Fatti e misfatti della casta al potere

Pubblicato il 30 luglio 2012 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

“COME DIRE CHE MANI PULITE NON SI DOVEVA FARE PERCHE’ CI SONO STATI ALCUNI SUICIDI”.

Barbara Spinelli – “La nota del Colle

offende il mio cordoglio”

Silvia Truzzi intervista Barbara Spinelli sul Fatto on line di sabato 28 luglio

Barbara Spinelli, Giorgio Napolitano ha parlato di una “campagna violenta di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose”. Le telefonate con Mancino ci furono, ed è un fatto non un parere.

Se la dichiarazione non fosse stata fatta dopo la morte di Loris D’Ambrosio, non sarei colpita come lo sono oggi. In sostanza, quel che dice il comunicato presidenziale è che ci sono responsabili di questa morte, e tra questi c’è chi ha sostenuto che la chiamata d’aiuto di Mancino al consigliere giuridico del Quirinale andava con fermezza cortese respinta. Responsabile, in questo caso, vuol dire che si deve rispondere di un atto che ha portato danno, se non morte. Non posso accettare questa responsabilità. In un certo senso, le accuse di aver partecipato a “campagne violente” offendono il cordoglio che sento per la scomparsa di D’Ambrosio, danno al cordoglio una colorazione che respingo.

Di fronte alla morte c’è il dolore di chi resta. Crede che la reazione del Capo dello Stato fosse – come qualcuno ha detto – dovuta allo choc del momento?

C’è il dolore di chi resta ma sempre, anche, di chi è morto. Del secondo dolore non sappiamo nulla, o sappiamo talmente poco: non si può dall’esterno interpretarlo veramente. Capisco sino in fondo la reazione del Presidente. Ha perso un consigliere, un grande amico, d’improvviso. Come non soffrire di questo, e come non provare empatia per quello che Napolitano sente? Ma le accuse restano ingiuste. È come se dicesse: “Chi ha criticato le telefonate di Mancino col Quirinale ha volutamente ‘rischiato la morte’ del consigliere”. Come se qualcuno dicesse: siccome ci son stati suicidi connessi a Mani Pulite, Mani Pulite non s’aveva da fare, e fu un teorema criminoso. Il termine che è stato convocato nelle ultime ore è “crepacuore”. Il crepacuore è una morte così strana, nella nostra cultura ha connotazioni quasi magiche o comunque suscita pensieri scabrosi attorno alla colpa, sempre. In questa configurazione magica, non del tutto razionale, tutti diventano “responsabili” di chi muore di crepacuore. Anche Mancino che ha bussato alle porte del Quirinale, telefonando a D’Ambrosio. Ma la configurazione, appunto, non è razionale.

A proposito di atmosfere esasperate, il Colle ha sollevato il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, non proprio un atto neutro.

Vedremo come risponderà la Consulta. Per quel che so, non credo che la Costituzione obblighi i magistrati inquirenti a distruggere subito le bobine, quando intercettano non il Presidente, ma una persona che si trova a parlare col Presidente. D’altronde è già successo: nel 2009, la voce di Napolitano fu captata sulle linee del sottosegretario Guido Bertolaso, indagato dalla Procura fiorentina. L’intercettazione non fu distrutta. E il conflitto di attribuzione non fu sollevato.

Per D’Ambrosio non è stata fatta richiesta di rinvio a giudizio. E i magistrati di Palermo rivendicano di aver agito con coscienza. È d’accordo?

I magistrati di Palermo non hanno responsabilità nel dolore che è stato causato a D’Ambrosio. La responsabilità che hanno è di cercare la verità, e stanno facendo tutti gli sforzi in questa direzione. Non vanno lasciati soli, come furono lasciati soli Falcone e Borsellino. Nell’anniversario della strage di via D’Amelio, Napolitano non ha detto cose diverse, almeno mi sembra, quando ha chiesto scavi profondi, fuori d’ogni cautela motivata da cupe “ragioni di Stato”. Gli scavi profondi li fanno i magistrati ma anche, in nome di un’opinione pubblica che desidera essere bene informata, i giornali. I giornalisti non possono temere di uccidere e di essere ostracizzati, scrivendo. Hanno un dovere di verità, e responsabilmente devono evitare le contro-verità. Almeno a me pare.

È intervenuta anche Ilda Boccassini: si è detta amareggiata per i violenti attacchi a D’Ambrosio. Paolo Mieli, ospite di Enrico Mentana, ha chiesto che la dottoressa chiarisca a chi si riferiva, perché le sue parole non restino accuse generiche che possano essere fraintese .

Anch’io chiedo a Ilda Boccassini di chiarire. Infatti non ha espresso solo amarezza. Ha parlato di “attacchi ingiusti e violenti”. Sono due aggettivi molto molto forti. Soprattutto la parola “violento” lo è. Dopo quello che è accaduto, un aggettivo simile è a sua volta violento, e merita una spiegazione.

Perché questa vicenda della trattativa è in grado di esasperare tanto gli animi? Che sta capitando tra Roma e Palermo?

Lo vorrei sapere anch’io. Anche perché la verità che si cerca non è: “C’è stata la trattativa o no?”. Che ci sia stata è un fatto provato. L’ha ricordato il Procuratore antimafia Pietro Grasso il 10 luglio scorso: “C’è una sentenza passata in giudicato, quella della strage di via Georgofili, che accerta questo. Certo bisogna indagare ancora per dare un volto ai mandanti di quel patto con la mafia.

D’Ambrosio ucciso da Travaglio & Co.

di Benny Calasanzio nel Sito di Micromega di venerdi 27 luglio 2012

Immagino che alla notizia della prematura dipartita del consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, i complottisti d’Italia abbiano decretato che l’anello mancante tra Napolitano e Mancino sia sparito al momento giusto, prima che potesse parlare, prima che potesse difendersi, prima che potesse essere “dimesso”. Sono teorie sempre affascinanti.

Quel che mi preme oggi è ricordare che il dispositivo dell’art. 69 del Codice di Procedura Penale prevede che un processo si estingua se risulta la morte dell’imputato, in ogni stato e grado del procedimento. Quello che il Codice invece non cita è l’estinzione delle responsabilità morali, degli errori, degli sbagli. Se muori, per la legge non diventi vergine e puro, ma semplicemente rimani quel che eri. Che tu fossi indagato, imputato o intercettato.

Invece, come era ampiamente prevedibile, alla notizia del decesso dell’uomo che suggeriva a Mancino di mettersi d’accordo con Martelli per evitare l’incriminazione (dicendo di riportare il consiglio ricevuto dell’Intangibile oracolo), molti hanno beatificato il defunto e puntato il dito sulla procura di Palermo e sul Fatto Quotidiano, veri killer morali del D’Ambrosio: “Insieme con l’angoscia per la perdita gravissima che la Presidenza della Repubblica e la magistratura italiana subiscono, atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all’amministrazione della giustizia del nostro Paese” ha detto sobriamente Napolitano. Oltre è andata Ubiqua Santanchè, che dalle spiagge di Marina di Pietrasanta, da Twitter ha estivamente sentenziato: “I pm hanno fatto un altro morto: D’Ambrosio. Fermiamoli”. Ricordarle che per le stesse accuse a Caselli nel 1998 Vittorio Sgarbi è stato condannato in primo e secondo grado per diffamazione aggravata (salvato dalla prescrizione) sarebbe come anticiparle la querela che partirà da Palermo; preferisco godermi lo spettacolo. Citazione merita anche il noto cardiologoMaurizio Gasparri, che certifica come ”Questo drammatico evento dovrebbe essere per tutti motivo di profonda riflessione. È difficile considerare questa scomparsa non condizionata dai recenti eventi”, tralasciando il fatto che D’Ambrosio era malato da tempo. A sorpresa chiude la lunga carrellata (che abbrevio per noia) il pm di Milano Ilda Boccassini, che fa presente come “D’Ambrosio ha salvato l’integrità della magistratura eppure è stato oggetto nelle ultime settimane di attacchi ingiusti e violenti”. Perché ingiusti e perché violenti non è dato sapere, ma tant’è.

L’assoluzione mortis causa non fa onore a chi la invoca e tantomeno aLoris D’Ambrosio, magistrato esperto e rispettato che in passato aveva collaborato anche con Giovanni Falcone. Appaiono evidenti, infatti, gli errori di metodo e di valutazione commessi dall’esperto consigliere giuridico, forse schiacciato dall’insostenibile peso di Nicola Mancino; errori che a tratti apparivano come vere istigazioni a delinquere (specie quando suggeriva, come dicevamo, di concordare una versione di comodo al di fuori del processo). Ora la sua morte non può cancellare quelle imbarazzanti telefonate con Nicola “Minuti Gratis” Mancino, né, a maggior ragione, le responsabilità del Capo dello Stato che non ha censurato D’Ambrosio, non gli ha chiesto la rettifica di quanto detto a suo nome a Mancino e non gli ha imposto le dimissioni.

Serviva solo silenzio, per rispettare una vita che finisce, che è sempre un lutto. E invece, ancora una volta, a perdere l’occasione di stare zitto è stato lui, l’uomo che sussurrava agli indagati. L’imparziale, il terzo, il garante della Costituzione. Ma sarà mica preoccupato di dire le stesse cose che dicono la Santanché e Gasparri?

Paghi uno prendi due

Marco Travaglio sul Fatto quotidiano di giovedi 26 luglio 2012

Oddio, c’è il processo alla trattativa e non so cosa mettermi: è l’atteggiamento dominante dei giornali alla notizia delle richieste di rinvio a giudizio per la trattativa Stato-mafia. Libero si affida alla sapiente penna del mèchato, che su carta è anche peggio che in tv. Parla di “trattativa fatta non si sa da chi e per ottenere cosa”: per rispondere potrebbe leggere le richieste della Procura, fitte di nomi e moventi, ma è troppa fatica. Meglio invocare “una commissione d’inchiesta per scoprire le responsabilità di chi i veri colpevoli non li ha scovati”. E lui sa già chi sono. Tenetevi forte: “una dozzina di pm e una trentina di giudici” siciliani che han “buttato 20 anni nel cesso”. Ecco: i depistaggi su via D’Amelio e trattativa non sono colpa dei poliziotti che costruirono il falso pentito Scarantino, ma dei magistrati. Fortuna che poi è arrivato Spatuzza con l’“autoaccusa riscontratissima” (da chi? dai pm colpevoli, naturalmente). Che però non è più riscontratissima quando parla di B. e Dell’Utri: lì Spatuzza è stato “ridicolizzato dai fratelli Graviano”, due boss stragisti che negano di essere mafiosi e persino che esista la mafia. Meno male che ai tempi di Falcone il mèchato andava all’asilo, altrimenti avrebbe scritto che Michele Greco e Pippo Calò avevano ridicolizzato Buscetta. La Stampa titola sul “teorema della Procura” e vaneggia di Andreotti “assolto”. Strepitose le acrobazie dell’Unità: “Trattativa Stato-mafia: ‘Berlusconi al centro’”, “Da Lima per arrivare al Cav”. Purtroppo i pm dicono ben altro: la trattativa parte nel ’92 col Ros, sotto i governi Andreotti e Amato; e prosegue nel ’93 col governo Ciampi, quando Conso revoca il 41-bis a 334 mafiosi, mentre il ministro dell’Interno Mancino non sa, non vede e non sente (anche se Martelli dice di averlo avvertito dei colloqui Ros-Ciancimino e lui stesso ammette che un cronista lo informò dei boss usciti dal 41-bis). Insomma “da Lima al Cav” c’è di mezzo il biennio del centrosinistra. Sempre sull’Unità, Marcella Ciarnelli comunica: “Il Quirinale fuori dai sospetti, infangato senza motivo. Di Pietro e Travaglio a testa bassa, ma le telefonate di Napolitano non hanno valore”. Forse sa cose che noi non sappiamo: pare che si aspettasse il coinvolgimento di Napolitano; poi scopre che non è nella lista degli imputati; tira un sospiro e se la prende con la “campagna di attacchi politici e giornalistici” che “ha volutamente ignorato il sostegno del Presidente a quanti impegnati nelle indagini” (trascinandoli alla Consulta). Ergo “non c’è stata nessuna iniziativa che abbia potuto fermare la determinazione dei magistrati… i 12 rinvii a giudizio (sarebbero solo richieste, ma fa lo stesso, ndr) dimostrano che la giustizia sta facendo il suo corso”. Pare di rileggere Scalfari quando elogia Napolitano perché – bontà sua – “ha confermato che le indagini della Procura di Palermo possono e debbono proseguire”. Come se il Presidente fosse il Re Sole e potesse decidere quali indagini devono proseguire e quali no. Massima solidarietà, infine, a Polito el Drito, chiamato dal Corriere a un’impresa sproporzionata alle sue possibilità: un editoriale sulla trattativa, di cui non sa una mazza. Infatti è sgomento per l’accusa di violenza o minaccia allo Stato, “reato pesante ma inusitato, nel senso che non se ne ricordano molti altri usi”. In effetti sono più frequenti i processi per spaccio e furto d’auto, anche perché non tutti i criminali possono permettersi di trattare con la mafia per conto dello Stato ed è piuttosto raro, soprattutto all’estero, uno Stato che tratta con la mafia. Ma il nostro esperto è atterrito anche perché il processo rischia di dare ragione “ai fautori della teoria del ‘doppio Stato’, dall’esistenza di uno Stato criminale incistato nello Stato legale”. Teoria a suo tempo demolita anche da Napolitano. Non s’accorgono, Napolitano e Polito, che il doppio Stato conviene a tutti. Perché, se si scoprisse che di Stato ce n’è uno solo, avremmo la certezza è quello sbagliato.

L’ Italia civile contro il regime

di Paolo Flores d’Arcais, da Il Fatto Quotidiano di sabato 28 luglio 2012

Il regime continua. Formigoni, governatore berlusconiano, di fronte a indagini che svelano ciclopici “do ut des” con faccendieri in galera dichiara “tutto qua?”, ufficializzando l’indigenza assoluta della fibra morale di un intero ceto politico. Nicolò Zanon, membro berlusconiano del Csm, propone il procedimento disciplinare contro Roberto Scarpinato che ha ricordato una verità nota anche ai sassi: nelle commemorazioni per Borsellino si vedono “talora nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità” per i quali Borsellino ha sacrificato la vita.

Due gesti impensabili in ogni altro paese europeo, da noi di ordinaria tracotanza partitocratica. Lo spread istituzionale, politico, morale, è tutto in questi due episodi, e nella “banalità del male” con cui ogni giorno le nomenklature ne compiono di analoghi.

La vedova di Paolo Borsellino, Agnese, con i figli Rita e Salvatore, ha reagito facendo propria “ogni parola della lettera emozionante con la quale Roberto Scarpinato si è rivolto a Paolo lo scorso 19 luglio in via D’Amelio”. E’ evidente che di Borsellino si vuole ormai uccidere la memoria. L’Italia civile ha cominciato a reagire, e speriamo che nei prossimi giorni insorga moralmente con i suoi “intellettuali pubblici” di recente troppo spesso afoni.

Formigoni e Zanon non fanno scandalo. La partitocrazia oscilla tra compiacimento, omertoso silenzio o polemica “specchio per le allodole”. Qualche lettore ci accusa talvolta di non distinguere tra le forze politiche, cadendo nel qualunquismo. Ma se anche in casi del genere non sanno distinguersi tra loro come il bianco dal nero, è colpa nostra? Pd e berlusconiani si stanno accordando su una legge elettorale peggio della “porcata”, e se non ci riusciranno è solo perché l’ometto di Arcore vuole ancora di più e non sa bene cosa.

Ma di fronte alla debacle dei partiti, è ormai acclarato anche il fallimento dei “tecnici” liberisti. Tutte le loro misure (che tolgono ai poveri e impoveriscano i ceti medi, lasciando a evasori, ladri e banchieri ogni privilegio) falliscono, perché solo una redistribuzione delle ricchezze in chiave neo-keynesiana può invertire la deriva. Partitocrazia e “tecnici” di Monti sono ormai la padella e la brace.

Se ne esce solo con una classe dirigente del tutto nuova, da selezionare nella società civile. Il Terzo Stato sarà capace di esprimerla? O subirà il monopolio di un establishment politico-finanziario ammanicato che ci sta portando alla rovina?

Basta ingiurie contro i magistrati

antimafia

di Giuseppe Giulietti nel Sito di Micromega di sabato 28 luglio 2012

Ci auguriamo che il Consiglio superiore della magistratura decida di archiviare l’esposto presentato contro Roberto Scarpinato, un magistrato che gode di stima generale, almeno tra chi ancora crede nello stato di diritto e nella possibilità di contrastare le mafie e di arrivare alla verità sulle stragi del 1992 e dintorni.

Questa volta a Scarpinato si rimprovera di aver espresso il suo pensiero alla cerimonia per ricordare Paolo Borsellino e quanti morirono con Lui nell’attentato mafioso di via D’Amelio, per altro le parole del magistrato hanno ricevuto il pubblico elogio della moglie e di tutti i familiari di Borsellino.

A Scarpinato, in altre parole, si vorrebbe persino interdire “l’accesso all’articolo 21 della Costituzione”.

Il livello di ingiurie e di aggressioni consumate nei confronti dei magistrati Ingroia e Scarpinato e di quanti hanno raccolto l’eredità di Borsellino, sta passando il limite del lecito e del consentito.

Forse sarà almeno il caso di ripristinare la “par condicio” tra chi vorrebbe contrastare le mafie e chi ha, invece, preferito contrattare con la mafia medesima.

Fonte: Rassegan stampa Pagine on line – n. 39

2 comments

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