Materiali menti e mondi-G.M. Poesia 2010 – Annamaria De Pietro

Pubblicato il 14 aprile 2010 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

Orfanaggio

I senzapadre assaltano il vivaio

del palazzo d’inverno. La locusta

la cavalletta intanto

si abbatte e atterra fragorosa a un sasso

e poi di fianco rode il grano

resecando dal basso

là dove sparse una mano l’impianto.

Le senzamadre non ritrovano i bottoni

da ricucire a una giacca che piú volte

già venne aperta e voltata

e la rabbia degli aghi hanno negli occhi.

E frattanto una stella

sola e dispersa in un cielo a vento,

dispersa e sola in un cielo in guerra,

quanto sola e dispersa

la senzanavi la senzafrusta

lentamente virata

gelidamente inversa

sfonda la bocca al buio dell’agoraio.

La tirannide

Si scosta dalla sua forma di specchio il sole

dalla visione oppresso, dall’arsura,

e a un corridoio di freddo si allontana.

Dal lembo estremo delle sue vesti

frecce di ferro e fruste

d’oro e piombini di cerbottana

a dirotto all’indietro

fanno grandine forte.

Lui impugna quella sua lama di vetro

e giú colpendo svuota ferite a morte

e disperatamente sgozza

i testimoni manifesti

che oltre lo specchio abitarono, e ora ingozzano

sbraitando sangue per le museruole

la connivenza di un’abiura.

Farcia satura

Farcia satura – i pezzi, il tritume

grasso, incrostato, infrollato, che eccede

putrefacendo schiume

– troppa, dentro, a cucchiai,

a pollici inzeppata a dismisura

– farcia satura – mista

dai profondi grumi imperfetti – guasta

infiltrando rovina che cede

ma rigogliando essa, e mai le basta

il male grigio che incista

i tinti gineprai

a millimetri, piano, come un fiume.

Ma fuori della borsa

– della sacca – di pelle e cucitura

sta un mondo, io credo, in corsa.

Il rizoma

A eventi piuccheperfetti una talea

gemma d’imperfezione scosta, un tralcio

che volta tutte le foglie a un oriente

impaziente, irredento, e dunque passa

volo di starne per le lunghe righe

dello spazio migrante, e a un salto, a un calcio

cambia casacca il mare delle spighe,

e scioglie la verdissima matassa,

e la riaccoglie, lieve sfrido al niente,

il rizoma di terra estro a un’idea.

Praterie di fieno

Ma tu non fare spazio al chiuso al fieno

l’urto dell’erba declinando. Sbatte

la porta al vento e porta dentro l’aria

a vagoni, a velari. Apre di fronte

la grata una finestra che altro vento,

altro, o l’altro mutato, incrocia e varia

come sole con ombra. E tutto il monte

di nero e verde se ne affanna dentro,

contro via, contro senso, per rifatte

praterie intruse dal vuoto nel pieno.

Cilecca

Imbracciato il fucile, l’alta obliqua

amazzone mirò nel cervo all’acqua,

zoccoli chiusi nell’erba, e dall’occhio

chiuso fuori di mira un raggio a specchio

all’occhio aperto che sfondava il cerchio

a imbuto della mira una risacca

obliqua come suono dall’orecchio

sventò cadendo di lato dal tacco

della distanza l’alto al basso, pecca

di precisione da olio liscio a morchia,

e il piombo spaccò a mezzo una siliqua

che a un ramo verde inclinava la stecca,

fuggendo il cervo alla selvosa cerchia

a esedra aperta per zoccoli e tocco

nel suono d’eco lunga di cilecca.

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