Recensione di Sebastiano Aglieco, del 5 gennaio 2023 sulla Rivista Compitu Re Vivi
https://miolive.wordpress.com/2023/01/05/ultimi-libri-adam-vaccaro/
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Una lettura co-autorale, capace di riprendere ogni lembo del poièin per farne ulteriore sviluppo della sua interminabile passione di “attimi di infinito” e “canoscenza” totalizzante. Tensione di un istrice intollerante a ogni delimitazione, al pari della vita.
A.V.
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Una recensione che è, soprattutto, un intervento.
Sebastiano Aglieco
Adam Vaccaro, GOOGLE – IL NOME DI DIO IN QUATTO QUARTI DI CUORE, puntoacapo 2021
“Come trovare le parole giuste nel Caos? In un mondo di rifiuti, di escrescenze, di un tumore mondiale del Mercato del Capitale andato in metastasi, incontrollabile? E poi come conservare una severità di giudizio, obiettività, equilibrio, compostezza? Occorre stile, c’è bisogno di una forte personalità, di una veste, di una coerenza per dire, di un’eleganza propria, di una misura diversa da tutti gli altri, ma come mettere tutte queste qualità insieme, in questa continua farsa? (…) Questa poesia è capace di generare ascolto, di fondare un sentiero nel frastuono che circonda, la via di un ascolto per i sogni collettivi, per il bene. Poesia cioè che riesce ad inventare un silenzio nuovo, proiettandolo sullo sfondo di un verso che, se riesce a intonarsi con il successivo, crea melodia. Una musica di parole che può condannare e far rinascere il mondo nell’ascolto dell’individuo tornato a essere sé stesso, All’ascolto si è dedicato Adam Vaccaro, affidandosi al vero del poeta, sacrificando se stesso alla parola, ad un rito per creare ascolto”, (dalla prefazione di Massimo Pamio).
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Confluenze significative tra Porta e Vaccaro sono verificabili anche nella presente raccolta. (…) Porta aveva esplorato in chiave poetica le condizioni di una comunicazione massificata e automatizzata all’interno della società neocapitalistica di quel periodo. Un repertorio di luoghi comuni, vociferazioni banali e falsificanti, diventavano il segno dello stupidario della cultura media dei tempi. (…) Questa tendenza a denunciare le condizioni di una cultura acritica, dominata dalla cecità nei confronti dell’informazione e dei mezzi di comunicazione, è espressa da Vaccaro nell’ambito dell’attuale cultura digitale e dei potenti condizionamenti messi in atto dalle nuove tecnologie. Per Vaccaro, come per Porta, le condizioni di vita sono inevitabilmente relazionate alle strutture sociali in cui si è immersi. La comunicazione è anch’essa un’espressione di tali rapporti e un veicolo di sistemi valoriali e versioni del mondo. (…) La necessità dell’apertura verso l’altro si manifesta tramite lo sguardo empatico su personaggi che vagano nel vuoto. (…) All’adozione di una poesia-racconto, sorretta da stilemi di uso corrente, prosastico, corrispondono le attività quotidiane che rivelano i tentativi di fuga dalle carenze sociali e da un’emarginazione a cui si cerca di sottrarsi tramite i sogni di un Gratta e Vinci. (…) La poesia di Vaccaro ha desiderio di rincontrare il mondo, ripagare il suo scollamento dai nostri centri vitali, riaprire un dialogo con i suoi accadimenti, manifestare la sua conflittualità verso l’oscenità del reale.” (Dalla postfazione di John Picchione, York University)
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“Cosa e come può riguardare questa matassa di complessità interdisciplinare, il poièin e la poesia? Ai cultori di una poesia come mondo a parte non interessa alcunché. Ma per chi come me intende la poesia come parte del mondo, lo scenario contemporaneo continua a essere fonte e co-autore delle sue forme. Alimentate da una linea di ricerca dantesca di tensione totalizzante – che fonde storia, anima e canto, e a mio parere ricomprende anche quella petrarchesca. (…) Questi testi, nati dall’intreccio di doloroso disagio, passione ferita e volontà di Resistenza vitale, sono diventati materia di stazioni del diario di una sconfitta antropologica e storica”, (Adam Vaccaro nelle note)
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E si potrebbe partire da queste importanti note per aprire un dibattito che, del resto, non sarebbe del tutto nuovo; piuttosto una verifica dell’attuale situazione della poesia: che, a mio avviso, non si divide più in poesia come mondo a parte e poesia come parte del mondo, ma agisce, essa stessa, in un guazzabuglio di istanze e sollecitazioni che la collocano ormai come genere sui generis; e cioè linguaggio, codice comunicativo. Si può assistere, dunque, alla metamorfosi, più o meno sincera, più o meno interessata, di poeti che semplificano la loro lingua per esigenze “comunicative”; poeti che improvvisamente scoprono una vena di impegno sociale che non hanno mai avuta; poeti che non interferiscono per niente, sacerdoti essi stessi della loro lingua imperitura; poeti che, spalancando le porte al sociale, perdono la poesia come forma e l’avvicinano alla polemica, alla cronaca, se non addirittura ai linguaggi bassissimi del rap, dell’urlo o del cachinno.
Condivido, dunque, quanto affermato da Adam Vaccaro; e cioè poesia come organismo totale, persino bulimico, che ogni linguaggio può accogliere, dal dantismo al petrarchismo, ma che poi si pone il problema di essere lingua e non linguaggio. Perché non si dice mai una cosa, o la si dà per scontata: scegliere una lingua non è operazione meramente letteraria ma uno stato dell’essere, un certo modo di sentire la parola in rapporto a sé e agli altri. Chi tradisce questo finisce per essere un poeta finto, un cattivo poeta. Certo, rimane irrisolta, e ancora oggi, malgrado i diversissimi tentativi di superare la spartizione delle acque, la questione di quale lingua far prevalere: senza nulla togliere al motore emozionale, persino irrazionale della parola – elemento portante, a mio avviso, del discorso poetico, in quanto capace di precorrere intuitivamente lo spazio che si apre alla Storia – ; senza nulla togliere alla freddezza/saggezza di uno stoicismo che, cogliendo i farfugliamenti di un mondo in decomposizione, cerca di interpretarne i nessi, i cambiamenti, le urgenze.
Sta di fatto, e ormai da parecchi decenni, che tutte le lingue e le forme del mondo si muovono, sguazzando, dentro la grande cornice del postmodernismo capitalista, che, se da una parte ne esalta una dignità a tutti i costi, dall’altra ne disminuisce i valori e le differenze; anzi, nemmeno si pone più, probabilmente per mancanza di metodo e di necessità, il ruolo di distinguere e discernere, di indicare per il futuro, o quantomeno per un presente prossimo, una qualche razionale profezia. Spesso si invoca, ad esempio, l’arma della stroncatura critica di un libro, di un poeta; è una pratica che non ho mai messo in atto, soprattutto perché credo che, in un mondo diventato così complesso, non serva a niente; e perché credo che anche il lavoro del critico sia diventato “scrittura” relativa dentro le trame del postmodernismo.
Occorre ritornare a leggere, a proposito di profezia, due libri di Camus: “La peste” e “L’uomo in rivolta”. Per dire che l’avvento della peste, elemento irrazionale della ragione, non è prevedibile ma solo ipotizzabile, profetizzabile. Per me l’intuizione, la profezia, è quella zona della ragione che si ritira nel suo antro oscuro quando la ragione non sia più capace di leggere la realtà. Piuttosto è utile affermare che la condizione dell’uomo è un atto continuo di rivolta, persino in se stessi, contro le forze scatenate dai complessi intrecci dei sistemi sociali. I quali, prima o poi, volenti o nolenti, in modo del tutto prevedibile o in modo del tutto irrazionale, sono destinati ad approdare al loro massimo grado di entropia. Forse la poesia dovrebbe porsi il problema, oggi, di capire a quale grado di entropia essa stessa e la nostra civiltà siano pervenute. E lo può fare solo facendosi profetica.
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Impareremo
Impareremo a essere
più rispettosi
più sospettosi
più speranzosi
più patriottosi
più reclusi
più ansiosi forse
più ammansiti o
più annientati ma
più puliti
(16 aprile 2020)
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Impara!
Impara dalla falsità
che spacciano
come unica verità
impara dall’odio emanato
dai loro vestiti profumati
impara dai sorrisi esposti
che sanno di cartone
impara dalle lacrime sparse
per addolcire la tua pelle
sotto le loro unghie colme
di fame e sete persino
della tua pietà
(Gennaio 2012)
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Il pane che ci manca
Non senti come tutto
ci piomba addosso
con la sua aria leggera
imprendibile eppure
carica di piombo
che ci fa tutti un po’
piano impazzire
mentre annaspiamo
in una gabbia nel vuoto
con la corda sempre più sottile
sottile e vana come l’intelligenza
che ci mancanza
(9 agosto 2017)
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Tu non sai
Tu non lo sai quando e come
l’ala gelida del male ti passa accanto
né come è successo che la sua aria nera
abbia solo sfiorato i polmoni e quest’acqua
putrida di mafia non abbia ancora toccato
la tua pelle. Ma aspetta
ancora un po’ fiducioso e immobile e ne
sentirai presto l’alito e il fetore. Ché se
avrai ancora un po’ di pazienza potrai
sentire anche i denti – che dei sapori
d’amore amano il caldo suo sangue
(14 maggio 2021)
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Mira a Milano
Ho alle spalle deserti e savane
che cantano in me col vento
che non sento più – tra urla e
fischi su queste strade altre
deserte di amore mentre corro
a infilarmi in questo tubo di ferro
cercando di ricordare le facce
impolverate e le vesti colorate che
non so se sono state cancellate
dal turbine che mi ha portato
fino a qua e mi strizza il cuore
come questo straccio che raccoglie
le mie lacrime invisibili per chi
sarà insieme a me domattina
di nuovo come ogni mattina
in cerca di una cosa – di un po’
di dignità di lavoro di pace
(Giugno 2018)
5 gennaio 2023
Sebastiano Aglieco