La poesia come gesto e relazione con l’ignoto
Rinaldo Caddeo
La poesia ci butta nell’ignoto: Spaziani.
Poesia (Giovanni Raboni):
dare un nuovo senso alle parole di tutti i giorni.
La poesia è scrittura che ci osserva nel suo farsi.
La poesia come gesto.
Creazione
In quel muro in quel foglio
nell’area bianca che la tua mano cerca
il mignolo bagnato nell’inchiostro
sopra strisciato con fiducia
azzurro corso d’acqua rapinoso
vena arteria in cui scorre
a occhi chiusi il mondo.
Bartolo Cattafi, (Segni, Scheiwiller, Milano 1986, p.19).
Il mignolo, il dito piccolo, il bambino, tracciando l’inchiostro sul muro o sul foglio, crea corso azzurro d’acqua che scende rapinosamente come un torrente che diventa fiume e sbocca nel mare.
Il liquido di quel fiume è anche sangue, dato che il fiume è anche vena e arteria. È fuori e dentro, scorre fuori e dentro di noi. È come noi parte del mondo. È il mondo, la vita che scorre in noi.
È contenitore e contenuto (Matte Blanco: la logica binaria della poesia unisce gli opposti, non li considera contraddizione inconciliabile): il mondo di cui siamo parte infinitesimale diventa parte di noi, liquefatto entra in noi, scorre dentro di noi.
Il gesto creativo trasforma l’inchiostro in fiume, mare, mondo. Capovolge gli opposti: il contenitore, il mondo, diventa il contenuto.
***
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come su uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto,
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Eugenio Montale, (Ossi di seppia).
Qui viene messo in scena un gesto ancora più elementare: girarsi indietro. Un gesto semplicissimo che assume una particolare valenza simbolica. Che cosa c’è dietro di noi? Noi non lo possiamo sapere, ma temiamo che dietro, sotto ci sia sempre qualcosa. Il gesto del repentino voltarsi indietro spalanca l’abisso.
È un capovolgimento del mondo.
“Lo hidebehind sta sempre dietro qualcosa. Per quanto uno si giri, se lo ritrova immancabilmente alle spalle; per questo nessuno l’ha visto”, ma molti lo temono. (Borges, Il libro degli esseri immaginari. Si tratta di animali fantastici: fenice, sirene, arpie, centauri, chimere, ippogrifi, unicorni, ecc., tratti da svariate mitologie).
Certe esperienze possono cambiare la vita. Dopo l’esperienza dell’hidebehind, la vita non è più come prima, niente è più come prima. L’esperienza è stata così incredibile, strana, spaventosa, che non può essere comunicata, altrimenti non saremmo creduti.
Orrore metafisico, angoscia, il mostruoso che si cela dietro, sotto, magari proprio dentro di noi che viene estroflesso e ci guarda in faccia per un istante. Dopo di esso la realtà diventa inganno, messa in scena, film. E noi siamo diventati i portatori di un segreto indicibile.
In un’altra poesia Montale scrive:
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
È l’ombra? Quella buia e vuota forma che ci insegue il segreto, il mistero? La forma del nostro corpo, fuori del nostro corpo, un’altra parte di noi.
E se questo negativo di noi, questo non, fosse proprio la nostra ombra, la nostra forma, magari anche l’altro noi di fronte a noi, la nostra immagine allo specchio?
***
Indovinello veronese
se pareba boves spingeva davanti a sé i buoi (le dita)
alba pratalia araba arava bianchi prati (le pagine bianche)
albo versorio teneba teneva un bianco aratro (la penna d’oca)
negro semen seminaba seminava un nero seme (l’inchiostro)
In Ripetizione (p.33) Cattafi scrive:
Questo piano scalfiscilo a fondo
e quando fuori
nel mondo passano gli eserciti
e ad ali spiegate giunge
la fresca pioggia di primavera
ripassa l’unghia nello stesso solco
come se fosse una nera terra di pianura
da amare e arare
in un unico solco
ripassa l’unghia
fino ed oltre un punto
erroneamente detto di rottura.
I cicli ameni della natura e tragici della storia rinnovano la scrittura, gesto fedele e infido d’amore e di oltraggio, che risale all’età delle caverne (Pittura rupestre, p.82):
Non sono ancora nato
incubato in caverna dipingo
scene di caccia
di guerra soprattutto
segno fresco e preciso
che viene fuori guizzando da un sangue fresco
segno preciso
come ossa tarso
perone metatarso
pezzi di calcio apparsi già spolpati.
***
La poesia come sguardo.
Foglio bianco
come la cornea d’un occhio.
Io m’appresto a ricamarvi
un’iride e nell’iride incidere
il profondo gorgo della retina.
Lo sguardo allora
germinerà dalla pagina
e s’aprirà una vertigine
in questo quadernetto giallo.
Valerio Magrelli, (Ora serrata retinae, Feltrinelli, Milano 1980, p.49).
Cornea, iride, retina: tre membrane fondamentali dell’occhio. Il foglio è la cornea, la membrana bianca.
L’iride è la parte colorata dell’occhio, da Iris, la dea dell’arcobaleno. La retina è la parte su cui si forma l’immagine.
Iride e retina sono la scrittura. La scrittura è ricamo che traccia uno sguardo, un occhio che ci guarda. Mentre lo osserviamo ci osserva. Questa reciprocità simultanea genera una vertigine. La pagina non è un supporto inerte, neutro, ma una matrice fertile. Una superficie visiva a cui affiora il mondo e da cui il mondo si spalanca per osservarci. La scrittura è ricamo, incisione, ferita che spalanca lo sguardo, che sale a noi come un gorgo in cui scendiamo. Questo gorgo provoca vertigine.
Occhio, gorgo, ferita, come riflesso che illumina il fondale del letto di un fiume: p.37
La mano diventa pupilla nel teatro metafisico del letto, nelle regioni del sonno: p.38
La rotazione della luce: un silenzioso orto degli sguardi, p.39.
Il cervello è il cuore delle immagini: p.41.
Lo sguardo è un travaso che porta l’essere a se stesso: p.43.
Le righe della scrittura come sbarre di una prigione: p.50.