Dopo i funerali di Alda Merini
Seguono alcuni commenti e notizie su Alda Merini, come persona e poetessa, di amici poeti e operatori culturali – Franco Romanò, Attilio Mangano, Gabriela Fantato, Pietro Pancamo – che, dopo i suoi funerali, fanno rilievi da me totalmente condivisi. È stata un’occasione per ricordare che fare poesia dovrebbe essere scevro dalle modalità spesso meschine – tra invidie, rincorse di visibilità o piccoli poteri – riscontrabili nell’ambito di chi se ne occupa. Si dirà che i poeti sono persone come le altre. E che questa fase di perdita di valori e orizzonti di mutamento esalta ancor più comportamenti centrati sull’interesse personale e sui narcisismi.
Ma fare poesia dovrebbe comportare l’etica della responsabilità di una maggiore coerenza tra parole e gesti. La dichiarata sacralità della parola poetica, la (dichiarata) rincorsa di verità e nudità di chi la esprime, stride ancor più se accompagnata da comportamenti che razzolano in modalità opposte. La finzione dell’arte e della poesia riguarda la coscienza dell’irriducibile differenza tra cosa e parola, ma ciò esalta e non riduce la tensione di quest’ultima a incarnare la loro massima adiacenza.
Ho avuto la ventura straordinaria di conoscere e frequentare Alda Merini, anche per trarne alimento ed elementi utili alla stesura del saggio su di lei (vedi Ricerche e forme di Adiacenza, Asefi, Milano 2001). Al di là delle esagerazioni opposte tra esaltatori e detrattori (che andavano dalla proposta per il Nobel alla totale disistima), anche grazie a questi momenti trascorsi con lei ho potuto sentire la corrispondenza (rara) tra persona e scrittura. Questo credo sia il segreto della sua capacità di coinvolgere un pubblico al di là degli addetti. Un difetto che molti poeti laureati (non solo uomini) non hanno digerito.
Adam Vaccaro
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Mercoledì scorso ero ai funerali di Alda Merini, la cattedrale era già piena quando sono arrivato ed era difficile trovare posto. Naturalmente ha pesato su questo la mobilitazione leghista e cattolico-ciellina-Opus dei (Bossi-Gelmini) che cerca di appropriarsi indebitamente di tutto e di occupare tutti gli spazi occupa bili, favoriti in questo anche dalla scelta istituzionale dei funerali di stato; ma c’era la gente comune che la conosceva, ragazzi e ragazze giovani che comunque tramite lei sono arrivati alla poesia, qualche barbone dei Navigli. A parte i l finale, con la proposizione di un suo testo indecorosamente musicato e mal cantato (ma si sapeva purtroppo che la fragilità e la generosità della Merini la esponeva fatalmente a presenze interessate e mediocri accanto a lei), la cerimonia è stata commovente e intensa.
Alla fine ci siamo trovati fuori in tanti a commentare, volti amici che le sono stati vicini in momenti diversi e che hanno apprezzato la sua opera sinceramente e non per convenienza e le sono stati accanto in momenti difficili: Mariella De Santis, Gherardo Mastrullo, Alberto Casiraghy, Maria Pia Quintavalla, altri che non ho visto. Insieme a loro alcuni volti noti di artisti come Valentina Cortese, Milva, Cristicchi. Mancava quasi completamente l’establishment poetico milanese (mi scuso per la roboanza del termine), che non è ovviamente fatto soltanto di pochi nomi noti di prestigio e potere, ma anche di un entourage. Tale mancanza vistosa, a parte eccezioni che posso benissimo non avere visto ma che la cronaca dei funerali in Internet e non solo rende palpabile, fa pensare che sia girato un tam tam con l’indicazione di non andare, in altri casi avranno giocato pigri zia e disattenzione, impegni lavorativi e influenza suina a parte.
Anche per il mondo femminile impegnato in poesia la sua figura era diventata scomoda, dopo anni in cui invece era stata presentata quasi come un’icona. Qualche laico avrà storto il naso a fronte della svolta dichiaratamente mistica che la sua poesia aveva intrapreso, in molti si saranno chiesti perché a Raboni solo San t’Ambrogio e a lei il Duomo; tutte considerazioni in sé anche ragionevoli se lasciate al dopo, se accompagnate dal bon ton, da un segno di pietà e di commiato.
Le assenze vistose invece fanno pensare ad altro e cioè a ciò che le si rimproverava di più: di piacere e di essere letta. Merini in fondo ha sempre disturbato il coro che ripete in continuazione che la poesia non si legge, non si ascolta ecc. ecc. La sua era ascoltata, forse perché più diretta, anche troppo a causa di una generosità che a volte poteva apparire incontrollata. Ma questo, in definitiva, potrebbe essere detto anche per molti poeti laureati e celeberrimi del passato, di cui, infatti, non si legge tutto e a volte pochissimo. Lei almeno tre libri importanti li ha scritti: Testamento, Delirio amoroso, Diario di una diversa; altri potranno aggiungerne altri. Merini poi è stata una lirica pura, come Penna, come Bellezza, quindi un po’ troppo fuori dai canoni novecenteschi, specialmente quelli del secondo ‘900.
Tutto questo però continua a lasciarmi interdetto: possono bastare queste o altre considerazioni per astenersi da un semplice gesto di saluto? Credo che in queste come in altre assenze sia facile cogliere il segno di una grettezza e di un cinismo, per me niente affatto sorprendente, ma che molti a Milano si ostinano a non vedere o a non voler vedere.
Franco Romanò
Il problema non era e non è quello di fare la conta di presenti e assenti, ci sono sempre tante assenze giustificate, credo che in fin dei conti il problema continui a essere quello di comprendere come e perchè la maggior parte dei poeti ” laureati”, per usare una citazione di Montale, abbiano finito col considerare non tanto la persona di Alda Merini, con le sue stesse follie e problematiche esistenziali, quanto la sua poesia e la sua scrittura qualcosa da snobbare, cui si può riconoscere certo qua e là un sentimento genuino e una vis autentica ma non tale da annoverarla nel gruppo dei ” grandi” di questo secolo, quasi un fenomeno a parte di su cui ironizzare o di cui compatire alcuni aspetti, taluni
convinti che si tratti solo e sempre di un fenomeno mediatico ( come se questo fosse un trucco o un disvalore e non un aspetto della nostra contemporaneità, un qualcosa di imprescindibile che non si misura col numero delle apparizioni televisive ma col tipo di risonanza che arriva ai nostri stessi vissuti). O addirittura un meccanismo pubblicitario messo in campo dall’industria culturale per ragioni di mercato perchè la poesia della Merini vende, ha lettori, ammiratori. Terzo ordine di fattore il riconoscimento del disordine di una scrittura spesso immediata, ad hoc, da foglietto, come se la Merini lavorasse per i baci perugina. Infine dire che si, qualcosa che vale certo c’è, qualche testo, magari anche una decina, ma cosa sono dieci poesie rispetto alle migliaia che ci ha lasciato e che rimangono a svolazzare come degli aquiloni? Io non ho titoli e meriti particolari per trarne conclusioni assolute, ma tutto ciò mi ha confermato in quell’ atteggiamento di riserva mentale che ho qualche volta dichiarato in privato ad amici: guardatevi dai poeti, presi uno per uno sono ottime persone e scrivono spesso buone poesie, intesi come area, comunità, campo di relazioni, sono una specie singolarissima che spesso invidia, litiga, misura il mondo sulla base dei propri riconoscimenti e della sofferenza provata quando un altro poeta si afferma.
Attilio Mangano
Cosa dire dei funerali di A. Merini: sì, molte le assenze. Alcune non credo siano dovute a disaffezione o a menefreghismo o similia, ma per motivi seri e umani. Forse le donne della Libreria delle donne non c’erano ai funerali di Alda Merini? Non so, forse non molte…ma non mi stupisce, loro (molte di loro!) non amano tanto la poesia: è “poco politica”, dicono…a volte, anche se non è affatto vero. E Milva?
E di altri dello spettacolo? Ricordo il loro modo di usare la Merini…L’ hanno solo USATA in molti, non solo dello spettacolo, ma anche alcuni tra i musicisti, alcuni tra gli editori, in ogni caso…perché faceva audience, si vendeva, faceva bene …al portafoglio!!!!!
Per l’assenza di altri poeti editi da “grossi editori” italiani (dico non GRANDI editori , ma solo “grossi” sul mercato!!) so che molti loro, come anche molti altri poeti non tanto noti, quasi la disprezzavano come poetessa, la ridicolizzavano…come semplice “FENOMENO multi mediatico”, nient’altro! Non so se l’avevano letta, però…
Io penso che il loro disinteresse e, a volte, anche disprezzo fossero anche mossi da una certa invidia, oltre che da un evidente MASCHILISMO che segna da sempre il mondo poetico italiano (e soprattutto di Milano).
Ma anche questo non si può dire a voce alta, pare che non esistano “differenze di sesso” in poesia, almeno così pare per “CERTI POETI” e “certe poetesse” che dicono che la poesia è “neutra” ( ma il potere no! mi vien da dire, basta veder nel mondo dell’editoria…) e la cosa mi fa riflettere….o mi fa RIDERE.
Credo invece che i tre libri di Merini citati da Franco – ESATTAMENTE QUELLI e non altri! – siano veri grandi libri. Grandi libri, da rileggere ancora e ancora.
Io ho scritto un saggio su di lei, anni fa, in un Annuario di Poesia, Crocetti 2000; poi uno per la rivista di Ercolani su poesia e follia; e ora ne ho fatto un altro sulla sua poesia, uscito nel bel libro “I poeti e la carne”, edito da La Vita Felice 2009, a cura di M. Fresa e T. Salari. Io non nego, né l’ho mai fatto, che lei è grande come voce, le ho dedicato amicizia, ascolto, letture e anche la mia attenzione critica…ma molti non le hanno mai dedicato vera attenzione critica. Neppure una vera lettura.
Faremo per Alda un ‘iniziativa di poesia, noi …“poveri poeti minori”; poi la ricorderemo anche su La Mosca di maggio 2010, con un saggio e dei testi. Noi, tutti noi, non siamo certo disposti ora ad a “usare” la sua morte…per farci vedere, né a pubblicarla perché “serve”…
Gabriela Fantato
Spettabile redazione di «www.milanocosa.it», Vi chiedo di dare notizia nel vostro pregevole sito, di Volpe bellissima, antologia elettronica presto cartacea, curata da Lorella De Bon per il portale culturale «L(’)abile traccia» (http://www.labileabile-traccia.com/rivista_000000.htm), con versi dedicati ad Alda Merini di: Liliana Arrigo, Alberto Barina, Andrea Cambi, Margot Croce, Lorella De Bon, Maria Stella Filippini, Vittorio Fioravanti, Silvana Fiori, Fabio Franzin, Sara Grosoli, Ardea Montebelli, Alessandro Monticelli, Francesco Scaffei, Sara Scialdoni.
Pietro Pancamo
coordinatore di «L(’)abile traccia»
Alda era fragile e forte. Riscoperta nel settembre 1981 su Alfabeta aveva ritrovato la forza della sua voce e non l’ha più persa, perseverante nel suo agire follemente e tenacemente nella poesia.
Era bello incontrarla o andare a trovarla, illuminava d’immenso la giornata.
Rosemary
Ho conosciuto Alda Merini in occasine di qualche lettura negli anni ottanta, mi è sembrata una persona semplice, autentica e grande nel suo modo di fare poesia. Che questo modo sia lontano dal mio non conta, non contano neppure le presenze al suo funerale o che abbia avuto un funerale di stato o che abbia goduto, in vita, di una notevolissima fortuna mediatica. Io credo che ognuno si meriti quel che ottiene, e quel che non gli viene dato (affluenza di colleghi alle esequie, per esempio, ma che importanza ha!!).
Resta quello che lei ha scritto, al di là di ogni formalismo terreno, di invidie terrene, di piccoli mondi mediocri e di arrivismi. Anche lagnarsi ora di chi era presente o no al suo funerale, mi sembra dare eccessiva importanza alla mondanità e non al valore. Quasi insomma il rovescio di una stessa radice di arrivismo e pettegolezzo. Niente di questo conta, resterà il meglio che ha dato, non saremo noi- comunione di piccoli esseri umani- a decidere il modo o la capacità di “restare” dopo la morte.
Cristina Annino.
Ho incontrato Alda Merini nell’unico posto dove si leggeva poesia in pubblico a Milano, poco prima che diventasse di moda e ne fosse provenuta quasi un’inflazione, il CTH (Centro Teatrale dell’Hinterland), in una mezza cantina dentro la quale operava l’attore Mario Rossi. I nostri incontri sono avvenuti solo in quel luogo, dove allora ella passava ignorata pressoché anche da quelli che la conoscevano (io stesso allora non sapevo chi era e neanche dopo che si era presentata comunicando il suo nome), e dove a lei bastavano frasi lampo per giudicare l’establishment e no che man mano vi si presentava. Fu questa comune pratica a renderci “amici”. A tratti si intuivano in lei anche i segnali del suo dramma. Dopo non l’ho più rivista né incontrata, reputo per almeno un decennio, fino a dimenticarne il nome e la fisionomia. Credo che sia intercorso proprio qui il tempo della sua reclusione psichiatrica.
Quando venni invitato da alcuni amici pittori a una recita collettiva in una libreria dalle parti di c.so Genova per festeggiare il ritorno di una loro amica, e a un certo punto, essendo stato chiamato per la mia piccola parte di lettura, avevo iniziato con non più tre-quattro versi, riconobbi la mia amica d’un tempo, interrompendomi dichiarai il proposito di non leggere perché volevo salutarla. In questa occasione erano presenti a quei festeggiamenti persone comuni e perfino diseredati e diversi, nessuno neanche a pagarlo dell’establishment! L’ho incontrata tante altre volte nell’arco dei circa vent’anni che erano trascorsi a partire da quei primi anni Ottanta, lei è perfino stata a cena in casa di mia figlia che la invitò attraverso me, una volta che ne scoperse i testi e li amò. Negli ultimi dieci anni erano più le volte che non mi riconosceva.
Voglio adesso esprimere un mio parere che può in un certo modo agganciarsi agli interventi che sono seguiti alla sua morte.
Risulta vero che nell’immensa quantità dei suoi versi esista un altrettanto grande numero di testi che non valgono niente o che sono buoni per i “baciperugina”. Ma sono stati sfornati per fame vera e per la fame di ricuperare il tempo che le hanno fatto passare rinchiusa, e lei se ne è fatta prendere la mano fino a non smettere più neanche nel mezzo di tutta la sua produzione ulteriore, dentro la quale sono messi insieme capolavori e testi che, con le dovute differenze, sembrano fare il paio con quella infinità di poeti della domenica che si premiano, dal Brennero a Lampedusa, ogni anno con testi il cui succo è sempre del tipo “Nasce il bambino e c’è la stella cometa!” oppure “E’ risorto Gesù. Allegria!”. Si può dire che la Merini non sia stata capace di discernere l’oro dal carbone e quindi si sia prodotta come “pantagruelpoetica”.
Ma, detto questo e chissà quanti improperi riceverò, di Alda Merini pochi hanno mai notato due libretti di prosa, editi da Il Melangolo di Genova, dove è, in prosa, la sua migliore poesia!