La dura vita di Cl sotto papa Francesco
di Marco Politi sul Fatto quotidiano di venerdi 23 agosto 2013
Nell’estate dello spappolamento istituzionale dell’Italia, il Meeting di Cl celebra lo stanco rituale della sua parata di Vip. Sempre dalla parte dei potenti, sempre applaudendo i signori del vapore, gli epigoni di don Giussani non si accorgono che il clima, nella Chiesa cattolica, è radicalmente cambiato e che il loro festival, tradizionalmente omogeneizzatore di interessi politici, economici e religiosi, si sta inesorabilmente allontanando dal binario, su cui papa Francesco sta collocando il cattolicesimo contemporaneo.
Lo stile di una Chiesa sobria, pulita, non invadente, che caratterizza il pontificato di Bergoglio, mal si adatta all’ideologia della “riconquista” cattolica cui si è sempre ispirato il movimento ciellino, mentre in parallelo si avvinghiava al berlusconismo rampante. Comunione e liberazione, così come l’abbiamo conosciuta per decenni, sta tramontando per incompatibilità ambientale con la svolta del dopo-Ratzinger e (sul piano politico) con l’ingloriosa fine del mito di Berlusconi, dai ciellini accarezzato e blandito per due decenni. Una platea che digerisce succube e senza proteste il paragone tra l’impudente e massiccia frode fiscale del Cavaliere e il processo a Gesù (copyright di Alfano) come può credersi in sintonia con il papa, che ha pubblicamente svergognato i traffici frontalieri – ben più ridotti – di un monsignor Scarano?
Un Meeting, che mette a disposizione lo stand della rivista ciellina Tempi per aizzare alla raccolta di firme contro la legge anti-omofobia, non ha nulla da spartire con un pontefice, che di fronte a un gay in cerca di Dio esclama: “Chi sono io per giudicare?”.
Persino sul Corriere della Sera, non certo animato da furori antireligiosi, Dario Di Vico ha posto giorni fa ai dirigenti ciellini il quesito scomodo sul futuro del movimento. L’Italia, ha scritto, ha bisogno di soggetti che promuovano il recupero di valori: “Di lobby, invece, ce ne sono già troppe”. Ma Cl finge di non capire e Julian Carron (il leader spagnolo che Giussani scelse come successore perché si era accorto che i candidati italiani erano troppo compromessi) non ha avuto finora il coraggio di aprire un confronto aperto e trasparente nel movimento sulle derive affaristiche e politicanti, che pure aveva iniziato a denunciare un anno fa. Luigi Amicone continua alla Tv – per difendere un berlusconismo in aggressiva decomposizione – ad agitare lo spettro di una magistratura italiana proterva contro la politica e la democrazia. Cosa di cui nessuno in Europa e in Occidente si è accorto. Il ministro ciellino Mario Mauro pasticcia con Togliatti e il dopoguerra, e si inventa amnistia e indulto generali per la pacificazione tombale e la salvezza del Cav. Roberto Formigoni, quello che si è fatto pagare le vacanze dai lobbisti e non ha mai portato la prova di averli rimborsati, ha potuto aggredire liberamente la stampa e annunciare che “il papa (Benedetto XVI) mi ha detto che prega ogni giorno per me”, senza che una sola volta dalle file di Cl si levasse nei suoi confronti un monito critico. Dove poi va detto che l’attuale esclusione dalla lista degli oratori di quest’anno, con la scusa che non è più governatore della Lombardia, è talmente patetica che Formigoni ha quasi il diritto di indignarsi.
Renato Farina, radiato dall’Ordine dei giornalisti perché collaboratore dei servizi segreti (condanna poi annullata dalla Cassazione non perché l’indegnità deontologica non fosse fondata, ma perché furbescamente Farina si era cancellato dalle liste dell’Ordine prima della sentenza dei suoi colleghi), ha continuato ad essere esibito al Meeting come maître à penser.
Quando si farà la storia dell’ultimo conclave, si scoprirà quanto enorme sia stato il danno che l’armata ciellina ha procurato alla candidatura del cardinale Scola, di cui – quale potesse essere la sua visione dei problemi ecclesiali – non si può dire che non avesse (e non abbia) una statura di rilievo anche come uomo di cultura e come interlocutore dell’Islam e delle religioni orientali.
Sono bastate nel marzo scorso poche delucidazioni di cardinali tedeschi e francesi (e italiani) su Comunione e liberazione e le cielline “mani in pasta” nell’Italia berlusconiana per caricare sul nome dell’arcivescovo di Milano una zavorra ineliminabile.
A differenza dell’Opus Dei, che si è ben inserito nel processo di riforma della Curia e delle sue strutture economiche avviato da papa Francesco, il movimento ciellino sta galleggiando alla deriva in uno spazio di nessuno. Una deriva che colpisce anche tanti aderenti, individualmente e sinceramente interessati al “fatto cristiano” e non al lobbismo politico-affaristico.
Stranamente le alte sfere cielline non hanno ascoltato la campana d’allarme, che aveva cominciato a suonare un anno fa. Quando Benedetto XVI – contrariamente alle manovre dei dirigenti del Meeting e del cardinale Bertone – rifiutò esplicitamente di venire a Rimini. Il postino, nella Storia, non suona mai due volte.
Diffuso anche da “PAGINE ON LINE” Rassegna stampa quotidiana per l’informazione, la partecipazione e l’alternativa, a cura di Alfredo Giusti