CALPESTARE L’OBLIO

Pubblicato il 11 aprile 2011 su Resoconti da Adam Vaccaro

CALPESTARE L’OBLIO
PROGETTO CULTURALE

Luci e ombre della presentazione del 5 aprile a Milano. Abbiamo certamente sofferto dell’assenza imprevista di Fabio Orecchini, in rappresentanza dei principali promotori e curatori dell’antologia.

Le presenze non sono state poche, circa 50 con la sala dello Spazio Tadini piena, quindi piuttosto bene, dato il clima “milanese”, non certo tra i più favorevoli.

Molte le letture di testi e alcuni interventi critici, dopo la breve mia prolusione, che segue, e la lettura sempre da parte mia del testo di Fabio, inviato per e-mail solo qualche ora prima, a causa degli impedimenti alla sua venuta a Milano.

Sono intervenuti, con i contributi critici che seguono, Ennio Abate e Tito Truglia. Il primo molto critico sul progetto e sull’antologia e il secondo più equilibrato.

Io ho riaffermato la mia posizione e dato spazio il più possibile alle letture dei testi poetici, che ovviamente hanno mostrato livelli e stili molto diversi, ma hanno suscitato, momenti anche molto intensi. C’è da dire, tuttavia, che il “partito delle letture”, cioè un’area di poeti e pubblico (giovani e meno giovani) con poco interesse alle analisi critiche, ha frenato sia il confronto con chi le proponeva, sia gli intenti migliori del progetto, dell’antologia e della serata: coniugare, cioè, fare poesia e pensiero critico rispetto al contesto sociale (nonché ai consueti narcisismi del divertiamoci a leggere e chi se ne frega di stare a pensare).

Hanno comunque letto loro testi e di altri, fuori e dentro l’antologia: Nadia Agustoni, Adele Desideri, Silvia Monti, Maria Carla Baroni, Roberto Bacchetta, Massimiliano Chiamenti, Tiziana Cera Rosco, Rosemary Porta, Lina Salvi, Annamaria De Pietro e Laura Cantelmo. Un momento particolare apprezzato dal pubblico è stato il coinvolgimento da parte di Adele Desideri del ragazzo autistico Francesco Papa, con la lettura di suoi testi.

Nell’insieme, a Milano (ma occorre dire che è il prevalente “clima” italiano) tendono, e non da oggi, a replicarsi schematismi chiusi, voglia di protagonismi e spinte disgreganti, brodo di coltura delle peggiori tendenze in atto, sulle quali questa iniziativa ha avuto il merito di spingere a riflettere. Il fatto è che quella che una volta era capitale morale dell’Italia, è oggi – B. o non B. – centro della morale del capitale.

A.V.

“Calpestare l’oblio” è un’antologia poetica che – grazie all’interesse suscitato – dall’8 gennaio 2010 è diventato movimento di testimonianza contro quello che i promotori hanno definito il “trentennio dell’interruzione culturale” e della “rimozione della coscienza critica”.

Il progetto, coordinato da tre giovani poeti, Davide Nota (rivista La Gru), Fabio Orecchini (rivista Argo e Beba Do Samba) e Valerio Cuccaroni (rivista Argo), ha prodotto finora 2 e-book e altrettante edizioni cartacee, molti incontri in varie città italiane, un paio di assemblee nazionali e una piattaforma programmatica, cui hanno finora aderito poeti, giornalisti, associazioni, sindacati, partiti, istituzioni.

Credo che iniziative come questa vadano sostenute perché, nel pantano economico, culturale, politico ed etico in cui siamo, è importante che persone di ogni ambito e genere diano testimonianza della crescente insofferenza verso le modalità di gestione dell’attuale governo e di chi ne è a capo, come verso i vuoti e le incapacità delle opposizioni, o i privilegi intollerabili di tutta la casta politica.

In questa situazione è bene che ognuno di noi si scuota e non deleghi ad altri la denuncia di uno stato di cose che se sul piano economico colpisce i giovani e chi ha già poco, su altri piani ci offende come esseri umani. Queste iniziative vengono da chi si occupa di poesia, che – se viene interpretata come cosa che riguarda la totalità della vita – è nemica dell’indifferenza e dell’irresponsabilità verso il contesto.

Giuliano Gramigna – tra i testimoni che potremmo citare – diceva che la vera poesia, tra le cose che può fare, può “fare la speranza”. Per me è sempre stata una delle sollecitazioni più potenti a scrivere versi: ritrovare energie e speranza di resistenza e persistenza umana. Affettività, pensiero critico e etica vi si fondono. E si può chiamarlo senso civile o come diavolo si vuole, ma credo in tale religione laica del fare nella società in cui vivo. Un fare che riguarda ogni attività e linguaggio, e tra questi anche quello della poesia. E benché sappiamo che questa può essere una provocazione per molti poeti e molta c.d. poesia odierna.

Ognuno darà il valore ai singoli testi, sulla base delle proprie sensibilità e concezioni di poesia. Ma, nel loro insieme, le poesie di Calpestare l’oblio testimoniano in primo luogo la volontà di essere linguaggio più presente nel corpo sociale, non per soddisfare narcisismi ma per dare il proprio contributo di cittadini alla ricostruzione di quelle energie e speranze di cui oggi abbiamo un estremo bisogno.

Adam Vaccaro

“Occorre pensare a strutture diverse, a rapporti continui

per un libero confronto su problemi concreti.”

A.Porta

“Calpestare l’oblio” è un verso di mutamento, un atto di coscienza, una presa di posizione netta, è un verso, quello del poeta Roversi, che segna la nascita di un movimento spontaneo di rivolta civile e culturale, che da oltre un anno organizza assemblee, incontri, mostre e letture in molte città italiane, ponendo l’attenzione sui temi della rimozione della storia e della coscienza critica (“l’italia è un paese malato di alzhaimer“, diceva Sanguineti, “cambiamo il nome della Festa di Liberazione in Festa delle libertà” rispondeva Berlusconi) da un lato, e della “questione culturale italiana” dall’altro, un trentennio, quest’ultimo, di interruzione e imbarbarimento, dominato da un’ideologia di separazione (tra ruoli sociali, ambiti, generi, individui) e “rappresentazione” Debordante, devastante nell’ottica di mutazione antropologica profetizzata da Pasolini.

Sullo sfondo di uno scenario politico statico e asfittico il movimento si è riunito recentemente in due affolatissime assemblee a Roma e Bologna, riuscendo nel tentativo prefissato di mettere in connessione i collettivi di studenti e ricercatori in lotta, i sindacati, i quotidiani di opposizione, le associazioni di base, i movimenti, i comitati cittadini e i poeti del collettivo Calpestare l’oblio giunti da ogni parte d’Italia, al fine di definire una serie di proposte comuni di lotta da presentare agli interlocoturi della politica (presenti ad esempio in sala a Roma i responsabili culturali di PD, PRC, Giovani Comunisti e SEL) e alla società civile più critica e attenta.

il movimento è riuscito, entrambe le volte, a coinvolgere oltre 150 persone in uno spazio comune, un luogo reale di ascolto e critica, dove conoscere le “lotte degli altri”, scambiarsi conoscenze, pratiche di lotta e sostegno; alcuni esempi: si è così discusso delle iniziative del Bartleby (centrosociale dove si è tenuto l’incontro bolognese) contro il tentativo di Casa Pound di aprire una sede a pochissimi metri disitanza, e della risposta, forte e decisa, della città di Bologna, delle richieste e delle proposte del “Comitato per la libertà, il diritto all’informazione e alla cultura” sul reintegro del Fus e l’estensione del Tax Shelter e del Tax credit a tutti i comparti della cultura, e ancora i precari della ricerca, della musica (Conservatorio), del teatro e dello spettacolo, giornalisti e piccoli editori, il mondo della cultura in rivolta che cerca definitivamente di unire le proprie forze per un obiettivo comune. Tra le richieste avanzate: unire le lotte di studenti, ricercatori, precari della scuola, operatori del mondo dello spettacolo, giornalisti, metalmeccanici, quella di istituire un osservatorio sulla questione culturale italiana, una piattaforma comunicativa (reale e on-line) di dialogo e critica, che raccolga ed unisca in maniera continuativa e produttiva le parti in questione. Proprio su questo argomento intendo spendere alcune parole in più:

per contribuire a coordinare le moltissime analisi e proposte di soluzioni alla drammatica “questione culturale italiana” avanzate dai soggetti più attivi della società, noi promotori di “Calpestare l’oblio”, in accordo con tutti le realtà che hanno già aderito al progetto, intendiamo dar vita a un Osservatorio, ovvero una piattaforma di dialogo, scambio e approfondimento critico (sull’idea del Politecnico di Vittorini) che sia da un lato raccoglitore di tutte le istanze del mondo della cultura (saggi, articoli, approfondimenti critici, ricerche universitarie, poesie, ecc.) e dall’altro sviluppi e produca il discorso, lo scontro, il dibattito e il dialogo culturale, interfacciandosi anche con il mondo della politica attenta a questi temi, mettendo finalmente in stretta correlazione:

la “nuova” cultura: i creatori di opere (poeti, scrittori,critici, autori, filosofi, artisti, antropologi, politologi, scienziati, ecc.) e il fermento mappato da riviste, e-zine, blog e siti, ma anche ass.culturali e centri sociali

l’università: i collettivi, i ricercatori, i giovani docenti che fanno ricerca;

il giornalismo culturale: in questo caso l’osservatorio servirà soprattutto da polo informativo per i giornalisti che si occupano di cultura e da spazio pubblico di diffusione e fruizione per tutti i lettori delle migliori “opere” suggerite dall’Osservatorio.

Questa Rete avrà un centro di coordinamento virtuale, sul web, e uno fisico, due volte l’anno, in cui si farà il punto sulla “questione culturale italiana”, presentando uno studio sull’anno precedente .

All’interno del sito ogni realtà che ha aderito e aderirà al progetto “Calpestare l’oblio” avrà uno apposito spazio, in cui un proprio coordinatore potrà segnalare le migliori analisi e opere prodotte o promosse dalla propria struttura, così, ad esempio, riviste ed e-zine accreditate potranno segnalare i post con i saggi e le opere migliori. Ogni mese verrà proposto un focus, al quale si chiederà ai coordinatori di attenersi nella scelta delle informazioni da segnalare.

All’interno del sito troverà spazio un book-shop online, collegato con una libreria-deposito, a cui piccoli editori e autori potranno spedire quei saggi e quelle opere segnalate nell’Osservatorio, che i lettori potranno quindi ordinare, superando gli ostacoli legati alla insufficiente distribuzione degli editori indipendenti.

Quest’Osservatorio sarà anche un mezzo per fare “pressioni” sui media e sui canali distributivi affinché diano spazio non solo alle produzioni e alle iniziative istituzionali o consacrate dal mercato, ma anche e soprattutto a quelle prodotte dal nuovo tessuto culturale nazionale e internazionale, il quale ha i suoi centri nevralgici nella miriade di blog, riviste, associazioni, media indipendenti e nei centri artistici e culturali autogestiti che animano le nostre città e le nostre vite.

Per concludere una brevissima nota personale…

Non si tratta di resistere, la “Resistenza” che dall’illustrissimo nano e dalla sua cricca veniva messa in discussione, non ha nulla da temere, è nostra è di tutti, è nella possibilità a noi concessa, figli e figli dei figli. Sparare si doveva, si poteva. Qui, ora, si tratta di agitare, scuotere, mordere, urlare nelle orecchie.

SI POTREBBE DIRE, SCRIVERE A MANO ARMATA.

Quali ordigni attivare, quali ponti far saltare? Quelli li conosciamo già, sempre gli stessi, da trent’anni oramai, gli anni del trickster [1] al potere. E ancora, vi chiedo, quali ponti ricostruire, che sentieri da tracciare?

Una rivolta, oggi, è veramente civile quando nasce ai margini della cultura dominante nel substrato della precarietà sociale ed esistenziale.

Il movimento oggi ha occhi di Tiresia, è cieco, non può vedere perchè ha già visto troppo; eppure si tratta proprio di tornare, in particolar modo noi poeti, alla preveggenza cieca e spietata, allo sguardo severo. La poesia oggi ha un compito importantissimo, in cotrapposizione alla prosa e alle altre arti massificate da mercanti e papponi, deve sabotare i dispositivi, deprogrammare i linguaggi, desacralizzare il potere.

Deve occupare spazio, dilatarsi nel tempo digitale. Ma soprattutto deve unire voci, sguardi, persone.

Il “pensiero poetico” deve rientrare nelle case, anche attraverso i new-media, ma deve stare anche nelle piazze come nelle osterie, nelle riviste militanti come nei quotidiani muti e annichilenti, sui lungomari degli impasticcati, nei cantieri dismessi, nelle fabbriche e nei campi, nei teatri, nelle biblioteche di periferia, negli ospedali. E molti di noi, tanti che conosco io personalmente e che conoscete anche voi, si stanno muovendo in questa direzione. I venti di rivolta non si placheranno con la’arrivo del sole e della bella stagione, anzi si faranno più forti e impetuosi e noi non possiamo stare a guardare; sembra incredibile, ma dobbiamo continuare a lottare anche per ciò che ci sembrava dato, stabilito, i beni comuni, i diritti fondamentali, le libertà individuali, ed è forse proprio da queste lotte e in queste lotte che le varie anime dei movimenti riusciranno a trovare finalmente un accordo di base perseguendo obiettivi comuni.

E non mi si venga più a dire “ma tanto tutto resta uguale“, “e poi?“, “la solita antologia“, “perchè non mi avete invitato?”..ma se me lo dicevi prima che c’era pure..” “………..” perchè e’ “anche” questo che si intendeva scardinare con Calpestare l’oblio, l’individualismo becero, l’autoreferenzialità del mercatino dell’arte, l’inerzia intellettuale e culturale, l’immobilità sociale e civile, la mediocrità incivile del poeta silenzioso.

Intervento di Ennio Abate durante la presentazione di «Calpestare l’oblio» allo SPAZIO TADINI  di Milano (5 aprile 2011)

Gentili autori e organizzatori di CALPESTARE L’OBLIO,

sono del ’41. Da vecchio, dunque, scrittore quasi clandestino e militante in proprio fuori da qualsiasi partito, ragionando sulla base della storia del Novecento e di quella italiana del dopoguerra (in particolare degli anni Settanta), mi permetto di porvi due domande:

– quale oblio ha da essere oggi calpestato?

– lo si può calpestare solo in poesia, soltanto con la poesia?

Vi anticipo, in attesa di vostre risposte, le mie:

– in questo Paese l’oblio non è caduto soltanto o soprattutto sulla Resistenza e la Costituzione, come sostenete nell’introduzione del libro e in vari testi antologizzati, ma sulla lezione profonda di Marx e sulla storia del comunismo novecentesco – terribile sì, ma non cancellabile o surrogabile dall’apologia, quasi sempre in piatto “americanese”, della democrazia;

– ad obliare non sono stati solo i poeti o gli attuali  leader politici e intellettuali viventi (della sinistra in primis), ma anche quella parte della popolazione che una volta poteva ancora a buon diritto essere chiamata ‘popolo’ o ‘di sinistra’;

– se l’oblio è tanto diffuso e generale, forse non si può semplicemente “calpestarlo”, ma si dovrà capirne tutti insieme (e non solo i poeti) le ragioni e intervenire – se possibile – sulle cause che l’hanno prodotto.

Pur riconoscendovi il merito – non trascurabile in un periodo di coma della cultura – di aver raccolto il grido di dolore  di tanti poeti (da Roversi ai giovani esordienti) e costruito un libro – dico io – di “quasi poesia civile”, non vi nascondo la mia disapprovazione per l’operazione di mero assemblaggio. Non posso qui argomentare a fondo il mio severo giudizio. Mi limito ad alcuni accenni:

1. Riunendo (non so se una tantum o in modo più continuativo) voci tanto disparate attorno a un discorso di vago antiberlusconismo, indicando un ostacolo indefinito, che voi chiamate «ideologia della separazione, anche culturale», agitando l’ideale di una mai esistita «officina culturale italiana, fatta di continuo scambio tra libero giornalismo, libero movimento intellettuale e artistico, libero mondo dello studio, della ricerca, dell’università», siete stati e sarete coccolati e applauditi. Oggi essere vagamente antiberlusconiani, plurali o pluralistici, anti-ideologici è quasi d’obbligo. Questi i login giusti per accedere ai giornali “di sinistra”. Questo l’unico dissenso che i sacerdoti della nostra disfatta Cultura tollerano e, dunque, concedono.

2. Come non vedere, però, nella vostra scelta una rinuncia alla ricerca ben più ardua di una vera, non ornamentale e tutta da ridefinire “poesia civile”?

Io la vedo. Altri – anziani quanto o più di me – tacciono in nome del “largo ai giovani”. Eppure sanno che la poesia (o una possibile “poesia civile”) non si fonda su ragioni contingenti né può limitarsi a dire un NO, del resto più moralistico che politico,  unicamente al personaggio-mostro-maschera, che in Italia porta il nome del signor B.

3. I veri nemici o i falsi amici della poesia (o di una possibile “poesia civile”) non sono mai solo i “nemici della cultura”, non sono mai solo televisivi e solo “mostri”. Gestiscono affabili e seri, da destra e da sinistra, al livello locale e globale, un sistema che opprime milioni di persone. Li individuereste, se nel vostro lessico quotidiano (e, perché no, nei vostri ragionamenti e poi nei vostri versi) agissero parole-concetti come ‘capitale’, ‘capitalismo’, ‘rapporti sociali capitalistici’, non a caso epurati anche dal lessico dell’attuale sinistra che vi ha sponsorizzati.

4. Ignorando o rinunciando invece agli interrogativi più ardui, le vostre poesie oscillano questa l’impressione ricevuta leggendole – e oscilleranno tra intimismo apolitico dell’io e retorica indignazione mutuata dall’antifascismo di nonni e padri resistenziali, purtroppo diventato mito inerte e scheletro nell’armadio della cultura italiana, come già denunciò nel lontano 1965 Franco Fortini in «Verifica dei poteri».

5. Con tale mito in testa è fin troppo  agevole – come  si può vedere – scorgere reincarnazioni di fascismo e di Hitler, dove c’è forse tutt’altro. Un “tutt’altro” su cui dovremmo interrogarci seriamente, senza paraocchi. E che invece gli USA, l’Occidente e l’attuale cultura italiana non vogliono vedere né permetterci di vedere, preferendo seppellirlo in anticipo sotto le bombe “umanitarie” della “democrazia”.

Con tale mito in testa e l’avallo dei grandi nomi della cultura e della politica – ieri di Norberto Bobbio, oggi  addirittura del presidente della repubblica Napolitano – non si ripara  lo sfascio dell’Italia, ma lo si prolunga, condannandola a partecipare – in subordine e paradossalmente in nome di una Costituzione che ripudia la guerra – a guerre non chiamate più con questo nome: dalla prima del Golfo del 1991, a quella per spartirsi la Jugoslavia e ora  all’ultima in corso in Libia.

6. Date tali premesse – esplicite o implicite – nessuno dei vostri versi, nessun bello slogan (come quello che dà il titolo alla vostra antologia), nessun «osservatorio sulla questione culturale, scolastica, artistica, giornalistica», pur da voi auspicato, vi permetterà di osservare l’orrore del presente – questo, sì, ideologizzato, spettacolarizzato e obliato, ancor più di quello del passato. Per responsabilità – ripeto – non solo delle élite culturali e politiche, ma dei milioni di io/noi atomizzati e spappolati tutte le sere davanti ai televisori; e che alcuni – non si sa più se in buonafede – pretendono ancora di chiamare “popolo”, “società civile” o “citoyens”.

Concludo. Vi ho detto qual è per me l’oblio (di oggi e di ieri) da combattere, per riempire di nuovi significati e non di belle parole il vuoto lasciato dal Conflitto Sconfitto. Quelli che hanno tuttora qualche suo ricordo, ripartano almeno da alcune delle «nostre verità», come le chiamò Fortini. Gli altri si cerchino altri padri,  diversi da quelli democratici. Recuperino o imparino ad ascoltare voci chiaramente anticapitaliste e anticolonialiste. Rileggano o leggano per la prima volta, ad es., l’intervento di un B. Brecht al Congresso internazionale degli scrittori del 1935. Distanziandosi da un antifascismo anche allora miope sulle questioni essenziali e preoccupato soltanto della “difesa della cultura”, il poeta tedesco scriveva: «Si abbia pietà della cultura ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando gli uomini sono salvi. […] Compagni, pensiamo alla radice del male!».

Ecco, in questi giorni che stanno sconvolgendo il Maghreb e la Libia, l’invito è a interrogarsi, fosse pure balbettando, sulla «radice del male». Tentiamo di nominare ciò che oggi manca: a noi poeti, a quelli che vivono in Italia e a quanti – schiuma di storie a noi sconosciute – arrivano fino a Lampedusa.

Ennio Abate

Redazione di POLISCRITTURE (www.poliscritture.it )

Intervento a cura di Tito Truglia a nome della redazione della rivista Farepoesia per la presentazione milanese del progetto “Calpestare l’oblio”.

CLO ha avuto diversi meriti: 1) ha dato evidenza alla problematica della “separazione”; 2) ha posto il problema degli spazi dove agire per attivare un critica culturale e politica; 3) ha posto il problema della necessità della messa in rete delle opposizioni. Ma soprattutto ha il merito di aver avvicinato due categorie che da troppo tempo viaggiano separatamente: la poesia e la politica. Beninteso tutte cose non nuove e che singolarmente in molti hanno praticato anche negli anni bui del berlusconismo. Ma il merito di aver rotto il silenzio su questi temi è innegabile.

È quasi una fortuna (in questo contesto) non dover fare snervanti disquisizioni sullo specifico o sugli statuti disciplinari. Accertato che ogni disciplina ha, e deve avere, una propria dotazione strumentale e un proprio percorso di approfondimento (lo specifico), è, credo, un altro assioma da non dimostrare la necessità di collegamento tra arte e vita, tra arte e politica ecc.

La proposta concreta che viene da CLO è la struttura dell’osservatorio. Bene, anche su questo punto.

Il campo su cui applicare le attività dell’osservatorio è però vastissimo, comprende necessariamente ambiti diversi e deve riassumere diversi punti di vista, senza i quali un discorso serio sulla cultura rischierebbe di diventare astratto o semplice gioco spettacolare. È chiaro che parlare di cultura significa parlare anche di economia, di politica, di potere, eccetera eccetera.

Ad ogni modo è sicuramente un punto di partenza positivo quello di riunire i vari soggetti e tentare di recuperare la loro singolare capacità di analisi. Positivo è anche l’obiettivo di costituire una mappa, che, seppur incompleta e parziale, possa dare qualche elemento più fondato alla critica e all’azione rispetto all’esistente.

Qualsiasi movimento di opposizione deve fondarsi sui dati della realtà e quindi in questo senso e giusto partire da una osservazione il più approfondita possibile.

Ma detto questo dobbiamo sottolineare che qualsiasi ricerca analitica deve avere uno sbocco in obiettivi concreti di produzione artistica e di azione culturale/politica.

Quindi il maggior lavoro direi che deve spostarsi sul piano dell’azione, o se volete della produzione di pensiero critico, di produzione creativa, di produzione di comportamenti e di realizzazione di opposizione concreta. Sottolineo in questo senso l’importanza della progettazione e della finalizzazione.

Suggerimenti?

Anzitutto dovremmo lavorare maggiormente sulla connessione delle persone, dei soggetti, dei gruppi. Non dobbiamo fare l’errore di dare “la relazione” come un dato di fatto. Apparentemente quando riusciamo a ritrovarci sembriamo tutti affini e concordi, ma in realtà la “separazione” agisce internamente e basta poco ad essere catapultati nella dimensione del non dialogo, dell’estraneità, della separazione. Forse non riusciremo più a riconoscere noi stessi come “classe”, e forse neanche come comunità di artisti, ad ogni modo dovremmo cercare di ridurre al minimo la nostra particolare interpretazione della realtà che realizza molto spesso il punto di vista isolato. Voglio dire che dovremmo reimparare a riscoprire le nostre similitudini. L’ipersviluppo, l’automazione, comportano un restringimento qualitativo del nostro io. Strumentalmente abbiamo tutto per condurre una buona vita, comoda, tutta a portata di click. Ma la nostra qualità è viziata dall’interno. In questo contesto siamo come animali rinchiusi in uno zoo.

Insomma dovremmo lavorare sui nostri reali bisogni, sulle nostre reali necessità e dunque sulla nozione di qualità della vita e perché no (?), anche sul tema della felicità. In genere a questa ipotesi si obietta che la falsità e l’illusione sono dati strutturali della realtà. Ma anche se fosse vero, comunque si tratta di scegliere in libertà e con ragionevole coscienza quale illusione sia adatta in una determinata contingenza.

Insomma…

Dovremmo smettere di vivere in uno stato di “dispersione” più o meno permanente e poi far finta di essere sani (come cantava il buon Gaber) in una qualche apparente comunità nel solito locale alternativo o nella solita piazza estiva o partecipando all’ultimo Slam Poetry, o magari… prendendo parte all’ennesima assemblea di “Calpestare l’oblio”…

Tutto estemporaneo, momentaneo, confuso. Uno stile connesso alla dispersione e alla separazione. In questo senso bisogna lavorare sul riconoscimento e sulla reciprocità. In questo senso penso sia ancora attuale il messaggio dell’arte sociale lanciato da Joseph Beuys negli anni Settanta. In questo senso è necessario affermare che occorre ripartire dalla realtà, ma è necessario riscoprire dei comportamenti di reale empatia, di pathos umano. E’ necessario porre la finalizzazione di un lavoro di analisi e di ricostruzione che deve condurre verso una proposta sul piano sociale.

Suggerimenti? Si, bisogna attivare comportamenti che abbiano una ampiezza, una densità forte. Attivare relazioni. Attivare spazi realmente sociali. In questo senso la poesia può avere un ruolo enorme. Abbiamo in mano uno strumento antieconomico per eccellenza, riusciremo ad usarlo in maniera efficace?

Parliamoci chiaro, il virus dello spettacolo si insinua anche nella parola. E cosa dire del “protagonismo” malattia infantile del fare poetico???

Ma la parola poetica ha una dimensione temporale e spaziale che permette di aprire squarci di umanità.

Detto questo, e concludo, vorrei sottolineare la necessità che abbiamo di attivare concretamente delle situazioni che permettano una migliore produzione artistica, una significativa produzione di pensiero critico, una ricerca reale sui comportamenti alternativi alla separazione in atto.

Per scendere ancora di più nello specifico. La modalità assembleare itinerante mi pare positiva. Altrettanto importante l’attivazione di nuclei locali che progettino incontri sia sul piano della riflessione che nella presentazione di produzioni artistiche. Ma tutto questo bisogna realizzarlo a partire da una progettazione a lunga scadenza e da una azione e da una presenza quasi quotidiana.

Nella speranza che il trentennio dell’edonismo sfrenato abbia una degna conclusione con le meravigliose carnevalate di Silvio B., si riprenda l’attivismo politico inteso nel suo senso migliore, non da urlante tifoseria e neanche da pezza d’appoggio ad uso e consumo dei partiti del centrosinistra. Dobbiamo riscoprire un attivismo, radicale e feroce, nuovo e non ideologico, pacifico ma determinato che metta insieme pensiero critico, produzione artistica e azione direttamente politica. Che abbia una proposta organica, di società, o per lo meno di riforma concreta, comportamentale, delle linee di potere che agiscono oggi, in questa realtà. Non ci stancheremo di dire che probabilmente non ci sarà soluzione ai problemi posti sul tappeto, ma di certo, anche per noi, deve valere il principio metodologico dell’organizzazione. “I proletari non hanno che un’arma: l’organizzazione!” (Lenin).


[1] Nella mitologia, nella religione e negli studi etnografici il trickster è un essere spirituale, uomo, donna o animale antropomorfo, lussurioso e vorace, abile nell’imbroglio e caratterizzato da una condotta amorale, al di fuori delle regole convenzionali.

In forma umana viene spesso raffigurato come un maschio, che a volte può anche assumere caratteristiche femminili, è spesso dotato di abnormi parti anatomiche, come narici, orecchie, bocca, ano, e in alcuni casi è affetto da nanismo. Un Trickster dei nativi americani era Iktomi, il ragno. Lui voleva dividere le tribù Sioux, spingere i membri a isolarsi in modo da renderli indifesi. E per insinuare questa separazione, si infiltra nelle tribù sotto sembianze diverse: può apparire come un comico (heyoke) e puntare quindi sulla simpatia; oppure può mostrarsi come belle donne, e persaudere con altre armi. Ma soprattutto Iktomi ha la possibilità di pilotare i sogni e le visioni, di fabbricare inganni e illusioni.

Nel folklore il personaggio appare come uno scaltro mentitore che con poco lungimiranti sotterfugi riesce ad uscire sano e salvo anche dalle situazioni più ingarbugliate (delle quali spesso è artefice); le sue furbonerie sono un contorto lasciapassare per la riuscita di piccoli imbrogli, sia commerciali che sessuali, che spesso sfociano nella comicità.

Il trickster, spesso un ladro o un folle, è colui che mette in moto cambiamenti imprevedibili nelle storie. Non crea, ma co-crea, dando alla creazione aspetti imprevedibili, o, in alternativa, distrugge il mondo conosciuto o l’ordine costituito, reandone uno differente, nella maggior parte dei casi “a sua immagine e somiglianza”.

Commenti

Seguono alcune delle lettere più significative ricevute tra il 6 e 7 aprile, in risposta alla mia richiesta di commenti alla serata.

Lettera di Laura Cantelmo

Caro Adam,

la serata non è stata molto felice, ma forse neppure così negativa. Due idee abbozzate, ma che si potrebbero sviluppare. In primo luogo Ennio Abate ormai si è dato questo ruolo di provocatore, per épater les bourgeois, sconvolgere cioè coloro che si limitano a snocciolare litanie contro il ripugnante B., ma poi non fanno altro. Oppure quel che fanno si limita a promuovere iniziative di per sé ineccepibili, ma che polverizzano il dibattito e gli interventi, con l’aggravante di un senso di primato sopra gli altri che indebolisce oggettivamente  l’iniziativa. Da ciò nessuno di noi, credo, si salva, ritenendo di aver sempre qualcosa di più da dire rispetto all’altro.

Serve tutto ciò? Ormai ne dubito seriamente, visto che l’avversario è inammovibile per una serie di ragioni che tutti conosciamo, che si compra letteralmente le persone, i luoghi. E le persone, dietro lauta ricompensa si vendono. La vergogna è massima, ma non basta più indignarsi, non basta più inventarsi nuove iniziative.

La crisi dei partiti ha portato a questa frantumazione, eppure penso che si debba trovare il modo di far convergere il tutto. A questo servivano i partiti, avendo il settore giovani, quello della cultura, quello della riflessione e della formazione politica e quello dell’azione che ne conseguiva.

Servono i partiti? Come proporlo? Dopo la caduta del muro di Berlino, liberi tutti!  Ogni singolo pensa quel che vuole evitando accuratamente il confronto. Tutti provano un assurdo senso di libertà nel quale in realtà restano invischiati e fanno come il cane che si morde la coda.

E poi, qualcuno “si è rotto i c…”!

I giovani amano provocare e sbeffeggiare gli anziani, come si sa. La soluzione è parsa a Rosemary quella di mettersi tutti a declamare, non ho capito bene l’intervento. Voglio credere che tendesse in qualche modo a sollevare il clima pesante, ma ormai l’atmosfera era quella che era, data la diffidenza palpabile da cui si era circondati in quella sala di studenti ridacchianti nati nel berlusconismo, di insegnanti spiritualiste o berluscone anch’esse che non avevano capito il discorso della poesia civile e provocavano prendendoti/prendendoci per comunisti che chiudono la bocca  al libero… pensiero.

La strada è lunga e irta di spine. A soffrire restiamo noi, che per nostra enorme fortuna abbiamo vissuto ben altro. Loro, tutto sommato, stanno bene nel letame. Tutto ciò è da approfondire, anche per la nostra stessa salute mentale.

Con sincera amicizia.

Laura

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Lettera di Adele Desideri

Caro Adam,

ti ringrazio per avere accolto le poesie di Francesco Papa, che era – come si è visto chiaramente – felicissimo e commosso. Gli interventi critici mi sono sembrati riduttivi e troppo lunghi.

Tutto l’andamento, invece, delle letture poetiche è stato ora piacevole, ora interessante, ora stimolante.

Si sarebbe dovuto quindi semplificare i modi e i toni. Comunque, nel complesso, sono stata bene, e ti ringrazio nuovamente.

Un’ultima cosa: forse meno discorsi politici, e più riferimenti etici ed estetici avrebbero un effetto di maggiore coinvolgimento!

Un forte abbraccio

Adele

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Carteggio con Tito Truglia

Ciao Adam,

si, tra poco ti mando l’intervento che avevo preparato, ma non ho letto ieri per non ingolfare l’incontro con un’altra lettura. Ho preferito dire due cose a braccio. Mi chiedi le mie osservazioni sulla serata? ecco in amicizia, questi sono appunti fatti col senno di poi…

L’incontro purtroppo non è andato molto bene. Anzitutto era difficile che questo tema potesse subito attecchire a Milano. Bisogna fare un lavoro lungo e a lunga scadenza. Poi purtroppo sono mancati quelli di CLO e allora tu hai dovuto tappare i buchi come meglio hai potuto. In realtà anche con i contributi che alla fine si sono verificati si poteva strutturare meglio l’andamento. In particolare l’intervento di Rosemary è stato quasi risolutivo (positivamente). Ecco quell’intervento bisognava prepararlo e bisognava giocarselo prima. Sì, tu avevi impostato l’incontro su Fabio Orecchini e mancando lui ti sei dovuto appoggiare sul testo letto.

Inoltre prima degli interventi critici (di Ennio, e delle due mie battute) forse bisognava mettere qualcos’altro per aprire meglio il varco sulla proposta di CLO.

Ad ogni modo bisogna in queste occasioni bloccare subito le fughe tangenziali del pubblico. Quando ci sono 2-3 interventi un po’ sopra le righe qualsiasi conferenza prende una piega distorta. Ed è meglio tappare le intemperanze alla prima occasione. Altra cosa: forse non sei stato chiaro all’inizio sullo scopo dell’incontro e sul suo svolgimento.

Bisogna essere chiari sulla scansione: un momento in cui si discute (e se qualcuno non vuole ascoltare può andarsi a fumare una sigaretta…) e un altro con le letture dove si ascoltano le poesie.

L’intervento di Adele e del ragazzo autistico è stato buono ma averlo fatto a metà forse ha un po’ spezzato. Magari avresti potuto annunciarlo per la parte conclusiva creando anche una certa attesa…Una possibile soluzione per il futuro può essere quella di coinvolgere più persone direttamente nell’organizzazione.

Così se qualche elemento viene a mancare magari si può subito sostituire o comunque si può trovare una soluzione accattivante. Ad ogni modo si è incominciato a seminare.

A presto. Saluti

Tito

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Caro Tito,

ho ricevuto anche il tuo intervento scritto e lo accorpo. Grazie di tutto e, che dire?, sono vere alcune cose che dici (l’assenza imprevista di Fabio, cui ho dovuto far fronte in qualche modo. Immaginando gli accenni critici di Abate ho pensato di metterlo prima possibile in modo che altri (come te e speravo qualche altro) potessero riequilibrare. Invece l’atmosfera è rimasta appesantita e alcuni testi poetici di quelli in elenco non hanno aiutato.

Il ragazzo autistico è stata in questo una parentesi positiva.

L’intervento di Rosemary, vecchia amica, non era mica vietato ma doveva raccordarsi meglio con chi conduceva e aveva presente gli obiettivi della serata. Per non rischiare di favorire solo quel protagonismo che anche tu denunci.

A Milano (che conosco bene e dove provo a seminare da tanto), sono accentuate certe modalità replicate anche da molti contrari al ciarpame del Berlusconismo: facile l’alzarsi di questo e quell’altro con l’aria supponente di dire, adesso vi dico io cos’è poesia, come si fanno le cose ecc, come se tutti gli altri fossero solo impediti. Anche a Pavia, per es., quando avete presentato L’impoetico mafioso, molti interventi erano interminabili e poco interessanti, ma se qualcuno avesse implicitamente imputato a te la cosa era solo da mandare a quel paese. Non so se convieni

Grazie comunque

Adam

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Sono d’accordo Adam. Comunque non ti devi preoccupare più di tanto. Si guardano gli eventi e si aggiusta il tiro le prossime volte.

Cari saluti

Tito

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Carteggio con Ennio Abate

Caro Adam,

sinteticamente… un po’ deluso e…”calpestato”!

Più in dettaglio:

1. l’imprevista assenza del giovane curatore dell’antologia ha fatto venir meno l’interlocutore principale;
2. il pubblico, soprattutto quello  fatto di giovani, mi è parso per niente interessato alla questione da discutere (e credo che una buona parte era venuta solo per far piacere al giovane poeta “muto”);

3. si è creata una contrapposizione tra riflessione sull’operazione politico-culturale e lettura dei testi che poteva essere evitata (vista la “foga” di quanti/e erano lì solo o soprattutto per “leggere” o recitare si poteva dar loro la precedenza e poi affrontare il discorso critico; del resto io, senza saper nulla di questo “partito della lettura” ho tentato di dirti che forse era meglio per me intervenire più in avanti);
4. il confronto poteva avvenire seriamente – credo – tra gli “interessati a discutere” e forse andava preparato  in anticipo tramite uno scambio di mail o altro.

Detto questo, credo che comunque dei segnali  ce li siamo mandati e si tratterebbe di riconoscersi come  quelli che  mirano a un discorso serio su poesia e suoi risvolti sociali e politici   e vedere di  costruire altre iniziative fuori da ogni spirito di parrocchia. Ad es. io avrei visto con piacere un’iniziativa coordinata almeno da tre- quattro sigle: Milanocosa, Poliscritture, Farepoesia, Il segnale e forse anche qualcun altro su un discorso più in comune e meditato. Altrimenti il gioco si ripete, con quelli che pensano solo a tirare l’acqua al loro mulino.

Ciao
Ennio

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Caro Ennio,

umori e valutazioni simili ai miei. E’ già qualcosa, come si dice, mal comune….

Certo, gli imprevisti hanno condizionato. Indubbiamente, in primo luogo l’assenza di Fabio. L’ospitalità richiesta qualche ora prima del giovane autistico, secondo me non molto. Anzi, date le caratteristiche poi rivelatesi di molti del pubblico, persino una finestra laterale positiva.

E’ che la serata ha visto emergere conferme delle caratteristiche della gran parte di coloro che si occupano di poesia (simili del resto alla generalità) che tendono, a Milano certamente, a replicare schematismi chiusi, voglia di protagonismi e spinte disgreganti, brodo di coltura delle peggiori tendenze in atto, sulle quali questa iniziativa ha almeno il merito di spingere a riflettere. E questo è il motivo di fondo che mi ha spinto a sostenerla (e mi ha fatto desiderare una taratura diversa del tuo intervento).

Data l’esperienza alle spalle, non solo ma soprattutto a Milano, dovremmo persino non meravigliarci. Ma c’è poco da fare, ci si aspetta sempre qualcosa di positivo. Anche a novant’anni e anche nelle fasi in cui si continua a scendere come questa.

Il fatto è che quella che una volta era capitale morale dell’Italia è oggi – B. o non B. – centro della morale del capitale.

Dette queste cosine, ti dico perché avevo dato quell’impostazione che, a posteriori anch’io avrei rettificato in qualcosa. Ho anticipato gli interventi critici, sia perché speravo che anche il tuo fosse (come dicevo) meno tranciante, sia perché insieme alla mia prolusione volevo far trasmettere il senso del contenitore della proposta, il luogo dove collocare le letture dei testi.

Sforzo e ipotesi in parte saltati con, appunto, “rottura di coglioni” sia per il (solito) “partito delle letture” scalpitante e sordo nel brodo suddetto, sia per noi in un altro modo.

Che fare, partendo da questi limiti?

Si può ragionare sulla tua ipotesi, oltre a quelli che dici, potremmo sentire Lucini…qualche altro/a, ma pochi, in genere tutti prontissimi a correre e a saltare su qualunque cosa da poter utilizzare “per sé” (non certo col senso maxiano).

Proviamo, altrimenti che facciamo?, anche se il “pessimismo della ragione” ha oggi troppe maledette ragioni.

Ciao Adam

Lettera di Roberto Bacchetta

Caro Adam,

anche a me ha fatto piacere rivederti, grazie pertanto una volta ancora per l’invito. La presentazione mi è parsa ben riuscita, anche molto spontanea e sentita. Ho apprezzato il taglio conflittuale (nel senso delle interpretazioni), che hai voluto conferirle: sono così emersi i problemi più attuali anche del fare poetico di fronte a un presente che respinge ogni riflessione. Per quel che mi riguarda. oltre la lettera di Orecchini, hanno generato un filo conduttore l’intervento di Abate e la lettura del giovane poeta da parte dei suoi insegnanti. Entrambi hanno creato, per contrapposizione, lo scenario su cui si dovrebbe confrontare anche Calpestare l’oblio. Mi hanno convinto meno le critiche sull'”operazione” dell’antologia, che ho trovato un po’ ovvie; per quanto mi riguarda ho dato il testo per necessità, senza pretendere di essere incluso e così sono finito tra i primi trenta dell’e-book. Ti dico, è stata una vera necessità in questa nostra contemporaneità ottusa che troppo astutamente manipola e neutralizza i linguaggi, togliendo ogni spazio di rinnovamento della realtà. Nella presentazione milanese ho risentito tutti i problemi che mi sono venuti incontro nello scrivere quel testo: rifuggire dalla nostalgia senza staccarsi dalla storia, ma insieme mettendo in gioco un’intera esistenza. Mi è parso che anche il pubblico abbia sentito questa tensione generale, rispondendo attivamente. Veramente bella la lettura finale di testi scelti a caso da lettori scelti a caso: credo che Calpestare l’oblio sia proprio questo nella sua verità. La tua conduzione mi è parsa efficace, forse resa difficile dalla mancata presenza fisica dei curatori. Forse solo all’inizio sarebbero state necessarie alcune parole più circostanziate di presentazione dell’antologia per chi non l’aveva mai avuta in mano.

Spero che queste riflessioni sparse siano utili.

A presto, grazie ancora. Con amicizia. Roberto Bacchetta

One comment

  1. Ennio Abate ha detto:

    @ Laura Cantelmo
    che scrive:”In primo luogo Ennio Abate ormai si è dato questo ruolo di provocatore, per épater les bourgeois, sconvolgere cioè coloro che si limitano a snocciolare litanie contro il ripugnante B., ma poi non fanno altro.”

    No, come faccio a épater les bourgeois, se non li ho mai frequentati e se non ci sono più?
    Volevo solo dar la sveglia ai “compagni” giovani e “calpestare l’oblio” di quelli vecchi come me ancora in circolazione.

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