Te la trovi davanti vista da dietro, un mistero nel mistero.
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E nel silenzio dell’antico ospedale del Castello Sforzesco di Milano, che ospitava i soldati malati al tempo della dominazione spagnola, pare una grande schiena che s’abbassa soccorrevole sul letto
d’un malato.
Il pavimento a travi di legno attutisce il passo, lo sguardo s’alza al soffitto affrescato, sbiancati sono gli antichi colori, divenuti polvere di un’ invisibile garza ora calata a proteggere il capolavoro di Michelangelo.
Il marmo di questo corpo è ruvido, solcato da colpi di scalpello che paiono leggere rughe, scrittura che una sapiente mano ha disegnato, come un bimbo che ruba a un pane di burro.
Cammino piano, come a seguire lo sguardo e la mano di Michelangelo che aggira la sua preda, conscio d’essere lui preda di un pensiero che lo aveva sempre accompagnato, ma che ora scendeva su di lui come preghiera. Una litania lenta è l’invecchiare, una processione di tanti te che lasciano l’ombra, perdendo l’energia che aveva tenuto la Vita, riprendendosi ora il soffio di quella Vita.
Ricordava la pienezza della carne e come qui non avesse più senso. Il primo pensiero è sempre da predatore, azzannare il marmo che implora la sua forma. Ma ora, così vicino all’ultima partenza è qualcos’altro che lo chiama. Non c’è più nulla dell’antica foga, dell’urlo della notte silenziosa, ora il mare è quieto e ogni pesce ha trovato la sua conchiglia. Rimane nella mano la primigenia canzone, quella che chiamava alla vocazione, che è diventata Vita e si sta facendo eterna.
Lascia quel braccio già quasi finito e troppo umano, lo stacca dal grande blocco senza eliminarlo, non serve, modella invece un nuovo corpo che sta lasciando la sua croce terrena e non c’è separazione in questa vita-Madre, una carne sola che cade e che pur sorregge, come una musica intera.
I visi sono memoria di sguardi, hanno lontananze e conoscenze infinite; conoscono l’amore perchè hanno la responsabilità del dolore, che s’acquieta solo nel sapere che la vita è così, inconsapevole senza di te.
Anche la Bellezza è un’idea che muta, e come la carne si trasforma tendendo quotidianamente all’essenziale; così si dovrebbe arrivare, fonte prosciugata che ritrova la sorgente.
Chi sono queste due figure? Da quali sogni sgorgano gli dei che ci inventiamo?
Quali paure ancora nascondono le caverne, i temporali, le ferocità animali?
Una madre e un figlio, un uomo e una donna, un maschile e un femminile, chi soccorre chi?
Forse siamo tutti forme non-finite ( in-finite), innumerevoli varianti di un umano, che potrebbe amarsi e amare se si riconoscesse per quello che è.
Forse è questo che voleva lasciarci l’Artista: la sua chiamata, la vocazione all’Umano.
patrizia gioia davanti alla Pietà Rondanini di Michelangelo