Dal Cielo alla Terra
Il cerchio destinale ricongiunto nel nostos di Luigi Cannillo
Adam Vaccaro
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Luigi Cannillo, Dal Lazzaretto, La Vita Felice, Milano 2024
Penso sia necessario e utile riconnettere la lettura di questa ultima raccolta di Luigi Cannillo a quelle precedenti1, al fine di collocarla nel percorso che si illumina di senso, entro il disegno di quel libro unico di un Autore, quale inteso da Walt Whitman.
Occorre dire che l’arco complessivo disegnato dal percorso di Cannillo è un esempio di come agiscono e cambiano la struttura del testo quelle che chiamo forze della forma, con epifanie generative diverse, se più dominate dal vento interiore, o se più alimentate e agite dal ben altro vento, che soffia dall’Altro.
L’aria è simbolo, sia di liberazione dell’inconscio, tra i freni e le illusioni del rimosso che lo costituisce, sia di chiusure rispetto all’Io lasciato fuori dalla sua barriera invisibile. E le fioriture di segni, apparentemente libere, non amano evidenziare i loro legami emopoietici o onomatopeici con la materia biologica e psicologica che li genera. Se invece la distanza materica si riduce, i segni sono attirati come da un magnete che impone maggiore concretezza e transitività comunicativa. E tali diversi processi di germinazione linguistica, nel primo caso esaltano i giochi del significante, nel secondo corpi più scoperti e tesi al significato Col che agisce con più forza il bisogno di essere conosciuti e riconosciuti dall’Altro, dagli altri, nella coscienza che senza questa sutura, il Soggetto Scrivente e i suoi segni lasciano monche le possibilità di completare la missione potenziale da cui sono nati, di farsi conoscenza condivisa.
Il viaggio di ricerca di conoscenza del moto vitale di Luigi Cannillo ha prodotto mappe proiettare nei cieli, in flussi filmici aerei, trasmutanti il suo cammino sulla Terra, in immagini e suoni di un putto mascherante i pesi gravitazionali. La Terra veniva via via come ridotta in molecole imprendibili nel vento creato e sospinto dal bisogno di liberarsi e librarsi in un contesto inventato, come inventio di sé oltre barriere mal sopportate.
Per farlo non bastavano sensi e senso scontati, occorreva dare corpo a un Sesto senso. Dopo di che il Volo simulato diventava medium di aperture in cieli (privati o di Roma), fatti schermo (come telo di proiezione e maschera del Soggetto, Scrivente e Storicoreale) dei film di vita vissuta in territori, umani e culturali, attraversati con gambe, echi e sete di conoscenza – nel flusso complesso di un vento capace di far confluire, l’alto dell’immaginazione e il basso del corpo e dell’eros, con al centro un Io resistente in una Galleria formalizzante.
La scia traslucida delle mappe aeree viene ora, in questo ultimo libro, lasciata alle spalle al pari di quella di una lumaca – e restituita alla terra da cui era partita, nel bisogno del ritorno, del nostos di rinascita, diventato ora necessario e liberatorio, al pari delle tappe inventate dal moto di andata. È un moto che produce mappe e tappe di maturazione e sapienza di Sé, nella memoria e nella coscienza ossimorica di un punto di quiete, capace di fondere gioia di restituzione e dolore accolto in poli adiacenti di senso, congiunti in una comunità di assenti presenti, riportati in vita attraverso questi testi.
Sono testi innervati, come dice Davide Romagnoli nella Prefazione, in un “locus horridus”, in cui, però, dantescamente, si giocava la danza – tutta umana – della narrazione espressiva e mimetica delle genti e della sofferenza del tempo alla cui vista – credeva sempre il Manzoni – si rispondeva in due modi; con l’indurimento del cuore o con accrescimento della pietà”.
Credo che uno dei meriti di questa raccolta sia nella capacità di svolgersi sul crinale di entrambi tali versanti, con voce oscillante tra lucidità e pietas salvifica della propria umanità, in presenza di tracce della storia, che sono state al tempo stesso il suo primogiardino e alveo di vita. Ne deriva il disegno, sin dal primo testo, dell’arco di senso di tutto il libro, proiettato a ricongiungere quei “loro”, pur solo nella memoria, a noi, “i salvati”, benché alonati da naufraghi approdati in questo orizzonte disgregato dal “Novecento”, ricolmo di orrori e visioni di rinascite, che “contrappone spietato le sue ore/ futuro incluso”.
Il disegno è di un arco che parte da “dove le ombre si fissano perenni” tra i ruderi “del vecchio Lazzaretto”, di cui “resta/ ormai solo il colonnato nord”, dove stanziano i “clienti nelle bottiglierie”. Il senso che ne deriva evidenzia bisogno di sgusciato (come emerso e denudato) pensiero critico, rispetto allo sguaiato e smemorato presente. Ne consegue l’avviso “a futura memoria”, di un sogno di riconquista etica e conoscitiva, fonte dell’intreccio di tensione alla totalità di sé e dell’altro. È la fonte espressiva in cerca di equilibrio precario e (im)possibile tra significanti e significati della complessità tematica e materica, tessitura di tutto il libro.
Vediamone alcuni estratti illuminanti:
Nella memoria di sé ragazzo nelle aule di scuola: “La geometria dei banchi/ mi ha protetto negli anni del silenzio/ il celeste degli oceani sull’atlante/…/ Mi ha salvato il cerchio dell’inchiostro/ la cura dei quaderni/…/ Poi lo sguardo si solleva dal libro/ ci spinge a uscire allo scoperto/ tra il bene e il male che nessuno dice” (p.20). Sono lampi del nucleo in formazione della propria identità, a partire da quel primogiardino, sempre gioioso-insano, in cui si misura la ghianda donata dalla natura, e che nel percorso della vita abbiamo il compito di scoprire, custo-dire e farne seme delle ragioni di essere qui.
Nel testo che segue: “Sulla scacchiera si dispone/ il quartiere abbandonato”, in cui “hanno sepolto il male antico/ insieme ai sogni di rivolta” (p.21). Per cui “Tutto si esaurisce nell’attesa/ in questo zenit rovesciato” (p.22), e “La libertà si consuma al pomeriggio/ dove si compie il vuoto e l’attesa/ di ciò che non potrà mai arrivare” (p.23), censisce gelido l’Io raziocinante, ma proprio da qui esplode dal fondo l’Es inarreso, che proclama “Arriverà il giorno dell’acclamazione:/ presto aprirò il frutto in mille spicchi/ La festa mi regalerà il mondo” (ibidem).
È un fondo di vita che resiste e prende il volo, a partire da un giardino orizzontale arido di illusioni, che perciò stesso le chiede, dal suo dove senza “nemmeno una torre una collina/ a indicare il verticale, perfino/ le rondini sfilano parallele/ senza tagliare il soffitto del cielo (p. 29); L’orizzonte di quel giardino è piatto e chiuso, ma è proprio da lì che parte l’immaginazione: “Nel cortile costruisco/ il labirinto invisibile”, da cui Icaro non smette di sognare e partire su “un magnete…alieno”, “che non consente/ testimoni né altrove”, Già, “non è un cortile per serenate/…/ Ma nel giardino si fa strada/ l’orizzonte prossimo del quartiere/ la mappa dell’universo in divenire”.
Sintesi musicale in ritmi novenari, che inanellano costanti sollecitazioni a dire e negare, a battere e levare, in uno swing danzante del percorso creativo del seme nascosto, ma ora più esposto, trasmesso e condiviso; testimone che chiede un balzo ribelle che ribolle contro “il codice del padre”, contrapponendo “nessuna obbedienza”, e promettendo “Invece sbattere la catena al muro/ mentre un altro noi si allena dentro/ si accende di visioni/ senza ancora sapere se riuscirà a scalare/ la fune che lo aspetta” (p.30).
E quel “Quel filo teso della separazione/ nel tempo mi ha aperto le braccia/ animato come una marionetta/ Come un elastico illude la fuga/ ma stringe un nodo se mi dibatto” (p.58). È un nodo che si scioglie solo nella memoria della madre, della primaria casa fisiologica in cui il cuore ha cominciato a battere: “Ma la volontà della madre/ versata sul foglio resiste” (p.60), alveo della presenza assente di “Madre che non ritorni a casa”, scintilla che incarna la “nostalgia dei luoghi” (p.61) e il nostos rigenerante.
Arriviamo così all’”Ultimo atto”, che incide come sul muro di una caverna primordiale o su una pergamena, il prodigio alchemico della memoria in cui “le ombre si rianimano in corpi”, e quel nodo non è più impedimento, ma acquisizione di conoscenza: “L’origine appartiene al sapere/ mentre il distacco lotta col mistero”, che chiede “Pietà per il destino che ci aspetta”(p.62). Pietà che moltiplica domande inesauste, tra sé e la folla degli assenti, in versi che ricordano abbrivi da Antologia di Spoon River, di Masters: “Dorme il Lazzaretto”, “Dormono insieme nel suo labirinto/ le vite perdute e le attuali/ condividono racconto e itinerario/ il movimento che ci sveglia e ci assopisce”. (p.65).
È la chiusa degli ultimi versi del libro, che ribadisce il crinale ossimorico ricco di sensi di poesia e di vita. Il cerchio aperto e la tappa cruciale offerti da questo libro del percorso complessivo di Cannillo, mi fa riconnettere alle note scritte sull’autoantologia pubblicata con Gradiva nel 2022, in cui svolgevo già sostanzialmente la stessa articolazione di analisi, fino a concludere: “Tutto è sempre molteplice e complesso, e il percorso espressivo di Luigi Cannillo ne è forma, oscillante su un crinale di tensione di condivisione e vocazione solitaria, in un intreccio che per ciascuno e tutti è tra luce e ombra, di cui quest’ultima è caldera decisiva e fonte profonda di lapilli sospesi in attimi d’infinito, tra cielo e terra.”. Le due polarità e il rientro dell’astronauta era già visibile in quella raccolta, ora più compiutamente dispiegato in questa ridiscesa e ritorno al Lazzaretto, luogo dell’anima e del suo bisogno continuo di rinascita.
25 maggio 2024
Adam Vaccaro
1 Volo simulato, Campanotto, Udine 1993; Sesto senso, Campanotto, Udine 1999; Cielo privato, Joker, Novi Ligure (Al) 2005; Cieli di Roma, Lietocolle, Falloppio (CO) 2006; Galleria del vento, La Vita Felice, Milano 2014; Between Windows and Skies.Selected poems1985-2020, Gradiva Publications, Mount Sinai, NY 2022.
Grazie per questo commento così approfondito che collega anche diversi aspetti del mio lavoro poetico precedente alla mia scrittura più recente. E grazie anche per l’analisi specifica delle caratteristiche – anche le meno apparenti – di “Dal Lazzaretto”.
Interessante commento. Così orto concluso e dislocazione infinita: l’orizzonte prossimo del quartiere e la mappa dell’universo in divenire!
Commento dettagliato e appassionato di un luogo metaforico e simbolico della mente che va dalla dannazione alla rinascita Dove si mescolano ricordi e riflessioni del percorso dell’Io del Poeta e vissuti inconsci, tracciati come tappe della sua evoluzione umana e artistica attraverso la sua opera, analizzata con grande penetrazione da Adam Vaccaro.
Immetto, per difficoltà tecniche di Aky Vetere, questo suo commento inviato per email:
Caro Adam, che dire più di quanto hai detto in queste pagine ricchissime di sentimento e di profondità. Hai esplorato confini che, pur avendo letto il libro, non avrei raggiunto. Sicuramente oltre la “vista ” altri sensi ti hanno guidato. Gigi si meritava un’analisi così amata. Sono commosso.
Mi compiaccio dei riscontri ricevuti dalla mia analisi, da Luigi a Margherita, Laura e Aky. E’la moltiplicazione di pensieri ed emozioni, attesa dalla fatica felice di leggere e scrivere.
Adam