FURIE E FUGHE
In
KOLEKTIVNE NSEAE di Ivan Pozzoni
La malattia del «disinteresse» del lettore e l’ontologia estetica moderna della ipersoggettivizzazione
La terapia come eredità non-ontologica del Kolektivne NSEAE: la neoN-avanguardia
Adam Vaccaro
È un orizzonte di furie e fughe, diverse e innervate nella complessità contemporanea, che emerge da questo libro di Ivan Pozzoni, in un quadro di analisi che le designa e lucida entrambe a cera, cantate e accarezzate con una spazzola d’acciaio. Che scorre dalla groppa al deretano sul pelame arruffato di una gatta in calore. Un animale dall’anima multipla che miagola, ringhia e si veste da tigre, che forse non ti sbranerà, ma ti copre gli occhi di una patina, rosa o nera, su cui pianta unghie che li rendono ciechi, liberi di urlare, impotenti ma tendenti ad ammantarsi della pretesa di sapere, come il cieco che guida un cieco, della parabola poi soggetto del quadro di Pieter Bruegel.
Tiresia è stato ucciso e Diogene è senza lampada. E non c’è salvezza, né con me, né contro di me, pare avvertano i versi di Ivan Pozzoni. Ma se l’io/noi è/siamo col sedere per terra, è il momento dell’ora di ricreazione e del gioco o dell’ira e di tornare sul banco a scrivere a lettere cubitali sulla lavagna o su pezzetti di carta salvati dal tritatutto, i bisogni che cercano altro e oltre gli stracci ermetici e paleontologici, oltre le parole incazzate, i deliri egotici, fino alle molliche raccolte sotto un tavolo di lordi lardosi, che guidano la trottola del comando di radere a zero ogni residuo di senso, in ogni caso, in ogni casa? L’identità non esiste, al pari della società, dixit l’idiota bicefalo, impotente e onnipotente! Dopo di che, l’eccidio e la distruzione della polis, sono le matrici matrigne delle egolalie masturbatorie in tutti i campi, compresa la poesia.
Intanto il Dottor Stranamore fabbrica e dispensa milioni di bombe, predica pace e ride a crepapelle, idiota criminale che pensa di salvarsi su Marte, volando sulle sue Aquile libere nell’iperuranio sopra il cielo di piombo. Mentre Colombe libere e ammassate sotto tonnellate di putridume sospeso, sono ammazzate come mosche cieche, inferocite e rintontite da un subisso di immagini, estasi drogate e parole di niente, creatrici di rostri, che diventano mostri di una fame infinita di libertà dal destino di una progenie antropofaga.
Poi c’è l’altra fuga, nell’ovatta della culla di un iperurarnio di parole innamorate di sé, di quella malattia che ho chiamato iperdeterminazione del significante, connivente della distruzione del senso. Poi c’è l’illusione di contrapporvisi con l’iperdeterminazione del significato, convinta di poter spiegare tutto, uccidendo la complessità di un dire che vuole dare nome alla complessità del mondo.
La prima malattia è diventata pandemia lungo il crinale parnassiano di significati rarefatti, persi nella nebbia di dire tutto e niente, che riducono il pubblico – come diceva Berardinelli, citato anche da Pozzoni – a rasentare lo zero, agli altri scriventi versi, in un circuito grottesco, inutile e autoreferenziale. In cui sguazzano felici, fino a teorizzare che l’arte, la poesia, devono essere inutili. Ma utilissime a vati desideranti e immaginari, affollati e ininfluenti, e perciò inesistenti nel corpo di una società già negata e disgregata, che urla affamata di voci che sognino e incarnino il bisogno di ricrearla.
Prova a rispondere Pozzoni a questo panorama di molecole gassose che si dibattono tra le pareti stagne di un bagno di stitici:
“LA TERAPIA COME EREDITÀ NON-ONTOLOGICA DEL KOLEKTIVNE NSEAE: LA NEON-AVANGUARDIA Il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica) ha un’eredità non-ontologica derivata dalle neo-avanguardie millennials, lontanissima dalla ontologia estetica moderna. La NeoN-Avanguardia, da me fondata, cede – come ogni altra avanguardia – all’«ἀντίφράσις», all’«ironia» (Jacques Derrida), al «citazionismo», allo «straniamento» (Viktor Borisovič Šklovskij), alla «carnevalizzazione» (Michail Bachtin), al «mistilinguismo», al «dédoublement» e «vertigine che sfocia nella follia» (Paul De Man), alla grammatica generativa (Noam Chomsky), alla «sovversione/eversione» (anarco-individualismo stirneriano e della Post-Left Anarchy), all’«invettiva» (triade Villon/Brassens/De André) e all’estremo «impegno sociale» movimentista a tutela dei deboli e dei diseredati, con opposizione allo star system dei dominanti e dell’arte.” [p.13]
È dunque un libro-manifesto di guerra subita e di pace sognata, piena di lacrime asciutte e irrisioni clownesche, anche se non placano alcunché. Ma è già utile porre il problema, anche se è un chiodo ribattuto, come sopra accennato, da ormai parecchi decenni. Sia da Berardinelli, sia in modi diversi da costole lucide e critiche da certi estremismi della Neoavanguardia, quali, ad esempio, Antonio Porta. Pozzoni si pone lungo la stessa direttrice di ricerca:
“Preso atto della conclusione della krisis e della transizione dall’evo moderno al nuovo evo tardomoderno, ho riconosciuto l’urgenza del discorso sul cambiamento di «paradigma» storico ed estetico, dovuto al venire meno del senso teoretico dell’ontologia estetica moderna, e ammessa l’anacronisticità della NeoN-Avanguardia, movimento di krisis, ho deciso di fondare uno nuovo movimento non ontologico, il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica), aperto a tutti i mille movimentisti neon-avanguardisti e a nuove menti in grado di captare il cambiamento di «paradigma» sociale ed estetico.” [p.13]
È un direttrice di ricerca, che congiunge e non separa, l’estetica dall’orizzonte interdisciplinare e sociale, che ho sviluppato a mio modo lungo il percorso da me elaborato e costruito, in poesia e critica, entro la metodologia dell’Adiacenza, parlando di Terza Riva – vedi la Introduzione alla XXV Antologia poetica di Liminamentis, curata da Pozzoni. Ma scalfire con una biro incuranti corazze, evoca pretese donchisciottesche.
E tuttavia, che fare? Seguire beatamente e beotamente il flusso, o farne materia di nodo del presente nella carne e nel sogno di cantarla – tra furie interne ed esterne che ti cambiano le carte in tavola giorno per giorno, tra radici antichissime e sbocchi postmoderni, di canoni ed esperienze estetiche che hanno prodotto una crescente divaricazione tra produttori e fruitori, fino a una poesia senza pubblico?
“HYPERVERSI Domandandoci, con candore, cosa ci sia accaduto di tanto strano/ da farci rimanere, entrambi, a sacrificar fondi d’intonaco,/ chiamandoci in ufficio, a mezzanotte d’un venerdì sera,/ ci ritroviamo, all’erta, irti d’aculei erti/ sulla bocca del cannone e dello stomaco./ Perversi, siamo, attenti a non cadere nella rete di astuti bracconieri,/ intenti a non finire in rete senza desiderio d’esser cannonieri/ di razza, marchiati da 2 m, miseria e malattia,/ muovendoci, a destra, manca alternativa, come centenari,/ come farfalle cieche incontro a riarsi lucernari.// Più che sadici, siamo masochisti…” [p.18]
Siamo in un canestro di orrori, pensieri ed emozioni di una umanità che ciononostante si inerpica sulla montagna di disumanità asservita alle dinamiche dominanti, per cercare pagliuzze e pepite di una luce difficile. Che in questo libro traccia e segue, a corredo di versi diluviali, una dotta e visionaria cornice, una scia al pari di quella seguita dai Re Magi, cercando segni di stelle e disegni di campate di senso fondate sul corpo collettivo, contro ogni esaltazione di un io creatore assoluto. Ne deriva una sottesa visione di materialismo dialettico e biologico, che mentre ridiscute criticamente capisaldi del pensiero occidentale, che vanno dalla Grecia antica a Dante a Cartesio, implica intuizioni folgoranti dai Clinamen di Epicuro, alle Relazioni gioiose di Spinoza, alla concezione di poesia totale di Vico, contro ogni pensiero unico, laico o religioso, ancor più se di un Dio che sceglie i prediletti, premia i fedeli e uccide chi si azzarda a non dargli fede. Ne deriva un arco luminoso, anche per me fondante, che abbraccia utopie di liberazione, possibili solo in orizzonte di totalità – a cominciare dalla consustanzialità adiacente dei due principi, maschile e femminile, della dinamica vitale:
“Jana è andata a Praga, e non so se tornerà,/ inebriandomi ancora col sapore del suo sorriso/ con la contagiosità del suo profumo/, con l’entusiasmo della sua pelle/…e io sarò lì, con lei.” [p.26]
“Quando ti svegli nella notte e ti avvicini, fragorosa, al batter dei miei tasti/ chissà se è me che cerchi, chissà se è me che trovi/…nell’homo sapiens, la stessa consapevolezza…della televisione,/ mass-media, esiste chi vive o vive chi esiste auto-identificandosi dentro a un video” [p.27]
“mi tramortisco col rumore ombroso delle onde/ che cantano dei miei vent’anni, d’amori e attese blande.// Cerco un Caronte astioso e ansante,/ che meni la mia barca sui fiumi d’Occidente/ rodato dosatore d’ansiolitici…/ scorbutico maleducato, rude bifronte/… con remi, barba stanca,/ obolo di scorta che difenda all’arma bianca/…/ l’insulsa immaturità delle mie mani.” [p.19]
“Stacca una banda, staccane un’altra,/ modulo continuo da continua violenza/…/ d’essere modulato da un Dio in vacanza./ d’essere assediati da una moralità d’assenza,/ sentendoci brocchi da corsa, destinati alla mattanza.” [p.20]
“Sei arrivata dalle oscure terre del freddo Est,/ riarse dai roghi luminosi di Jan Hus e di Jan Palach/…/ senza riuscire a scambiare i tuoi occhi coi miei occhi,/ senza riuscire a scioglierti sotto i colpi del sapore corrosivo del mio alito/ (la mia lingua taglia, erode, brucia).// Alle anime gemelle non occorrono due anime,/ si scontrano come corpi nella concretezza della terra/ sulle bollette da pagare, sui conti in rosso, su vite in bilico” [p.21]
aSì, in bilico, è lo stato perenne della vita. Ma serve capire i caratteri, storicamente e collettivamente vissuti, per cercare superamenti del problema “sociologico e intellettuale” (come dice Linguaglossa), dalle specificità letterarie (italiche), opportunamente aggiunge Pozzoni. Ma poi, non basta indicare la malattia, se nella Patria delle Lettere trova dottori che la peggiorano (vedi l’ideologia del testo-medusa decantato da certa Neoavanguardia). Difficile è certo, ancor più, senza risalire alle radici, sia sociologiche che epistemologiche, come anche l’autore sottolinea.
6 febbraio 2025
Adam Vaccaro