Tra el lusch e’l brusch.di Adele Desideri

Pubblicato il 12 maggio 2008 su Scrittura e Letture da Maurizio Baldini

Tra el lusch e’l brusch

Francesco Piscitello Edizioni Nuove Scritture, Abbiategrasso (Mi), 2007, pag. 47, euro 7

“Io son solo poeta di silenzi.//” (“mì son domà poètta de silenzi.//”, pag. 15), scrive Francesco Piscitello in questa sua nuova raccolta di poesie. E da poeta sa accostarsi al non detto con il giusto tatto. Nell’incavo della coscienza crepuscolare, tra il lusco e il brusco, mentre il giorno muore ed il suo sguardo visionario abbandona la razionalità per immergersi nel dormiveglia, egli transita nel crocevia creativo, magico, della rêverie. Allude, musica il senso, fa tacere la volgarità della parola quotidiana e permette alla metafora, di volare alto. Il termine “lusco” è un termine arcaico “risalente a Boccaccio, (… e indica) una <persona che, per difetto della vista, è costretta a guardare stringendo gli occhi e aggrottando le sopracciglia>. È proprio quello che si fa di sera, quando, lontani (…) dalle luci cittadine, le cose non si vedono bene, ma in fondo si presagiscono, perché c’è attesa, presentimento, immaginazione. (… Il poeta tedesco) Novalis attribuisce al passaggio dal giorno alla notte il colore azzurro, il colore del crepuscolo e dell’alba, il colore della transizione, ma nello stesso tempo quello della fusione e della compresenza. Da notare che dämmerung, in tedesco, significa entrambe le cose, cioè alba e crepuscolo. In più, è di genere femminile”[1]. Ed il femminile in questo libro appare, non a caso, come una lanterna, un faro, una luce nell’oscurità. Ma il femminile è anche, in molte tradizioni religiose, parola. (Per esempio, nell’induismo la Dea Sarasvati è anche nominata Dea Vac, ovvero Dea della Parola. A lei sono dedicati diversi inni vedici. Essa è il simbolo del Verbo divino, è protettrice della sapienza e della musica. La sua potenza dà ordine alle cose.) Nell’identità di parola-femminino-presentimento Piscitello

, quindi, crea la sua poesia. Poesia di riflessione. Poesia di meditazione. Poesia di sospensione.

L’autore scrive in dialetto milanese. Utilizza una lingua morbida, musicale, intrisa di malinconia. Adopera un linguaggio semplice, quello della gente comune. Recupera i valori della tradizione orale, vicina alla cultura antica e primordiale del popolo. Si pone così in quel filone di poesia dialettale che oggi, nel nostro paese, tenta di recuperare, attraverso l’uso della loquela dei padri, l’origine e l’identità culturali delle diverse regioni. Un’operazione degna di stima e di rispetto. Specialmente se si considera quanto ormai il gergo utilizzato dai media – un italiano scompaginato e appiattito nelle sfumature semantiche e stilistiche, infarcito di inglesismi più o meno corretti – omologa non solo la parola, ma addirittura il pensiero di molti. Come un marinaio esperto, dopo la buriana, attraversa l’oceano guardando con fermezza l’orizzonte e sa che questo è solo una linea immaginaria e che il bel tempo non durerà a lungo, così il poeta si pone nei confronti del suo futuro: le illusioni sono pericolose, gli auspici imperscrutabili. Gli anni passano inesorabilmente ed il tempo a disposizione è limitato. Il viaggio, inoltre, non prevede il ritorno: ”Al mio funerale/ verrà poca gente/ e non so quante lacrime ci saranno:/ però un gran vento/ porterà un diluvio/ di violette, margherite e papaveri.//” (“Adree al mè funeral/ vegnarà pòca gent/ e soo nò quanti làcrim ghe sarann:/ però on gran vent/ el portarà on diluvi/ de violètt, margaritt e popolann.//”, (pag. 23). Allora, quando il “… cielo triste …/” (“… ciel soturno …/”, pag 10) si scurisce per la pioggia che “… par quasi malata/” (“…la par quasi malada/”, pag. 10), l’anima del poeta è “… inzuppata.//” (“… masarada.//”, pag. 10), il suo “… cuore.//” (“… coeur.//”, pag. 11) è pieno di “… lividi…/” (“… morèi …/”, pag. 11).

E la sua memoria – lucida ed ironica al tempo stesso o, altrove, accorata e mesta – si fa parola. Così la poesia diviene una melodia, una ballata nostalgica. Il milanese, d’altronde, ben si presta ad esprimere la mestizia del poeta, il senso di fragilità che egli avverte. La fragilità di un uomo che sa ancora amare, sa vibrare di desiderio per un’altra creatura. È esposto, rischia. E, nel rischio, a volte gli pare di vivere “nell’acquitrino dell’anima distratta.//” (“in del pantan de l’ànima svagada.//”, pag. 25). Allora scrive: “… quando ha scelto/ il mio corpo,/ l’anima ha sbagliato.//” (“… quand l’ha cattaa foeura/ el mè còrp,/ l’ànima l’ha sbagliaa.//”, pag. 40).

Ecco perché il poeta della memoria, Piscitello, dedica, per contrasto, il libro ad un bambino del Madagascar, Germain, simbolo dell’infanzia tradita, vessata, maltrattata. La fanciullezza, infatti, è l’età in cui la vita è ancora tutta da scoprire. È l’età in cui il campo della possibilità è più vasto di quello del realtà. È l’età in cui i ricordi sono pochi e le speranze ancora molte, anche quando si è già sofferto tantissimo.

Le poesie di Piscitello sono icone delicate ed eleganti. Sono semplici ed armoniose. Raccontano il senso della vita, l’amore, il dolore. Il poeta ha uno sguardo distaccato, paziente, sarcastico e saggio nei confronti della sofferenza. La conosce bene e ne scrive, tuttavia non se ne lascia sommergere. Anche se a volte egli appare quasi cinico. Tristemente cinico. Coscientemente cinico. Teneramente cinico: “Venite avanti, donne,/ coraggio, venga signora,/ che forse mi è avanzato ancora qualcosa/ in fondo al cuore!/ …/ … come/ al supermercato/ si prende tre e si paga solo due./ Però fate in fretta, donne, su, svelta, signora,/ che manca poco all’ora/ di disfare la baracca e chiudere.//” (“Vegnì innanz, dònn,/ coragg, la vègna, sciora,/ che fòrsi m’è vanzaa ancamò on quaicòss/ in fond al coeur!/…/… compagn/ che in del supermercaa,/ se toeu su trii e se paga domà duu./ Però fì in prèssa, dònn, su svèlta, sciora,/ che manca pòcch a l’ora/ de disfà la baracca e sarà su.//”, pag. 39). La sua voce è comunque sempre nitida, senza sbavature. Le immagini paiono disegnate al tratto. Realizzate con una matita dalla punta sottile, che, sulla pagina bianca, crea forme esatte, compiute, danzanti.

“Ma adesso che è tornato ancora il freddo/ a me è venuta una gran malinconia:/ sono marciti i fiori che erano solo boccioli/ come poveri bambini morti nella culla.//” (“Ma adèss che al frècc l’è tornaa indree ancamò/ a mì m’è vegnuu adòss on gran magon:/ gh’è marscii i fior ch’eren domà botton/ compagn de pòer ninitt mòrt in la cuna.//”, pag. 34). “Magone”, “malinconia”, derivano da “mago” (magus in latino, màgos in greco). Il mago crea inquietudine attorno a sé perché altera il filo della razionalità, sovverte le regole, scompagina il senso comune, crea stupore e toglie certezze. Tra el lusch e’l brusch è un libro che teorizza il turbamento come esperienza essenziale della vita. Come accadimento necessario all’amore. Come quel quid che dà senso all’esistenza.

Adele Desideri

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Note


[1]Lorella Zauli, Tra il lusco e il brusco, Breve viaggio semantico attorno al crepuscolo, www.istruzionefc.it/uopsa/art_visualizza.asp?ID=122

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