Fondamenti neoliberisti e possibilità non contemplate
Dal libro di Marco Bersani
Dacci oggi il nostro debito quotidiano – strategie dell’impoverimento di massa
Adam Vaccaro
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Al di là della sinistra socialdemocratica (PD e collaterali), completamente affondata negli ultimi tre decenni nel mare della ideologia e della prassi neoliberiste, anche le posizioni degli altri frammenti della sinistra storica, rimangono fallimentari e inefficaci su ogni piano: politico, sociale e culturale. La ragione sta nella carenza di analisi dei fondamenti neoliberisti, che non possono essere affrontati solo con gli impianti critici del secolo scorso, o con pappe del cuore buoniste, o con inflessibilità critica focalizzata sulle forme politiche nazionalpopuliste, nate per reazione ai crimini sociali del modello dominante.
Finché il focus della propria critica – per quanto riguarda l’Italia – rimane accovacciato su limiti (indubbi) dei 5S o su posizioni (inaccettabili) della Lega, si continua a oscillare sulla coda di una bestia che ci sta massacrando. E che persegue senza adeguate opposizioni il progetto di distruzione sociale, economica e politica, utilizzando immigrazioni, nuove tecnologie, crescenti impoverimenti sociali, per un azzeramento di quelle conquiste di civiltà che sono state ottenute (pur tra violenze e guerre prodotte dalle fasi capitalistiche fino agli anni ’70-80 del secolo scorso) nell’ultimo dopoguerra da un incrocio di visioni e interessi tra capitale e lavoro.
Conquiste – ricordiamolo – non regalate dal cielo, ma ottenute grazie a contributi di sangue di movimenti politico-sindacali. Ma rese possibili anche da una fase di capitalismo, ancora fondato – sintetizzando – sulla produzione e su una territorialità nazionale. Con un orizzonte mondialista, anche l’analisi marxiana andrebbe integrata nei confronti di un capitalismo che ha reagito alla caduta storica e tendenziale del saggio di profitto, facendo diventare primaria e dominante la componente finanziaria rispetto a quella produttiva, e rompendo ogni impedimento derivante dagli assetti nazionali. Un’azione che non poteva non produrre anche reazioni di vetero nazionalismo. Non è la fine della Storia – come qualcuno narrava – ma è certo tutta un’altra storia. Entro la quale solo con una sinistra a misura di tale Nuova Storia, possiamo sperare di riaprire alternative umane. In caso contrario oscilleremo tra barbarie, inferni perseguiti dal capitalismo globalizzato, e confuse reazioni popolari e nazionali, che rischiano di diventare solo appigli per ulteriori strette delle spire del liberismo da parte delle oligarchie dominanti a livello mondiale. Le quali, benché divise e contrapposte, sono unite nell’obiettivo comune di tenerci sempre più liberamente intrappolati, chiusi ad ogni altra prospettiva futura, economica e culturale.
Se queste notazioni hanno un qualche riscontro con la realtà sociale in atto, libri come quelli di Marco Bersani, in particolare l’ultimo “Dacci oggi il nostro debito quotidiano – strategie dell’impoverimento di massa”, DeriveApprodi, Roma 2018, ci offrono ossigeno per aperture possibili. È un libro prezioso, un piccolo forziere di dati contemporanei che supportano le analisi sostenute. Arricchite anche da un sintetico escursus storico, che risale nei millenni, al fine di sostanziare la critica serrata ai dettati culturali del contesto economico-politico attuale. Risalire nel tempo può essere illuminante per una ricostruzione di senso nel caos in cui spesso ci sentiamo immersi: “Non a caso, la prima parola che ci è stata tramandata con il significato di ‘liberta’ è il termine sumerico amargi, che significa ‘libertà dai debiti’ , ma anche “ritorno alla madre, ovvero il rientro a casa”.
Il libro analizza due dei pilastri consustanziali su cui poggia la cattedrale dei poteri neoliberisti: Impoverimento e Debito. Pilastri che, insieme ad altri di cui diremo (soprattutto, criminalità organizzata e droghe), assumono forme molteplici di intrecci tra loro, fattori al tempo stesso di effetti e cause della complessità sistemica della struttura sociale scientificamente programmata e voluta dal pensiero neoliberista, a partire dagli anni ‘70-80 del secolo scorso.
L’impoverimento del lavoro – compresi i ceti medi – è stato preordinato come effetto ineluttabile di una serie di misure economico-finanziarie, sia monetarie, sia di riforme strutturali, fondate sulle privatizzazioni, che hanno favorito il trasferimento e la concentrazione di ricchezze gigantesche in una ristrettissima cerchia di detentori del capitale sociale. Una oligarchia finanziaria parassitaria, priva di ogni merito e legittimazione sociali, che dopo aver cooptato (alias, comprato) le dirigenze delle sinistre storiche, non ha avuto più alcuna opposizione alla realizzazione dei propri piani.
“il 12 febbraio 1981, l’allora Ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, scrive al Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, proponendo l’indipendenza della Banca d’Italia, ovvero il cosiddetto divorzio fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro. La risposta è positiva e – senza alcun passaggio istituzionale – inizia il nuovo corso”. In tal modo, “ lo Stato italiano, per il finanziamento delle proprie attività, si è messo nelle mani della finanza privata e della speculazione finanziaria”. E sono i “numeri a fare tabula rasa delle narrazioni ideologiche: infatti, dal 1980 al 2007 lo Stato italiano ha contratto 1.335,54 miliardi di debito, sui quali ha pagato 1.740, 24 miliardi di interessi”. Facendo “un paragone tra il periodo i960-1980 e il periodo 1981-2007”, se “nel primo lo Stato pagava tassi d’interesse al di sotto dell’inflazione, nel secondo ha mediamente pagato tassi d’interesse superiori del 4,2% al tasso d’inflazione.”
Questo “significa che i cittadini italiani hanno versato allo Stato 700 miliardi in più di quello che hanno ricevuto” dallo Stato, reso dipendente da speculazioni private. Poi “Con la crisi del 2008 , la truffa del debito pubblico viene trasformata in una vera e propria trappola”. La crisi diventa l’affare con cui vengono socializzate le perdite: “il salvataggio pubblico delle banche private europee ha visto, nel periodo 2008-2011 caricare sui bilanci degli Stati almeno 2000 miliardi di euro”, “chiave di volta per… politiche di austerità, precarizzazione del lavoro”, insieme a drastiche riduzioni di stato sociale.
Un’azione da Robin Hood a rovescio che ha fatto dire al miliardario americano Warren Buffett, il terzo uomo più ricco al mondo: “La lotta di classe esiste, e negli ultimi venti anni la mia classe l’ha vinta”. Per completezza, Buffet lo dice denunciando con rara preoccupazione (per la sua classe) i drammi sociali prodotti dalle “riduzioni fiscali che abbiamo ricevuto”, fino ad auspicare “aumenti di tasse ai ricchi”.
Privatizzazioni e leve fiscali sono tra gli strumenti principali utilizzati dai poteri neoliberisti per i trasferimenti di ricchezze sopra dette. Leve utilizzate in modi analoghi da governi di destra e di sinistra, sia in America che in Europa.
Come pensare di trovare uscite da una trappola ignobile (congegnata da padri esperti incoronati da Nobel, al servizio di elite economiche e politiche), diventata ferrea e al tempo stesso invisibile perché declinata in forme di verità assoluta, più che ideologica, teologica? Come immaginare possibilità non contemplate o contemplabili nello stato di cose in atto? Come immaginare un’uscita che è presentata e vissuta come ridicola, inesistente o sacrilega, come un tabù indiscutibile?
Eppure la storia insegna che quando i bisogni primari delle persone scoppiano nelle mani dei poteri, possono trovare modi per incarnare quelle possibilità (per ora) non contemplabili. Inoltre, la storia mostra che ogni regime, per quanto totalizzante e soffocante, può implodere, cadere, finire. Ma, dice con lucidità e realismo Marco Bersani nel suo libro, senza “la costruzione di un’ampia mobilitazione di massa”, la possibilità di uscire dalla “crisi… sistemica” di una struttura sociale fondata sull’impoverimento e sul debito crescenti rovesciati sulla maggioranza, implica una coscienza che oggi non c’è. O c’è poco, sull’evidenza che “incidere direttamente sul debito non può che significare una drastica inversione di rotta e l’uscita – sic et simpliciter – dal capitalismo.”
Quindi i poteri in atto, per ora, possono dormire sonni tranquilli?, tanto più che mille trombe mediatiche ne decantano ineluttabilità e bellezza, o dipingono rischi di precipizi se si ipotizza e non si introietta il senso di colpa di aver prodotto questo macigno del debito. Guai a voi che avete vissuto al di sopra delle vostre risorse! Menzogna che la storia e le cifre smascherano e mostrano che l’economia del è “il frutto di precise scelte politico-economiche. Ne deriva che anche “il pagamento del debito non può essere considerato un orizzonte ineluttabile”. Sia perché tale debito – dati alla mano – è stato ripagato già più volte dagli interessi versati, sia perché nella storia sono molte le “situazioni in cui si è proceduto all’annullamento del debito”. E infine perché “esiste ormai una copiosa giurisprudenza internazionale, a cui la volontà politica può fare riferimento”. E se tale volontà manca, è perché può nascere solo da una coscienza culturale e sociale.
In ogni caso, su queste possibilità, Bersani elenca anche alcuni strumenti giuridici, quali “l’articolo 103 della Carta dell’Onu”, imperativo per tutti gli Stati aderenti e “che così recita: ‘In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto’.” Obblighi tra i quali ci sono quelli degli “articoli 55 e 56 ‘l’elevazione dei livelli di vita, il pieno impiego e condizioni di progresso e di sviluppo dell’ordine economico e sociale (…) il rispetto …dei diritti dell’uomo…per tutti senza distinzione’”. Bersani aggiunge poi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 1948, o la Convenzione di Vienna, 1969. Ma possiamo citare, non ultima, la Costituzione italiana.
Si dirà che queste ed altre dichiarazioni di principio restano belle parole sulla carta, e concludere che, insomma, il potere reale è altro da tali dichiarati. E Tuttavia, una battaglia politica può utilizzarli, denunciando come pressoché tutti i documenti prodotti dall’operatività finanziaria globalizzata, e gli stessi trattati dell’attuale EU, siano in totale contrasto con tali principii. Per ora nascono solo iniziative spontanee, come quelle dei gilet gialli, attualmente in Francia. Lasciati peraltro soli dagli altri popoli europei, sebbene vessati in modi analoghi. Ma carattere e pregio del libro non spingono a una rassegnazione inerte, ma a tutto ciò che può aiutare un futuro alternativo, “una battaglia politica e sociale” e “un’inversione di rotta”.
Su tali speranze, viene citato sia il Forum per una nuova finanza pubblica e sociale (2012), rete di comitati, associazioni e forze politico-sindacali, sia la nascita del Cadtm Italia (2017), Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi, affiliata al Cadtm internazionale (anni’90), sia “L’organizzazione di un Centro Studi” finalizzato a “una contro-narrazione sul debito pubblico” per “una alfabetizzazione sociale” e per “l’audit sul debito pubblico” – ovvero indagine autonoma sul debito, locale o statale.
Sono segni di “conflittualità, disperse ma tutt’altro che sopite” contro una vera e propria “guerra” e “un gigantesco percorso di espropriazione e di privatizzazione” di “beni e patrimoni delle comunità territoriali” da parte di banche e istituti finanziari della tenaglia del Patto di stabilità dell’Unione Europa. Comuni e altri Enti territoriali sono spinti a ridurre i servizi o ad aumentare le tasse, o a indebitarsi (magari utilizzando derivati tossici), infine a (s)vendere i propri beni o assets di vario tipo.
In tale contesto, gli Enti locali possono essere l’ultimo anello del processo di privatizzazione della nostra vita, o il primo livello di esercizio della democrazia? L’audit su debito del Comune può essere il terreno concreto di tale azione di resistenza democratica.
Tutti i meccanismi finanziari messi in atto, a livello globale o europeo, non hanno solo l’obiettivo dell’impoverimento economico che platealmente vediamo, ma anche quello – grazie al bombardamento mediatico di un esercito in gran parte (per fortuna con eccezioni!) omologato allo storytelling della teologia neoliberista – di rendere passivi e inerti i sudditi. Un obiettivo che in Italia è raggiunto, visto il corpo sociale che pur subendo effetti devastanti, rimane sostanzialmente catatonico.
Funziona in Italia la narrazione dell’incubo e dell’effetto blocco da panico. Fino a quando?
Per ora, “La moderazione salariale…e la precarizzazione del lavoro…l’accondiscendenza di fatto sull’elusione e l’evasione fiscale”, insieme alla “libera circolazione di capitali,… all’impossibilità di tassarli, oltre a essere tra le “cause di tutti i processi di deindustralizzazione”, sono tra le molle che hanno “prodotto lo sviluppo dei paradisi fiscali”, nonché “l’espansione dell’economia criminale e mafiosa”. Sono purtroppo i dati macroscopici della realtà a dirlo: altri due pilastri consustanziali dell’assetto mondiale neoliberista sono (come accennato all’inizio) economia criminale e mercato delle droghe.
Impoverimenti di massa, politica di incremento del debito (pubblico e privato), mafie, droghe e dipendenze di vario tipo (giochi, TV, protesi tecnologiche, deliri social e schizofrenie da shopping) sono inscindibili e necessari agli incubi e controcanti delle trionfanti magnifiche sorti e progressive, che stanno depredando l’umanità e la natura.
Per ora solo “Embrioni di un futuro possibile dentro i conflitti metropolitani”, dentro “I cambiamenti climatici in corso, la drammatica diseguaglianza sociale a livello planetario, le guerre e…le migrazioni di massa”, fatti già sufficienti a dire che “il modello capitalistico va abbandonato”.
È certo un nodo storico difficilissimo, che però ricorrerà e richiederà “la costruzione di un altro modello economico”, per la sopravvivenza stessa dell’umanità in un rinnovato equilibrio ecologico. E per quanto possa apparire solo visionaria, questa, qui e ora, è una utopia concreta che il libro di Marco Bersani ripropone alla riflessione della nostra intelligenza e coscienza.
Novembre 2018
Adam Vaccaro
Caro Adam, avevo appena lasciato il mio commento al tuo bellissimo scritto dedicato all’importante libro di Marco Bersani, ma il mio testo è sparito… Che fare? Scusami davvero. E ancora vivissimi complimenti per questo tuo lavoro, che perfettamente “illustra”
le riflessioni e la profonda consapevolezza dell’arduo tema economico-politico da parte di Marco Bersani.
Grazie di cuore e un carissimo augurio e saluto da
Mariella B.