“Dei diritti e dei doveri”
di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano di sabato 26 agosto 2017
e da Pagine On Line del 27 agosto
Secondo certe cronache e commenti su giornali, tv e social, pare che l’Italia sia il nuovo Terzo Reich che, nella sua capitale ma non solo, perseguita i migranti e addirittura i rifugiati per il colore della loro pelle. Secondo altre, si direbbe che l’altroieri a Roma non sia successo niente di strano: un normale sgombero che ristabilisce, pur tardivamente, la legalità violata. La verità non è nessuna delle due e non sta neppure “nel mezzo” (come dicono i paraculi). Ma – come sempre più spesso avviene in questa società isterica e impazzita – procede a zigzag: tipico andamento di un Paese che ha perso il senso non solo dell’orientamento, ma anche dello Stato. E, le rare volte in cui lo Stato appare, non lo riconosce. Partiamo dai fatti
Nel 2013 circa 500 migranti etiopi, eritrei e sudanesi, al seguito di una ventina di romani dei centri sociali e dei “movimenti per il diritto alla casa”, occupano con la forza un palazzo di 11 piani e 32 mila metri quadri su piazza Indipendenza, a due passi dalla stazione Termini, di proprietà di un fondo pensioni di ex bancari del San Paolo di Torino e di altre aziende. E mettono in fuga con le spicce i vigilanti che lo sorvegliano, proprio alla vigilia della sua trasformazione in centro direzione e poi in grande albergo. La giunta Marino e l’allora prefetto Pecoraro non fanno nulla, come racconta Franco Bechis su Libero. Del resto gli abusivi a Roma occupano più di 100 case e alle “autorità” va bene così, per non ritrovarsi per strada altre migliaia di senzatetto incazzati neri.
Il 1° dicembre 2015, inizio del Giubileo, la polizia entra nello stabile per censire gli occupanti e ne conta 556: molti sono richiedenti asilo, altri hanno già lo status di rifugiati, altri ancora sono clandestini senza documenti (condotti in Questura fra urli e strepiti per l’identificazione). Uscita la polizia, entrano i Vigili del fuoco per i controlli di sicurezza, ma gli occupanti minacciosi li costringono alla fuga dopo aver ispezionato un quarto dello stabile.
Quanto basta perché i pompieri spediscano un’allarmante relazione al prefetto Gabrielli, al commissario Tronca e alla Questura: “Reale ed elevato rischio di incendio-esplosione” dello stabile per la “mancanza di estintori” e “la presenza di decine di bombole di gas gpl e numerose stufe elettriche utilizzate per il riscaldamento degli uffici adibiti ad abitazione”, dunque è “necessario procedere con lo sgombero dell’edificio e la bonifica dello stesso dalle sostanze infiammabili presenti”. Che fanno Tronca, Gabrielli & C.? Niente. Intanto i pensionati del San Paolo vedono volatilizzarsi il loro investimento.
Il loro fondo pensioni perde 5 milioni di mancata rendita e ne spende 2 per le bollette di acqua e luce (che devono continuare a pagare perché le tremebonde “autorità” non osano neppure staccare le utenze). Sul tetto, in compenso, sorgono almeno una decina di antenne paraboliche per apparecchi tv (chissà chi li paga, con relativi abbonamenti). Nel marzo 2016 la polizia torna nel palazzo, per arrestare cinque scafisti eritrei che, travestiti da profughi, partecipano festosi all’occupazione. E in seguito scattano altri arresti per traffico di droga e sfruttamento della prostituzione (pare sia una specialità dell’ottavo piano). Intanto il Tribunale accoglie la denuncia dei proprietari dell’immobile e ne ordina lo sgombero. Solo che, dopo quasi quattro anni di occupazione, nessuno sa più chi siano gli occupanti.
E ogni tentativo dei servizi sociali di censirli sortisce il solito effetto: minacce, violenze, rappresentanti dello Stato in fuga. In presenza dell’ordinanza del giudice, la Prefettura è costretta finalmente ad agire e sei giorni fa sgombera il palazzo con circa 400 occupanti, che finalmente possono essere censiti: quasi tutti stranieri; in gran parte (ma non tutti) con lo status di rifugiato; non tutti privi di alternative abitative; un centinaio di fascia “debole” (minori, donne e anziani), che infatti – diversamente dagli altri, portati fuori – vengono lasciati nel palazzo, al primo piano, in attesa di una sistemazione. Che non è facile trovare: a Roma – specie dopo Mafia Capitale, o come diavolo si chiama ora – l’accoglienza era in mano al malaffare (Salvatore Buzzi: “Il traffico di droga rende meno dei migranti”); e il Comune è senza soldi né strutture (ma, quando la sindaca Raggi osò farlo notare, le fu risposto che era una razzista e che nella Capitale i migranti sono ancora pochi).
In ogni caso i proprietari dell’immobile liberato offrono agli ex occupanti villette a schiera nel Reatino di loro proprietà in comodato gratuito per sei mesi. E il Campidoglio, tra i soliti ritardi e rimpalli con la Regione altrettanto lenta e pasticciona, sistema 50 soggetti fragili (su un centinaio) in case-famiglia, centri di assistenza, strutture della rete Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati). Ma almeno altri 70, aizzati dai movimenti per la casa e da un prete eritreo, rifiutano quelle soluzioni e invocano una “sistemazione unitaria”. Cioè pretendono di decidere dove andare e con chi. Intanto, dei 300 occupanti espulsi dallo stabile, la metà si allontana e si disperde per la città, mentre gli altri restano in piazza Indipendenza, accampandosi nei giardini insieme ai membri dei “comitati”. E lanciando sassi e bottiglie contro i netturbini dell’Ama che tentano di pulire la piazza. Di qui il secondo sgombero dell’altroieri, accompagnato da lanci di sassi, bombole piene di gas e bottiglie incendiarie dal primo piano sulle forze dell’ordine, che rispondono con cariche e getti d’acqua dagli idranti. Un funzionario sbrocca: “Devono sparire, se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Ma per fortuna sono solo parole (ovviamente da punire): niente violenze gratuite della Polizia.
Morale (anche un po’ banale) a zigzag. 1) Non si occupano le case altrui e chi le occupa va sgomberato, specie in presenza di un’ordinanza del Tribunale, che solo in una Repubblica delle banane può restare inevasa. 2) Posto che il sopruso è l’occupazione e non lo sgombero, la polizia deve usare metodi democratici (“spezziamogli le braccia” non si dice e nemmeno si pensa). Ma, se qualcuno resiste, l’uso della forza non è fascismo: è legalità. 3) Lo status di rifugiato non dà alcun diritto a chi lo ottiene di violare le leggi del Paese che l’ha accolto. 4) Il Paese che l’ha accolto deve trattarlo come tutti gli altri cittadini: né peggio né meglio. Stessi diritti, stessi doveri. 5) Casa e lavoro sono un diritto, ma anche un miraggio, e non solo per i rifugiati, ma anche per milioni di italiani. Salvo i soggetti deboli, che rientrano giustamente nell’assistenza pubblica, i rifugiati autosufficienti devono cercarsi un lavoro e, per la casa, mettersi in fila nelle graduatorie pubbliche insieme agli italiani, senza che nessuno sorpassi nessuno.
6) Se il Comune trova una sistemazione a un rifugiato, il rifugiato ci va; o, se rifiuta, perde il diritto di protestare perché non gli trovano una sistemazione. 7) I veri colpevoli di quanto è accaduto sono le “autorità” che hanno permesso l’occupazione abusiva di oltre 100 edifici a Roma, incoraggiando altri a fare altrettanto e fingendo di non vedere le condizioni disumane di bambini, donne e anziani. Perciò la piantino di nascondersi dietro gli scudi della polizia e il parafulmine della Raggi-causa-di-tutti-i-mali. 8) Roma ha 4 milioni di abitanti e gli occupanti abusivi (italiani e stranieri) sono poche migliaia: è tanto difficile mettere attorno un tavolo Comune, Regione e Governo per stilare e soprattutto finanziare un piano di sgomberi e ricollocamenti (almeno per le fasce deboli), sfruttando i tanti edifici inutilizzati (case sfitte, ex caserme, ex ospedali ecc.) e varando un serio piano nazionale di edilizia popolare?