Angelo Gaccione
Manhattan – Racconti minimi per il teatro
Ed. Atelier Onesti, 1995 – Pagg. 98 Lire 15.000
Pubblicato sulla prima pagina di “Odissea” sabato 8 gennaio 2022
https://libertariam.blogspot.com/2022/01/manhattan-diadam-vaccaro-adam-vaccaro-t.html
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MANHATTAN
di Adam Vaccaro
Tra i libri di Angelo Gaccione, questo Manhattan (scritto tra il 1990 e il 1991 e pubblicato nel 1995 da Atelier Onesti) mi era sfuggito, e a leggerlo dopo quasi 30 anni dalla sua stampa, è stato come aprire la porta per uscire ed essere investiti da una ventata impietosa che apre insieme al cappotto, solchi tra i capelli e le idee che ognuno di noi cerca di mettere in ordine, nel trambusto incessante di questi ultimi decenni.
Devo dire, una ventata impietosa ma anche salutare che spazza via granelli di polvere e invisibili polveri sottili pm10. Polveri accumulate tra le tante scritture di poetese e prosatese della letteratura nostrana, rigonfia come un’epa o un deretano di quadri di Botero, ininfluenti rispetto alle macerie e disgregazioni socioculturali prodotte dal pensiero unico dominante della globalizzazione neoliberista. Un vento, questo, impetuoso, trionfante e incurante di quella che è stata definita catastrofe antropologica, che continua a essere narrata (grazie a un esercito fidelizzato di maggiordomi e supporters) dal mainstream al servizio della ca(u)sa, come incessanti magnifiche sorti e progressive. Su tutto questo, gran parte delle scritture contemporanee ama rimanere appartata, chiusa in proprie alte e rarefatte stanze di esercizi preziosi e privati.
Questo libretto di Gaccione di 30 anni fa, apre invece la porta e si fa travolgere dal disastro, incapace di ignorarlo e darcene conto buttandoci in faccia frantumi umani, ridotti a sassi, briciole e infimi invisibili pulviscoli, prodotti da quel vento che piega tutti come canne, incapaci di contrapporsi e ignare del sapere coltivato da querce solitarie.
Il non detto dei quadri offerti dal Manhattan di Gaccione è un urlo nel silenzio arreso circostante, che restituisce ai frantumi sgangherati e disperati cui dà voce, l’implicito imperativo categorico – etico, culturale e umano – di chi non rinuncia allo sguardo sui mali del mondo, per non ridursi a vivere in un paradiso di idioti, o di schiavi contenti e incapaci di uscire dalla moderna caverna platoniana di mille canali televisivi, in cui è impossibile vedere le proprie catene.
Ne consegue la forma di questi mini-flash teatrali, di cui coglie opportunamente i ritmi da rap nella sua prestigiosa postfazione, Roberto Roversi. Dialoghi serrati che sanno esaltare il nondetto rispetto al contesto, e che, pur mettendo sulla pagina crudezze e realtà umane degradate, fanno sempre sapientemente percepire quella pietas, senza la quale, ci arrendiamo alla barbarie in cui il valore dominante è quello per il quale tutto è ridotto a merce.
4 gennaio 2022