occupazione. Perciò bisognerebbe detassare stipendi, pensioni e tredicesime, sostenere i dipendenti delle aziende in difficoltà, garantire l’accesso alla pensione con le vecchie regole agli esodati, rifinanziare gli ammortizzatori in deroga, prorogare gli ammortizzatori sociali ed estenderli ai precari. Ridurre il cuneo fiscale farebbe diminuire i prezzi alle esportazioni e rendere più competitivi i prodotti italiani rispetto a quelli importati, aumentando l’avanzo corrente della bilancia dei pagamenti e facendo crescere anche la produzione interna, gli investimenti e l’occupazione, ristabilendo così la fiducia degli investitori esteri. Nel senso della crescita e dell’occupazione vanno anche i referendum per cancellare l’articolo 8 del decreto legge 138/2011 (che consente di derogare ai contratti collettivi e addirittura a tutte le norme che regolano il lavoro) e per abrogare le modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che permette il licenziamento anche senza giusta causa.
b) Le risorse Siamo un Paese dove solo il 10% delle famiglie più ricche possiede addirittura il 46% della ricchezza totale, stimata in circa 9 mila miliardi di euro! “Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi!” S. Giacomo apostolo (Giac 5,1-6). Per rilanciare la domanda senza creare nuovo debito si deve attuare una gigantesca redistribuzione del reddito dai ricchi verso le fasce sociali medio-basse. Con questo livello di debito, pure a tassi minori, la crescita è impossibile perché troppe risorse vengono drenate dal pagamento degli interessi: bisogna quindi abbassare drasticamente lo stock di debito e questo è possibile farlo solo con una vera e pesante patrimoniale, o modello francese sulle grandi ricchezze dell’1% sopra il milione di euro di patrimonio per reperire 20 miliardi di risorse colpendo solo il 5% della popolazione più ricca, oppure sui grandi immobili con aliquota fissa dell’1%. È necessaria una maggiore tassazione delle rendite finanziarie (esclusi i Titoli di Stato), immobiliari, monopolistiche e finanziarie; i proventi della tassa sulle transazioni finanziarie devono essere finalizzati all’attuazione di programmi per la crescita e l’occupazione. Si possono mettere le mani sui dispositivi di ottimizzazione fiscale di cui fanno uso e abuso le grandi imprese soprattutto multinazionali, nonché sui redditi dei detentori del capitale (stipendi stratosferici e stock-options dei dirigenti, interessi dei banchieri, dividendi degli azionisti, ecc.). Serve una vera riforma fiscale, che ristabilisca la progressività delle imposte prevista dall’art. 53 della Costituzione, alzando le aliquote Irpef sui redditi alti (sopra i 75 mila euro all’anno e per chi ne guadagna 200mila); o con un contributo straordinario del 5% per la parte eccedente i 90mila euro e del 10% per la parte eccedente i 150mila euro finalizzato agli investimenti e all’occupazione anche giovanile; va imposta una supertassa oltre il milione di euro di reddito mensile (previsto al 75% nel programma di Hollande); è utile un’addizionale IRPEF per le case di proprietà tenute non locate nè adibite ad abitazione nelle aree metropolitane; vanno tassati in maniera progressiva i veicoli in base alle emissioni inquinanti per colpire i mezzi più potenti ed ecologicamente inefficaci; va revisionata la tassazione degli immobili di lusso, dato che ad oggi su castelli e immobili di pregio non si paga alcuna tassa; va imposta l’Ici sulle attività solo di lucro della Chiesa. Va messo un tetto alle pensioni e ai loro cumuli, vanno ridotte le pensioni più elevate sia attraverso una revisione in aumento della quota di prelievo, sia attraverso una “una tantum”, estesa anche alle “buonuscite” milionarie.. Va ridotta l’inutile spesa militare a partire dai cacciabombardieri F 35, che farebbero risparmiare da soli ben 14 miliardi di euro nei prossimi 16 anni; ridurre da qui al 2026 di 50 miliardi di euro le spese per armamenti (sommergibili, caccia, veicoli blindati); ridurre gli organici delle Forze armate a 120mila unità; ritirare le truppe dall’Afghanistan e da tutte quelle missioni internazionali che non abbiano la copertura delle Nazioni Unite. È possibile l’utilizzo delle Riserve Auree per creare Titoli sovrani speciali legati all’oro; ma soprattutto è auspicabile l’uso della “Cassa depositi e prestiti”, strumento che può avere un ruolo importante per indirizzare investimenti e lanciare nuove attività, perché l’operatore pubblico può essere soggetto della strategia economica di un Paese attraverso la proprietà diretta di un numero rilevante di imprese o il sostegno e l’assistenza all’impresa privata. Serve il recupero e la tassazione dei capitali occultati all’estero (230 miliardi solo in Svizzera!) facendo un accordo temporaneo, coerente con le posizioni europee, che porterebbe alle casse dello Stato dai 12 ai 14 miliardi applicando le aliquota italiane (12,5%) ma con le aliquote tedesche si sale a 30 miliardi; si devono tassare al 15% i capitali scudati per reperire così 15 miliardi; portare avanti una maggiore lotta al sommerso, fare pulizia sulle gare di appalto e sulle false cooperative, favorire l’emersione delle imprese, stabilire sanzioni più severe. Va fatta una più incisiva lotta all’evasione fiscale e all’elusione: abbassando la soglia di transazioni in contanti a 200 euro; con l’elenco telematico clienti-fornitori per qualsiasi impresa; con l’obbligo per commercianti e professionisti di un apposito conto corrente a incassi e pagamenti di lavoro; con l’obbligo di riportare il codice fiscale dell’autore di ogni girata. È indispensabile rendere efficiente, trasparente e meno costoso il sistema politico, con diminuzione del numero dei parlamentari, la revisione dei rimborsi elettorali ai partiti, l’eliminazione dei vitalizi e della diaria, il dimezzamento delle indennitá parlamentari, l’abolizione delle Province, la riduzione degli oneri delle Istituzioni centrali e dei Ministeri, il taglio dei ben settemila Consigli d’amministrazione delle Società pubbliche e delle decine e decine di migliaia di auto blu.
c) il ruolo della Bce Modificare lo statuto della BCE per assegnarle poteri da prestatore di ultima istanza e più poteri d’intervento basati su un controllo più democratico delle sue strutture e del suo funzionamento, che potrebbe fare molto di più per la crescita e l’occupazione, in particolare (v. doc. “120 economisti francesi”) attraverso il finanziamento diretto selettivo e a tassi bassi alle Amministrazioni pubbliche. Istituire un fondo europeo per lo sviluppo sociale ed ecologico, a gestione democratica, potrebbe sostenere questa dinamica. La Germania dovrebbe, come alternativa seria alla rottura dell’euro, consentire l’intervento della Bce per riequilibrare la competitività tra Paesi: le vie d’uscita sono solo due (prof. Richard Cooper Harvard University et al): crescita della domanda interna e dell’inflazione in Germania esportando di meno, oppure che accetti di sussidiare i Mezzogiorno europei, ad es. (prof. S. Cesaratto) con trasferimenti fiscali (la “transfer-union”).
d) L’Italia dovrebbe fare come la Spagna, cioè rivedere di fatto gli obiettivi di finanza pubblica applicando da subito la “golden rule” (non conteggiando nel deficit le spese destinate a investimenti produttivi, ricerca e infrastrutture) per fare ripartire gli investimenti dei Comuni (dott. S. Fassina resp. Ec. PD). Bisogna far ripartire subito un po’ di cantieri, allentare il patto di stabilità per consentire ai Comuni di dare corso alle opere infrastrutturali finanziabili. Va modificato radicalmente il Fiscal compact, tenendo conto non soltanto del debito pubblico ma anche del deficit della bilancia commerciale, e distinguendo tra spese correnti e investimenti che possono far ripartire la crescita, che dovrebbero essere cofinanziati dalla Banca europea degli investimenti. C’è una morsa che sta determinando un corto circuito tra rigore e recessione ed impedisce gli obiettivi di finanza pubblica.
e) Si deve adottare un forte piano di investimenti europei per promuovere la crescita economica e la creazione di posti di lavoro, ammodernando gli apparati industriali, cogliendo anche quelle opportunità di trasformazione che sempre più rispondono agli obiettivi della sostenibilità ambientale. Uno sforzo, questo, che chiama in causa vasti piani di intervento pubblico cofinanziati a livello europeo. In questo senso sarebbe pertanto opportuno un più ampio coinvolgimento della BEI (Banca Europea per gli Investimenti), mirando ad una sua ricapitalizzazione e alla emissione di “project bond” concentrati su specifiche obiettivi di investimento. Potrebbero, ad esempio, essere emessi dei “green covered bonds”, garantiti dal rendimento delle attività finanziarie già esistenti nell’ambito della “green economy”, creando così un circuito virtuoso di rifinanziamento da parte del sistema bancario. In linea generale l’investimento nelle infrastrutture e nei settori tecnologicamente avanzati è in grado di produrre effetti sulla crescita nel breve e nel medio-lungo termine.
f) le banche vengono salvate senza imporre la separazione tra attività di credito e speculazione, senza cambiarne le strategie. Dopo la crisi del 1929 fu applicata la legge Glass-Steagall che separava le banche commerciali da quelle di investimento con il divieto di utilizzo dei risparmi dei cittadini per operazioni fatte nell’interesse delle banche. Un’altra strada (prof. P. Krugman) consiste nella nazionalizzazione di alcune grandi banche per portarle fuori dalla speculazione di borsa ed utilizzarle come strumento pubblico per finanziare gli investimenti delle piccole e medie imprese e i consumi delle famiglie.
CONCLUSIONE
Il lavoro non e’ nell’agenda politica del governo Monti: questo e’ il grande disastro che c’e’ nel Paese! Sono passati più di nove mesi dall’insediamento di Corrado Passera al Ministero dello Sviluppo Economico Che Non C’è, e le vertenze industriali di crisi sono sempre lì. Forse perché Passera ha sempre visto le vertenze in termini di esuberi, fin da quando era Amministratore delegato, prima in Olivetti (1.000 dipendenti in cassa, 3.000 in mobilità e 1.000 trasferiti), poi alle Poste (20 mila esuberi), poi con Banca Intesa-S.Paolo tra il 2002 e il 2011 (9600 esuberi), e infine come socio investitore del Cai che rileva Alitalia (6 mila esuberi dopo la privatizzazione).
L’azione del governo Monti non soddisfa: non c’è nessuna politica industriale, disattenzione alle emergenze del lavoro, zero investimenti. Le politiche di austerità di Monti si sono intromesse pesantemente nella vita dei lavoratori per sottrarre loro reddito e diritti, creando ulteriore recessione, peggioramento del debito pubblico e riduzione della crescita.
Il sindacato deve dare voce a quei lavoratori più invisibili tra gli invisibili che stanno perdendo il posto di lavoro, non deve lasciarli soli alla loro disperazione individuale ma costruire risposte a partire dalla riunificazione delle vertenze.
Bisogna dare a tutti la possibilità di costruire e pensare un futuro dignitoso per sé e per i propri figli. C’è un’Italia insicura, impaurita che va aiutata, a cui va data fiducia e speranza; ma per fare questo è indispensabile una discontinuità col governo Monti e con il neoliberismo dominante in Europa.
È ORA DI CAMBIARE! Tutte le forze politiche progressiste di centrosinistra hanno la grande responsabilità di candidarsi a guidare un nuovo governo che dovrà necessariamente mettere al centro lavoro, diritti, welfare, trasparenza e giustizia sociale.
Franco Pinerolo
20 ottobre 2012
Benché io sia generalmente daccordo col professore Pinerolo sulla descrizione che fa della situazione critica dell’economia italiana, rimane il fatto che é ingiusto d’attribuirne il disastro solo al primo ministro Monti ed al suo governo…… Il professore sa meglio di me – peró sembra dimenticarlo in questo suo articolo- che la triste situazione italiana risale a decenni prima di questo governo di ”salvezza”. E per di più il professore sa – ci tengo a ricordarglielo – che la situazione drammatica italiana è strettamente legata a l’intera crisi economica europea…e…internazionale.
I rimedi suggeriti dal professore sono parzialmente validi, poiché possono applicarsi in situazioni difficili, ma sono molto meno applicabili in una situazione critica come quella in cui si trova il nostro paese.
Guardiamno intorno a noi, in particolare la Francia (a sinistra)e l’Inghilterra : fanno meglio dell’Italia? E non! Ció per causa delle medesime complessità dell’intera europa (esclusa la Germania)… Secondo il mio parere che esprimo in modo immaginativo, un ammalato in stato gravissimo di salute, bisogna prima rimetterlo all’impiedi, prima di poterlo rimetterlo al lavoro… Ancora a mio parere: ci vorranno ancora anni prima che l’Italia possa ritrovare il pieno impiego e la prosperità … Nicola Franco