G. Galzio – Ricerche di paradigmi di un Nostos molteplice

Pubblicato il 17 luglio 2022 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Nostos senza Odisseo (*)

 Ricerche nel campo aperto di nuovi paradigmi

 Adam Vaccaro

(*)Una prima versione di questo scritto è apparsa sulla Rivista Odissea, vedi a https://libertariam.blogspot.com/p/liber.html

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Gabriella Galzio, Ritorno alla Dea, Agorà &Co, Sarzana-Lugano, 2022 – pp. 72.

Questo saggio di Gabriella Galzio nasce e viene da lontano, come ricorda nella Premessa, l’Autrice. Un lontano, nel tempo e nello spazio, che riguarda sia gli scambi vitali e culturali avuti nel corso della sua vita, sia testimonianze, riflessioni ed elaborazioni nel corso dei millenni, ripresi e fatti linfa della propria poesia e visione del mondo. Tutti lasciti elencati nella bibliografia in fondo al libro, del quale alcune parti sono già apparse su riviste.

Un percorso stimolante per qualunque altra visione, anche con radici molto diverse come la mia, se è comune l’interesse profondo per la salvezza e l’amore della vita. Su questa base, il confronto tra differenze produce arricchimenti reciproci e moltiplicazioni di energie, rispetto alle logiche opposte dei poteri e delle derive tragiche costitutive del capitalismo imperialistico globalizzato. Una fase estrema, corredata da ideologia di pensiero unico e una hybris, che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità.

Un saggio poetico

Definisco poetico questo saggio della Galzio, non tanto e non solo per i versi intrecciati nel testo, quanto per la sua tensione totalizzante e il campo aperto, privo di strumentalità preordinate (rispondenti alla visione di G.B. Vico, che parlava di fisica poetica, chimica poetica, filosofia poetica ecc.), se non quelle di una passione antropologica alla ricerca di prospettive diverse rispetto agli orrori antiumani dei millenni di storia conosciuta. È dunque un saggio lungo un fiume-contro, quale affrontato da irriducibili salmoni che vogliono ritornare là, dove la loro vita ha visto la prima luce, in un’alba perduta e da riprendere.

Può darsi sia follia priva di ogni possibilità, questo moto e manìa di un Nostos resistente, che dà forma a una sorta di urlo luminoso di questa ricerca. Può anche darsi che questo moto sia solo flatus vocis, ma in esso c’è la coscienza del rischio di essere ridotti tutti noi a organismi che hanno rinunciato ai bisogni di rinascita e immaginazione di un orizzonte oltre e altro l’esistente. Il quale esalta il proprio status in nome di un realismo, che è in effetti nichilismo e chiusura al suo superamento. Una ideologia mortifera di fine della storia, contraria al magistero, per cui nulla è approdo definitivo nelle vicende naturali e umane.

Un insegnamento che dalla mia visione fenomenologica di materialismo dialettico, innerva pensiero critico ed energie vitali di questo libro, con tensione a morire da vivi, e non a vivere da morti, arresi a poteri che generano vita negata a miliardi di esseri umani. Una visione critica parallela alla mia ricerca, teorica e pratica, sintetizzata dal termine Adiacenza1. Si può arrivare a Roma o in cima a una montagna da percorsi o versanti diversi, se hanno in comune il bi-sogno tutt’altro che visionario e privo di concretezza, di recuperare responsabilità etica collettiva, di cui abbiamo perso senso e nome, davanti a prospettive di autodistruzione apocalittiche.

Rideclinazione del Nostos

Addentriamoci ora nel percorso di ricerca del libro, incentrato nella risalita a fonti millenarie cancellate e smarrite, oltre moti e venti odissei, ed entro la complessità umana androgina, in cui i principi maschile e femminile siano ricchezze congiunte e non contrapposte. È quanto richiama e sintetizza nella Prefazione, Heide Göttner-Abendroth, una delle fonti principali della ricerca di Gabriella Galzio, che peraltro si è avvalsa anche della ricerca e dell’opera filologica di Angelo Tonelli. La tensione non è astratta ma volta alla capacità di una “ricca conoscenza” reciproca volta a ricreare un “modo di vivere egalitario” (p.9), È uno sguardo anche per me fondante, sottolineato dalla prefatrice (fondatrice dei Moderni Studi Matriarcali), nel suo percorso di “elaborazione della nuova definizione di matriarcato quale società egualitaria, che non ha nulla a che vedere con l’accezione ‘dominio delle donne’.” (ibidem).

Ed è una accezione condivisa anche dalle “riflessioni filosofiche di Gabriella” (p.10), risalenti ai “presocratici, ancora consapevoli di quanto il loro pensiero fosse originato dalla visione del mondo matriarcale” (ibidem), fonte di poesia e riflessioni teoriche, aggiunge la Prefatrice. La quale specifica che nel mondo e nella cultura matriarcale, si mette in atto una visione totalizzante, senza divisione, settorializzazione e contrapposizione di culture e classi sociali, quali poi prodotti dal patriarcato: “l’estetica matriarcale mostra che anche la filosofia e la scienza dei primordi erano parte integrante” di una spiritualità, in cui “Nulla era separato, scisso e imprigionato in istituzioni specialistiche a se stanti come avviene nelle società patriarcali.”. E “In questa prospettiva l’arte e la poesia non sono abilità specialistiche, ma l’universale capacità creativa di infondere bellezza alla vita personale e sociale” (Ibidem). Un orizzonte espressivo alieno da ogni concezione egotica e autoreferenziale, perché incarnato profondamente nella esaltazione della complessità costitutiva dell’essere umano: pensiero, etica, gioia, sesso e sacralità del dono di con-vivere.

Di tutto questo, Gabriella si fa voce, con analisi e poesie interconnesse: “È bene chiarire sin da subito che quando alludo al patriarcato, non mi riferisco riduttivamente alla relazione uomo-donna, ma molto più in generale a una intera civiltà, che si è eretta sul dominio dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna, dell’uomo sulla natura”, una logica che implica sfruttamento, violenza e guerre incessanti dalla sua istituzione fino a oggi, qualificata da Gabriella “età del piombo” (p.11). Ne consegue un atteggiamento non arreso al nichilismo dominante, alimentato dalla “conoscenza delle società non patriarcali”, e teso a “risvegliare in noi la fiducia in una possibile società equilibrata” (p.12). È il nucleo portante di senso del libro, attuale e necessario, per chi crede ancora – nonostante le tragedie e i tentativi finora falliti di un comunismo mai realizzato, se non in contesti primitive – nelle possibilità di una società egualitaria, che esalti e non appiattisca i singoli, e concepibile solo fuori da logiche patriarcali.

È dunque un libro-viaggio a ritroso, ma non a testa indietro, animato da un Nostos che viene ridefinito man mano oltre lo spazio e il tempo di un’Itaca, ultimo e definitivo approdo nel disegno del mito di Ulisse. Un cahiers di viaggio che non si riduce a lacrime e doleances (da perduti privilegi nobiliari), ma a uno sguardo d’anima, materica e multipolare, priva di astrattismi o misticismi, entro un campo aperto di Nostos che va rideclinato in paradigmi e un quadro mitipoietico completamente Altro, che vedremo nella sezione che segue.

Quel salmone plurale che balza oltre il muro d’acqua contrario, pronto a sfidare bocche affamate e feroci, anticipa orizzonti multipli, illuminati anche dall’immagine della Dea del titolo, “dai mille volti” e nomi, dalla “Dea Kypria” a “Inanna e Astarte, Ishtar e Iside, nomi in cui la Dea non è solo Madre, quale ridotta da lettura patriarcale, ma figura che “irraggia il nostro immaginario con la sua potente carica erotico-mistica.”. (p.62).

È un disegno perciò che congiunge basso e alto e della nostra totalità, che cancella sensi di inferiore o superiore valore, restituiti a ogni sua parte necessità e splendore, quali solo l’Amore più alto può concepire. Credo perciò opportuno citare interamente i versi che chiudono il libro:

“si anima il cielo delle tue perle

Man mano che ti svegli, Signora

Man mano che ardi e accendi

Le forze dei tuoi amanti, Ishtar dagli occhi colmi,

chi nega l’amore, non troverà gioiosa

né implacabile, la Giusta, la Generosa

amante, né facile la morte, o vita

 

Di ogni uomo, spendi

L’aurea energia, tieni un frammento in custodia

Di un libro immenso” (p.63)

È una poesia precedente la stesura completa di questo saggio, in cui c’è il brillìo dell’approdo cercato, in un immenso, raggiungibile solo da una congiunzione d’amore e coscienza critica, di passato e presente. È peraltro la conferma che la poesia anticipa le ricerche della sola razionalità dell’Io, espressa in una forma di disperato gioioso appello a noi contemporanei, se vogliamo rimanere vivi, in “questa fitta melma che ci sbrana” (anticipato già a p.36), e che ci vuole solo cellule indifferenziate di consumatori.

Ricerca di nuovi paradigmi

È il senso e l’approdo complesso cercati ed enucleati soprattutto nel capitolo “Nuovi paradigmi nella teoria letteraria” (pp.31-41). Un capitolo cardine su cui ora ci soffermiamo, a conclusione di questo nostro percorso di lettura. In tale capitolo Gabriella riannoda in primo luogo i fili anche narranti della propria esperienza culturale, ricordando che “prima della filosofia c’era stata la sofia, e grazie a Platone…prima ancora…la mania” (p.31). Dopo di che il libro ripercorre i passi di acquisizione di una coscienza critica lungo il processo di sostituzione di paradigmi da parte della cultura patriarcale, con “un logos…inventivo-manipolativo”, di “depotenziamento della Dea…da Oriente a Occidente” (p.32), e una progressiva ideologizzazione e “desacralizzazione della filosofia”. Un processo di rimozione e “amnesia patriarcale” di “una civiltà altra e sconosciuta” (Ibidem), che agisce anche sulla e nella lingua, fino a sostituire e ribaltare il quadro simbolico dell’originario “Mythe (al femminile)”, col termine “Mithos (al maschile)” (p.33).

Il percorso evidenzia come i paradigmi mitologico e storiografico patriarcali, di un Nostos incentrato nel mito Odisseo, ha comportato un fittizio inizio della letteratura occidentale con l’epica guerresca di Omero. Dopo di che a Gabriella si pongono due strade, di “rivisitazione del mito già noto” (p.37), grazie al “poderoso e illuminante” contributo mitografico di Heide Göttner-Abendroth; o di “rielaborazione mitopoietica, a partire dalle Premesse a Cassandra di Christa Wolf, in cui si “ripoietizza il mito… contestualizzandolo entro un’epoca precedente Omero, l’Iliade e la guerra di Troia” (p.37). Col che la barriera storiografica fittizia è rotta e possiamo concepire “un nuovo paradigma mitopoietico ”Janua””, con sguardo contemporaneamente proiettato al “passato arcaico” e al “futuro utopico”.

Sono formulazioni che, con radici e richiami diversi, coincidono con quelle della mia metodologia di ricerca teorica sopra ricordata, dell’Adiacenza. La quale, entro approcci e visioni pluridisciplinari, utilizza tra l’altro come strumenti utili all’analisi delle complessità di un Testo, del Tempo e del Soggetto, sia la fisica quantistica che la triade psicoanalitica, Io-Es-Superìo del Sé. Ne scaturisce uno sguardo molteplice, polidirezionato e senza il quale non è possibile elaborare, in particolare, ciò che chiamo tempo mentale – frutto della totalità del Sé nei suoi tre livelli, riferibili a logos, pathos e ethos, dai quali il Tempo è elaborato con modalità completamente diverse: lineari, se volti al presente o al futuro (Io e Superìo), e circolari, di tempo sempre passato e sempre presente (Es). Quando tali differenze con-vivono in platoniani attimi d’infinito di co-esistenza precaria ma gioiosa, si ricreano adiacenza intrasoggettiva e una mania di modificato stato di coscienza, in cui la percezione del Tempo non è più né lineare, né circolare, ma elicoide, rispondente alla forma biologica del DNA o all’estetica delle colonne del Bernini della Cappella Sistina. Sono momenti orgasmatici di una petit-mort di rinascita nel circuito incessante di morte-vita, di cui amore e bellezza sono nomi delle trasmutazioni nelle mille forme di arte e poesia.

Sia dalle ricerche mitopoietiche della Galzio che dalla mia ne deriva dunque un paradigma fenomenologico che è contemporaneamente di arrivo e partenza. Non c’è più un punto di arrivo definitivo come nel mito omerico, ma un andamento pendolare incessante. Che non ha fine e un fine, se non quello della replicazione e continuazione e della vita. E che, nella dinamica della gestione dell’identità soggettiva – singola e collettiva – risponde alla fisiologia di una autopiesi che pluralizza livelli e Case di rinascita di una fisiologia adiacente alla complessità dell’identità soggettiva, imprigionata e ridotta, nella visione patriarcale, in alternative 0-1. La meccanica rigida del mito odisseo, con un nostos fondato sull’approdo definitivo a un’unica casa di rinascita, è superata. Non più un’unica Casa fonte di rinascita, ma una sua partenogenesi creata da un molteplice percorso identitario, che rende così tali Case, anche più resistenti e meno distruttibili dalla furia omologante di logiche e logge imperiali di poteri, che non vogliono mai lasciare pietra su pietra delle Case di chi gli si oppone.

Dunque, la ricerca sull’identità, per me centrale, si arricchisce entro un orizzonte matriarcale, che tende a moltiplicare dialetticamente luoghi di rinascita del proprio Sé, ri-creando Case aperte, resistenti, multiple oltre che re-attive, quanto più ricche di realtà e immaginazione in una lingua leopardiana di parola materiale e lirica. In tale fisiologia il piede, sia della possibilità del cammino del farsi autopoietico dell’identità, sia di un rinnovato paradigma estetico, dialetticamente innestato nel processo biologico, mentale, e animale della complessità vitale, è premessa funzionale, come l’asta di un ombrello, anche in forma plurima, come quella qui immaginata, di una macchina celibe, senza la quale il tutto s’inceppa, muore e ridiventa nulla.

Fino a coinvolgere anche quel primogiardino (come definito da Claudio Magris) di disegno del mondo all’inizio del percorso identitario di una casa aperta, che comporta uscite e ritorni, alterni exodus e nostos, concreti, affettivi o culturali. Un moto auspicabile molteplice, oscillante, gioioso o insofferente, tragico o necessitato, in ogni caso dialettico, rispetto alla Cosa esterna, con rientri e rinascite in una Casa multipla, originaria o successiva, reale o immaginaria, utero plurimo e autopoietico del nostro percorso, in cui ritroviamo energie per rinnovare la vita che rinasce proprio dal punto in cui muore. Capace cioè di fare della morte, miracolo, limite e strumento di vita, e non tabù o solo orrore privo di senso come nella cultura patriarcale occidentale, per la quale la morte non è più sacralità, senso del limite e fonte di etica, ma insolenza da abbattere e vincere, con hybris e incessanti deliri di onnipotenza.

Tutto questo è materia appassionata e complessa del libro e del paradigma nuovo (sacrale) cercato dalla Galzio, che ribadisce: “nelle culture matriarcali, la morte era parte di un flusso continuo metamorfico di morte-rinascita e dunque connessa alla vita”. Una visione, anche questa da me espressa da sempre, anche in poesia: “la morte – che/ non esiste, assiste”, verso de “Il gioco della Gioia”3 Che corrisponde perciò a quanto anche da me articolato nel quadro dell’Adiacenza. Ma la sua ricerca ha generato approfondimenti, facendomi riconsiderare ad esempio il pilastro fondante della mia raccolta Seeds2, strutturata nell’ipotesi di un Ulisse contemporaneo senza nostos, per la distruzione irreparabile della propria Itaca, cui consegue il crollo dei corollari concettuali sopra richiamati. Questa ipotesi è destituita di senso e ragioni entro la suddetta auspicabile moltiplicazione di Itache, se il soggetto sa ricrearle lungo il proprio percorso autopoietico.

Conclusioni aperte

Abbiamo un campo aperto di ricerca, perduto e ripreso, teso a conoscenza, condivisione e responsabilità rispetto all’immensità della realtà, di cui siamo prezioso pulviscolo. Entro tale orizzonte, esserci con le scritture, coinvolge i paradigmi dei canoni definiti dal solo ambito letterario. Che sia dunque magistero la furiosa passione della vita, che dirige e inventa la musica che vuole dirsi, in un canone-non-canone di forme, cui non basta un bel giardino di segni algoritmici, mentre brucia il campo di lavoro interminabile del bisogno di continua rinascita antropologica.

Tale campo aperto è il lascito delle ricerche fatte proprie, e ulteriormente sviluppate con questo intenso libro, da Gabriella Galzio. A mio parere, un dono importante per tutti.

Maggio-luglio 2022

Adam Vaccaro

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