Ultima, non per importanza, una acuta nota di lettura del mio “Google – Il nome di Dio”, di Nicola Picchione, fraterno amico d’infanzia, di professione cardiologo con molteplici interessi culturali ed espressivi, che vanno dalla fotografia alla narrativa, con risultati sempre eccellenti.
La radice comune della nostra identità e i tanti scambi umani e culturali intercorsi con Nicola nei decenni hanno certo influito su questa ricca lettura. Tra i suoi punti di rilievo, sottolineo il richiamo di Tirteo, poeta spartano (di origine Attica) del settimo secolo A.C., autore di un’epica modernissima – diversa da quella eroica, di Omero -, volta all’impegno etico del cittadino nella pòlis. Guarda caso, Tirteo era trapiantato a Sparta, condizione di esule che accentua interessi politico-civili e senso di appartenza. La pòlis implica il termine Patria, che la la visione neoliberista ha ridotto a termine di destra. Ma ricordo alle smemoratezze del presente, che i partigiani di ogni colore gridavano, viva la Patria, utero poi della Costituzione. Invito perciò a questa lettura stimolante. A.V.
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Adam Vaccaro: dove va il mondo
(Commento alla sua raccolta di poesie: Google – Il nome di dio)
Nicola Picchione
Siamo immersi in un mondo luminoso, colorato, dove tutto sembra a portata di mano e al nostro servizio, le macchine pronte a ubbidirci al minimo tocco, le merci offerte con grandi sconti, quasi regalate. “Solo 99 euro al mese, anzi 89, e/ ai primi 100 solo 69, ma l’offerta/ finisce domenica. Accorrete è/ l’ultima occasione”. Un mondo da vedere, da godere dove tutto è scontato, la metà della metà. Il mondo vero – lotta, lacrime, sangue, amore, odio – è sostituito da un mondo finto. “Piano piano quest’oggetto fatto di plastica metalli/ ed elettroni ignoti che da sconosciuti invisibili cunicoli/ ti entrano nella carne nella testa e nel cuore con bit di un ago/ capace di infilzare anche l’ego che si crede più immune”. Malgrado le rassicurazioni e i sorrisi e le tante promesse, ci sentiamo inquieti come e più di prima, ci sentiamo minacciati, insicuri e non sappiamo perché, ci prende la solitudine tra una moltitudine di solitudini rumorose e assordanti. Ci manca la voce per esprimere il nostro crescente disagio. Il solo vedere non basta, può essere pericoloso (ce lo insegnano Medusa e Narciso). La percezione deve generare pensiero, consapevolezza. “Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo”, ci dice Pessoa. Dunque c’è il rischio di modificare ciò che siamo (e che pensiamo) agendo su ciò che ci viene mostrato. Il gioco è semplice e pericoloso perché subdolo. Rischiamo sempre più la sorte della rana bollita della famosa metafora.
Una volta c’erano i profeti a dar voce al disagio umano poi vennero i poeti. Da Tirteo a Leopardi a Pasolini si leva la voce dei poeti a svegliarci, a scuoterci, a ricordarci che la realtà non è quella che vogliono farci credere, non è lo scenario luminoso che generosamente fingono di regalarci. Sono i poeti che levano per noi la loro voce, tolgono i veli e provano a farci vedere la realtà dietro i sipari di cartapesta che nascondono strategie raffinate. Pochi sono i poeti che riescono a farlo.
La raccolta di poesie di Adam Vaccaro (Google – Il nome di dio – in quattro quarti di cuore) è divisa in quattro parti ognuno con la parte di cuore che assume un colore diverso come le vesti sacerdotali. La prima parte, il primo quarto di cuore, è nero, minaccioso come il buio ma vuole aprirci gli occhi. È rivolto all’impegno civile. Ci avverte ancora prima dell’inizio con le parole di un mistico indiano: “L’arte più ricca non è un mondo a parte ma parte del mondo”. Attraverso queste poche incisive parole il poeta ci avverte che la sua poesia è parte del mondo, dei suoi problemi, delle sue angosce; che la poesia non può essere (o non essere soltanto) un’isola felice. Poi ci mette davanti – a modo suo cioè a modo dei poeti che hanno il compito di arrivare sino al fondo dell’anima e non solo della mente – il mondo crudo reale dal quale spesso giriamo lo sguardo. “c’è una tempesta che non cessa/ e nei bar girano relitti/ la faccia del male è/ in un ragazzo di ventanni/ che ha già visto tutto il vuoto/ nel passato e nel futuro/ sapessi che male dice/ di cosa mi occupo/ di arte/ della sopravvivenza”. Quante volte vediamo questi ragazzi privati della gioventù, messi da parte e noi giriamo lo sguardo infastiditi e ci limitiamo a una condanna. E non guardiamo quelli come Pietro-Mohamed “affamato con ossa di marmo e piombo/ sotto questo ponte pieno di niente solo/ cani scalzi e topi ho trovato un ultimo/ riparo”.
La raccolta è stata oggetto di analisi e dibattiti in vari convegni da parte di esperti che ne hanno messo in evidenza il valore e il contenuto. Noi comuni lettori ci lasciamo guidare dai versi di Adam che sa metterci sotto gli occhi molte promesse e doni che al posto del danaro ci chiedono l’anima. Vuole metterci in guardia, attirare la nostra attenzione sui pericoli gravi ma nascosti di un modello sociale che ci sta portando in rovina nascondendo i disagi con gli agi apparenti, sostituendo i vantaggi comuni con privilegi personali che saranno sempre più riservati a pochi. Il cuore nero del mondo analizzato da Adam nella prima parte della raccolta è un accorato appello ad aprire gli occhi, guardarsi intorno, analizzare le tante promesse e i trionfalismi: nulla è gratuito come vogliono illuderci. Non ci chiedono danaro (quello se lo sanno procurare per mezzo nostro), ci chiedono l’anima, la libertà, la nostra riservatezza. Lo fanno sorridendo con gentilezza: “Venite a me fanciulli, datemi le/ vostre parole, i vostri segreti/ i vostri cuori che io li custodirò/ in un luogo sicuro/ che nemmeno voi raggiungerete/ mai“. Quel mondo luminoso è una caverna buia come l’antro di Platone animato da ombre e quelle promesse somigliano alle tentazioni di Gesù nel deserto.
Ancora più attuale è la voce di Adam se pensiamo ai recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale come chatGPT che si propone di fare tutto al nostro posto con maggiore rapidità, finanche scrivere un articolo o una poesia nello stile desiderato o inventare una fotografia. Se Google è il dio moderno smascherato da Adam, si sta scatenando una nuova lotta tra dei che si litigano la nostra anima: lupi in lotta e noi agnelli in attesa di chi ci ghermirà. Lo sappiamo come sono gli dei: ti sono benevoli, magari ti concedono qualche grazia ma solo se sei devoto, se segui alla lettera i loro voleri e fai sacrifici. E ti spiano ogni momento con i loro occhi innumerevoli. Il pessimismo di Adam, tuttavia, non è nichilismo, non è sterile pianto ma ha un compito costruttivo e non è il leopardiano risentimento verso la natura che inganna i suoi figli con promesse che non mantiene. È l’accorato sguardo all’uomo che si lascia tentare dal potere e finisce con ingannare sé stesso e alla natura che non è la causa del male ma la vittima sacrificale. È un richiamo alla ossessione di possesso; è la denuncia dell’individualismo che trasforma l’uomo da essere sociale in un essere in lotta con gli altri. Un ritorno pericoloso al lontano passato che tende ad allontanare il frutto di lotte sociali.
In questa prima parte della raccolta riaffiorano ancora una volta (come in raccolte precedenti) le radici della terra nella quale è vissuto Adam nei primi anni della sua vita: quel piccolo pezzo di Paese quasi sconosciuto dove ha imparato per sempre a vedere con realismo e con onestà intellettuale; ha appreso che nella vita nulla è regalato ma è frutto di sudore, dove il rispetto prezioso che chiedi inizia da te e dal tuo senso di dignità, che sei parte di un comunità che ti conosce e ti valuta. Ma la lunga successiva esperienza milanese ha liberato quelle radici da un fatalismo rassegnato. E le antiche radici culturali si sono sciolte in una poesia di impegno civile nella parte iniziale di questa raccolta, che tuttavia trova nelle altre parti (gli altri quarti di cuore di diverso colore) momenti di leggerezza, di sentimento e liricità.
Ho voluto limitare questo breve commento di lettore comune alla sola prima parte, il resto sta ai lettori scoprirlo magari con l’aiuto di qualche critico anche se non sempre i critici aiutano e talvolta si lasciano andare a linguaggi criptici rivolti più ai loro colleghi che ai lettori come una sorta di cerchia pitagorica se non a volte a narcisismo retorico. Le poesie – lo sappiamo – vanno non solo lette ma rilette e ancora rilette come un cibo da ben masticare per apprezzarne tutto il sapore, per entrare nel ritmo che è proprio di ciascun poeta, senza dimenticare che la poesia moderna – come tutta l’arte moderna, ma come da sempre ha fatto l’arte – ha rinnovato e continuamente rinnova i suoi ritmi e il suo stile, nei quali bisogna entrare e non rimanere prigionieri del passato.
Pasqua 2023.
Nicola Picchione