ROCCO PATERNOSTRO, Sette visioni

Pubblicato il 26 ottobre 2011 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

ROCCO PATERNOSTRO, Sette visioni, Roma, Lithos, 2008

Rocco Paternostro è uno studioso attento e partecipe della letteratura italiana non solo del Novecento, ma anche di altri secoli. Appartiene a quella schiera di filologi e di critici che non trascurano nulla e partono sempre dai testi per giungere a conclusioni storiografiche di grande rilevanza. Per intenderci, alla schiera di professori dello spessore di Mario Scotti, al quale il libro in questione è dedicato.

Nel 1989 Rocco aveva pubblicato Monologo per Euridice mostrando un particolare interesse per il mondo dei miti, per quelle antiche favole che sempre tornano a incendiare la fantasia dei poeti. Egli aveva saputo dare al testo quel sapore passionale che è il sintomo di una maniera insolita di entrare nei personaggi o nelle figure e renderli attuali senza tuttavia togliere nessun alone dal loro capo.

Con Sette visioni compie un’operazione ardua ed estremamente difficile partendo dall’Apocalisse. Aldo Mastropasqua, nella bella e illuminante Prefazione ci accompagna in questo nuovo viaggio di Rocco che però non è facile seguire. Una marea di riferimenti entra in gioco e scompiglia le ragioni prime dei ruoli assegnati da sempre a libri e miti e la prima impressione è di disorientamento. Troppe cose si incontrano e si scontrano per confrontarsi e per dire parole nuove sul senso di se stesse e di ciò che avverrà nel mondo. Ma se si tiene conto che si tratta di “visioni”, allora diventa facile seguire l’andirivieni delle citazioni, delle assonanze, dei rinvii. Così la materia incandescente trova il suo solco e va avanti con necessità espressiva di alto livello. Infatti a Rocco non è permesso abbassare il tono, ridurre l’aulicità del dettato, perché diversamente il tutto scadrebbe in una banale narrazione di eventi. Invece qui gli eventi affiorano e scompaiono e subito sono spinti oltre dal tripudio del senso che non invalida le coordinate ma le amplia e le fa diventare ansia del vivere e del disperdersi, apoteosi di segni intoccabili del Dio dei popoli.

Il poeta è molto bravo nel cogliere le reminiscenze del passato e farne un blocco granitico di essenze nuove, dipanando il tutto in un sussurrare di voci che si accavallano e si richiamano per entrare e uscire dal significato del vivere e del morire. In questa direzione mi pare che l’Apocalisse si mostra in una sua terrestrità finora inedita e che Rocco Paternostro arricchisce di nuovi stilemi non solo di carattere stilistico ma soprattutto di carattere spirituale ed estetico.

Si tratta di poesia colta, anzi coltissima, che ovviamente non si può capire e godere se non si entra nei parametri culturali da cui il poeta prende le mosse fino a tentare le corde emozionali del pensiero. E ciò lo ascrive in quella scia di poeti che non seppero e non vollero rinunciare a una poesia intrisa di filosofia e di cultura. Penso per esempio a Dante Alighieri,a Tommaso Campanella, a Giacomo Leopardi, a Mario Luzi.

Dante Maffìa

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