Annamaria Ferramosca, Luoghi sospesi, Premio Città di Roma 2021, puntoacapo Editrice 2023
Nota di lettura di Margherita Parrelli
Luoghi sospesi di Annamaria Ferramosca è un flusso di coscienza, non ha un inizio né una fine e a indicarlo non è solo l’assenza di maiuscole, o le domande bambine che lo aprono e quella che lo chiude e ne svela l’anelito che lo percorre e ne è ragione: “forse è nel sentire il senso?”.
A svelarne la sua natura di flusso di coscienza, che si mostra e si disperde, è il senso di tempo unitamente molecolare e magmatico che lo attraversa e quello di spazio definito solo dall’essere dietro il vetro (“bambina/ isola d’occhi indagatrice (…)/ per ore a guardare/ di là dal vetro/ fuori dalla finestra”, p.9) o fuori il vetro (“fuori dalla finestra/ dove si mostra il mondo/ guardo (…)/ e riconosco e imparo/ il duro limite della parola”, p.45).
Separata o unita, nell’introspezione o nell’esposizione al mondo, Annamaria apprende che stare oltre il vetro non comporta alcuno svelamento, ma piuttosto l’incontro-scontro con il limite (“oh sapevo eccome lo sapevo/ fin da bambina/ che sarebbe finita così/ che la parentesi vissuta/ – o mai vissuta – si sarebbe chiusa/ con un arcano flop” p. 90) e che ciò che certo è unicamente l’impossibilità del ritorno allo stato precedente l’entrata nel modo, al momento prima della cacciata dal paradiso, alla gioia dell’inconsapevolezza, poiché una volta intrapresa la strada della conoscenza ha inizio anche la strada dell’estraneamento: “matta voglia di rompere questi vetri (…)/ farmi estranea a me stessa (…)/ lo so poi sarà impossibile/ ritornare nella stanza” (p.36).
E infatti sopraggiunge il senso di solitudine che la riporta alla sensazione di partenza, lo stare dietro il vetro: “pioggia sui vetri/ navigo/ mari di solitudine” (p.81) e alla conclusione: “fuori dalla finestra/ piovono segni gli stessi che incontravo/ lungo l’infanzia tremando/ e imparavo/ nomi come terra confini altrove/ sentivo d’essere anch’io sconfitta/ altissima assettata di luce/ avevo ho ancora/ ali di cera” (p.91).
Con ali fragili e precarie di cera, pronte a sciogliersi appena ci si avvicini al sole, alla domanda che tutto muove: “innanzitutto conoscere il perché/ del viaggio di sola andata“ (p.86), Annamaria pone, come detto, alla fine del suo luogo sospeso la domanda sul senso senza alcuna inibizione e non la pone più da bambina, ma da adulta e vi dà una risposta che accantona ogni dubbio, per risuonare in tutta la sua limpidezza: il senso è nel sentire, il sentire prossimità, bellezza (“un fiume di latte corre nella mia notte/ intiepidisce intorno l’aria e preme/ le gemme a fiorire all’alba/ i mandorli saranno come neve” come risuona a pagina19 ma non solo), appartenenza alla natura (“terra mia circolare (…)/ magnifica sfera votata all’attrazione” come detta a pagina 37), amore, scioglimento dell’essere nell’orizzonte, in “tutto quell’oro che lampeggia” (p.95).
Anche i versi di Annamaria sono sull’orizzonte che lampeggia.
Margherita Parrelli
un libro che ho amato e sentito di voler scrivere.
Una densa e originale lettura del mio poemetto in monologo interrogate. Molte tra le risposte provengono da profonde sensibilità, come questa di Margherita Parrelli che qui ancora ringrazio. Grata anche a Milanocosa per la bella accoglienza.
Annamaria Ferramosca
Ho letto con piacere il libro di Annamaria. Un dono come pochi.
I “luoghi sospesi”, come lei li chiama, mi si ripresentano come quelli che conosciamo della nostra esistenza, anche essa sospesa in un continuo ritrovarsi e perdersi nel conosciuto quanto nello sconosciuto.
(…)
terra assopita al canto di nenie circolari
salda si leva al sole
perfettamente orientale
a confermare
che attende a ogni alba l’ultima nave
Questi versi mi sembrano quanto mai ricchi di speranza. Grazie Annamaria