Il debutto europeo della Tobin Tax
Alfonso Gianni
A volte le buone idee finiscono per affermarsi. Certo ci vuole sempre molto tempo, spesso troppo. Non è così per quelle cattive che si impongono in fretta, quelle pessime addirittura in tempo reale. Dopo circa quaranta anni da che il suo ideatore l’aveva avanzata, la tassazione sulle transazioni internazionali di capitali diventa una proposta della Commissione Europea. James Tobin, cui anni dopo venne consegnato un Nobel per l’economia, l’aveva formulata nel 1972, sviluppando un abbozzo del grande Keynes. Successivamente, in anni più recenti, quella proposta è diventata uno dei cavalli di battaglia dei movimenti altermondialisti, uno dei pilastri su cui potrebbe fondarsi “un altro mondo possibile”. Con maggiore esattezza e con buon senso delle proporzioni, la Tobin Tax venne definita un “granello di sabbia” lanciato negli ingranaggi del capitale. Così in effetti potrebbe funzionare, se le premesse avranno il dovuto seguito.
Infatti allo stato attuale delle cose non è possibile prevedere con esattezza quale sarà l’entità della tassa e soprattutto l’estensione della sua applicazione. Cominciando da quest’ultimo non secondario problema, è certo che, almeno per ora e per un tempo indefinito, il sogno che la Tobin tax possa applicarsi a livello mondiale resterà tale. Gli Usa, ma anche alcuni paesi emergenti, e la Banca mondiale sono ferocemente contrari e tanto basta per escludere che nel prossimo G20 di Cannes del 3 e 4 novembre essa possa essere assunta a livello globale. A meno che le prese di posizione favorevoli alla Tobin tax dei miliardari George Soros e Bill Gates facciano loro cambiare idea. Sarà già molto se la Ue potrà presentarsi con un’unica posizione a questo riguardo per quella data. Sarà decisivo l’esito della discussione che avverrà nella riunione di Ecofin, ovvero dei ministri finanziari europei, dell’imminente 4 ottobre. Alcuni paesi dei 27 sono contrari, tra cui la Gran Bretagna, l’Olanda e la Svezia. È quindi possibile che la Tobin tax faccia il suo esordio limitatamente ai paesi dell’Euro, ma sarebbe già un fatto di enorme portata.
Importante è anche l’entità della tassazione. Più che altro c’è una grande confusione al riguardo, almeno leggendo la stampa di casa nostra. L’autorevole Repubblica sbaglia addirittura i conti, confondendo il 5 per mille con lo 0,05%. Quest’ultima in effetti è l’aliquota richiesta dal movimento internazionale che si batte da tempo per l’introduzione della Tobin tax. Un’aliquota bassissima ma che, data l’enorme quantità di transazioni internazionali, assicurerebbe già introiti considerevoli senza lasciare nessun capitalista in mutande. Tuttavia circola anche l’ipotesi che azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari verrebbero tassati con l’aliquota dello 0,1%, mentre ai titoli derivati verrebbe applicata un’ulteriore tassa dello 0,01%.
Per capire di cosa stiamo parlando va tenuto presente che se si applicasse la Tobin tax nella misura dello 0,05% a livello mondiale, l’introito su base annuale sarebbe pari a 655 miliardi di dollari. Tanto per fare un paragone ad effetto circa la metà dell’ammontare delle importazioni mondiali di petrolio. Di questi più di 300 miliardi deriverebbero dal traffico di capitali nella sola Europa. Tuttavia nel discorso odierno Barroso ha avanzato stime molto più basse che indicano che probabilmente al lato pratico le decisioni europee si orienteranno su soluzioni minimali. Naturalmente bisognerebbe poi discutere cosa fare di tutto questo denaro e quale organo internazionale se ne deve assumere la gestione. Tobin pensava di aiutare lo sviluppo. Tedeschi e francesi, nonché Barroso, pensano soprattutto di fare fronte al debito degli stati. Il che è tutt’altra cosa. Quindi il tema della finalizzazione di questi fondi è del tutto aperto e la loro destinazione può cambiare sensibilmente il segno della intera operazione. Ma certamente, una volta introdotta la tassazione, una discussione di questo genere farebbe un enorme passo in avanti e diventerebbe assolutamente concreta.
Ma vi è un altro aspetto importante nella nuova misura che l’Europa si appresta a varare, seppure con inizio solo dal 2014. E’ l’effetto che una simile tassazione può provocare soprattutto sul mercato dei derivati. Per questo molti traders si stanno in queste ore cospargendo il capo di cenere e gridano allo scippo. Infatti tutte le stime sono concordi nel segnalare che l’introduzione della Tobin tax avrebbe un effetto soprattutto nei confronti degli scambi dei titoli derivati, esattamente quelli che sono tra i maggiori responsabili della attuale crisi economico – finanziaria e che i governi non sono riusciti a contenere. Infatti, dopo la flessione nell’annus horribilis 2009, sono tornati a crescere sul mercato mondiale, fino ad assumere la proporzione di una decina di volte il Pil mondiale annuo. In questo preciso senso la Tobin tax diventa un efficace granello di sabbia infilato negli ingranaggi del capitale finanziario.
Naturalmente il tema dell’estensione geografica dell’applicazione della Tobin tax, come abbiamo visto così incerto, non risolve di per sé il problema della cancellazione dei paradisi fiscali. Anzi in un certo senso lo rende più acuto e clamoroso. Il problema qui non sono tanto i lontani e semisconosciuti atolli immersi nel Pacifico. Per quanto possa apparire a prima vista strano, la speculazione è molto sensibile alla distanza fisica. Infatti gli scambi sono gestiti in frazioni di secondo. Quindi è decisivo che avvengano in vicinanza dei server delle Borse più importanti, mentre qualche migliaio di kilometri in più di distanza potrebbe comportare una manciata di nanosecondi di ritardo che potrebbero risultare letali per gli appetiti degli speculatori. Neppure il fantastico tunnel della Gelmini pieno di guizzanti neutrini potrebbe fare al caso loro.
Ma se le Cayman sono lontane, Londra è vicina. Ecco perché, al di là delle decisioni formali, il vero ago della bilancia per la effettività della messa in opera di una Tobin tax è la “perfida Albione”, la quale torna sempre in auge quando si tratta di vicende della finanza mondiale. Se la Gran Bretagna si chiamasse fuori buona parte dei traffici finanziari trasmigrerebbero nella City di Londra e conseguentemente il volume degli introiti previsti su scala europea si ridurrebbe sensibilmente.
Per tutte queste ragioni, per superare le incertezze e gli ostacoli di un cammino ancora lungo, è bene che i movimenti che hanno da tempo fatta propria questa battaglia e che a buona ragione possono vantare il merito di avere segnato un punto a proprio favore, non depongano felici le armi della critica e che anzi, fin dalle prossime manifestazioni, come quella del 15 ottobre, l’obiettivo della piena applicazione della Tobin tax campeggi in primo piano. Sarebbe un’ingenuità pensare di avere già vinto o ancora peggio ritenere che un obiettivo che diventa realtà, senza essere svuotato o stravolto, sia per ciò stesso assorbito dal sistema. Equivarrebbe a sopravvalutare quest’ultimo e a dargli una patente di invincibilità.