Il J’accuse di Adam Vaccaro – Francesco De Napoli

Pubblicato il 13 marzo 2025 su Saggi Poesia da Adam Vaccaro

Un’analisi profonda del poeta e saggista, Francesco De Napoli, animatore culturale di Cassino e del Basso Lazio, che – attraverso la lettura degli ultimi libri: Google il nome di Dio e Trasmutazioni – ricolloca nell’ambito storico-sociale degli ultimi decenni l’azione poetica e critica di Adam Vaccaro.

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IL SOFFERTO J’ACCUSE DI ADAM VACCARO
IN UN MONDO DI PERVERSI ANTROPOIDI

Francesco De Napoli

I PARTE

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IL QUADRO GENERALE AGLI ALBORI DEL TERZO MILLENNIO

In Italia e, contestualmente, in altri Paesi del mondo, tutto ebbe inizio negli anni in cui fu liquidata, con un colpo di spugna, la Prima Repubblica. A ragion veduta, è da credere che sia esistito davvero, e che esista tuttora, una sorta di “complotto globale” – magari scalcinato ma abbastanza funzionale allo scopo, come nelle vignette di Sturmtruppen di Bonvi – pilotato dai poteri occulti del Pentagono e di altre lobby sommerse degli Stati Uniti. Nel 1989 Achille Occhetto e Giorgio Napolitano compirono uno stranissimo – anzi misterioso – viaggio a Washington, dove furono ricevuti in separata sede dapprima dal miliardario Edgar Bronfman capo del Congresso Ebraico Mondiale, quindi da Henry Kissinger e infine addirittura da David Rockefeller. Qualche mese dopo il PCI fu sciolto.
La nuova “sinistra” nata dalle ceneri del PCI cancellò istantaneamente qualsiasi traccia del proprio passato marxista e gramsciano, per abbracciare una politica gradita alle spudorate tecnocrazie che già allora imperversavano in Occidente e nell’Unione Europea. In Italia Veltroni, D’Alema e Bersani appoggiarono senza pensarci due volte dei governi liberal-conservatori come quelli di Ciampi, Dini, Prodi, Monti, Letta, Draghi e altri. La motivazione ufficiale era contrastare l’oligarca e imprenditore Silvio Berlusconi, ma in realtà gli esecutivi di cui fece parte il neonato Partito Democratico della Sinistra erano tutti di tendenze moderate e centriste, tant’è che la maggior parte delle privatizzazioni fu realizzata dai governi presieduti da Romano Prodi.
Con la fine della Repubblica fondata dai Padri Costituenti era comparsa all’orizzonte l’ombra funesta del padrino/predone Berlusconi affiliato alla P2 e in odore di mafia, forte d’uno smisurato potere mediatico capace di oscurare senza pietà le altre emittenti televisive. Il crollo, più che politico, fu pertanto di tipo socio-culturale. Venne stravolta e soffocata sotto montagne di falsità e denigrazioni la letteratura dell’“impegno” che era stata il cavallo di battaglia degli eredi di Antonio Gramsci e che aveva contribuito a formare una coscienza di classe tra i lavoratori. Furono tacitamente messi all’indice i grandi capolavori del cinema neorealista e di protesta – pensiamo a maestri come Francesco Rosi, Elio Petri, Giuliano Montaldo, Pier Paolo Pasolini, Damiano Damiani -, che dal dopoguerra in poi avevano educato intere generazioni ai valori della giustizia, della fratellanza e dell’uguaglianza.
Anche “Tangentopoli” fu un pretesto per fare piazza pulita dei personaggi scomodi che, in un modo o nell’altro, si riallacciavano agli ideali dell’antifascismo e della Resistenza. Basta pensare che il bottino complessivo accumulato dai ladroni di “Tangentopoli” non superò i due miliardi di lire (circa un milione di euro), mentre oggi vengono rubati – tra appalti pilotati e finanziamenti occulti – ogni giorno decine di milioni di euro senza che nessuno faccia obiezione.
I magnati mondiali dell’alta finanza – con il tacito assenso di politici compiacenti e corrotti – avevano iniziato già da tempo a parlare in pubblico, sempre più diffusamente, della necessità di un “nuovo ordine mondiale”, per giungere al quale il primo passo da compiere era riconoscere e accettare la totale “globalizzazione” dei mercati. Con lo scioglimento dell’Unione Sovietica era finita la “guerra fredda”, e in molti Paesi – ivi compresa la Russia – avevano preso piede nuove forme di nazionalismo reazionario tutte collegate, in un modo o nell’altro, con la piovra capitalistica dell’Occidente. Perfino la Cina, che ufficialmente esalta ancora il Partito Comunista, è parte integrante non soltanto dei mercati e dei commerci mondiali, ma della stessa catena di produzione di beni di consumo commissionati dai grandi marchi degli Stati Uniti e d’Europa. La logica degli scambi finanziari impose di realizzare delle tacite alleanze sovranazionali che garantissero e rafforzassero equilibri affidabili sia per la Borsa che per i vari “sovranismi”, vista la loro multiforme e instabile consistenza. I Paesi rimasti fuori da queste coalizioni furono destinati all’isolamento e a un inesorabile declino. Da tutto ciò nacque una “piovra” dai mille tentacoli al servizio del Dio danaro, un mostro gigantesco più attivo e possente che mai.
Oggi in Occidente le istituzioni parlamentari sono degenerate al punto da somigliare sempre più ai regimi totalitari sudamericani: sono finte democrazie che non interpretano più i bisogni della collettività, bensì si prefiggono di tutelare sfacciatamente gli interessi dei “poteri forti”: banche, lobby, alta finanza, mafie, imperi mediatici.
C’è da dire che già agli inizi del Novecento aveva cominciato a diffondersi tra gli uomini di cultura più sensibili e attenti la netta sensazione che qualcosa di molto pericoloso e opprimente stesse per verificarsi. Nel mondo soffiavano i venti di guerra di ben due conflitti mondiali, ma c’era dell’altro. L’allettante prospettiva d’un “nuovo ordine mondiale” era alimentata dalle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche, che invogliavano le masse a idolatrare l’aura fascinosa dei maggiori luminari della tecnologia e della scienza, descritti come Superuomini di nietzschiana memoria. Nello stesso tempo, si andava radicando tra i lavoratori la perdita d’una propria “identità di classe” che induceva ad approvare le regole e i metodi del corporativismo fascista e nazista, laddove covava il delirante germe del disprezzo nei confronti dell’uomo della strada considerato alla stregua d’un miserabile granello di sabbia in balia degli eventi.
Quel nichilistico clima di follia collettiva aveva ispirato già sul finire dell’Ottocento non pochi saggi e romanzi di fantapolitica e di fantascienza, volti a ritrarre realtà distopiche in contesti sempre più inquietanti. Quel filone si arricchì nel secolo successivo di opere ancora più ardite e coinvolgenti. Ne cito alcune tra le più significative:
“Guardando indietro 2000-1887”, di Edward Bellamy, un successo mondiale edito nel 1888, che Erich Fromm definì “uno dei più importanti libri mai pubblicati in America”; “Il tallone di ferro” (1908), di Jack London; “Noi”, di Evgenij I. Zamjatin, scritto tra il 1919 e il 1921 e pubblicato postumo in Russia nel 1988; “Cuore di cane” e “Uova fatali” (entrambi del 1925), di Michail A. Bulgakov; “Il mondo nuovo” (1932) di Aldous Huxley; “La vita è nostra” (1938) di Ayn Rand; “1984” (1949) di George Orwell; “Fahrenheit 451” (1953) di Ray Bradbury; “Il complotto contro l’America” (2004) di Philip Roth. In Italia furono pubblicati dossier romanzati come “Petrolio” di Pier Paolo Pasolini, scritto tra il 1972 e il 1975 e pubblicato postumo, incompiuto, nel 1992. Né vanno dimenticati i tanti romanzi di Leonardo Sciascia sulle collusioni tra mafia, politica, finanza e spionaggio internazionale, come il superlativo “L’affaire Moro” (1978). Questo perché i grandi capolavori del pensiero posseggono una spiccata valenza premonitrice, in grado di prefigurare eventi futuri a lunghissimo termine.

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L’IMPEGNO CORAGGIOSO E CONTROCORRENTE DI ADAM VACCARO IN “GOOGLE – IL NOME DI DIO IN QUATTRO QUARTI DI CUORE”

Il sapere umanistico, che risponde alle ragioni dell’impegno politico, civile e sociale, oggi può considerarsi morto e sepolto. I pochi poeti, scrittori e artisti che ancora cercano di far sentire il loro disperato j’accuse vengono messi immediatamente a tacere, emarginati e inseriti in apposite “liste di proscrizione”.
Adam Vaccaro è una delle ultime meteore ancora capaci di illuminare contesti sempre più foschi e allarmanti. In molti suoi scritti precedenti, in versi e in prosa, Vaccaro aveva coraggiosamente manifestato più volte la propria malcelata insofferenza di fronte ai diabolici meccanismi di controllo subliminale del pensiero in atto ormai da decenni, cercando di squarciare il velo dei “giochi globali” – è il titolo di una sua recente poesia –, che avvolgono l’umanità nella morsa ferale a cui tutti siamo asserviti, psicologicamente dominati e soggiogati.
Nella recente raccolta poetica Google – Il nome di Dio in quattro quarti di cuore (2021) Adam Vaccaro si addentra nell’agghiacciante post-modernità con il piglio temerario di un ricercatore e soprattutto di uno spregiudicato pioniere. Lo stesso Vaccaro, in una Nota posta a chiusura del volume, spiega le ragioni profonde di tale implacabile “missione”, facendo leva sull’arma della poesia civile come inattaccabile strumento di analisi e di studio:
“(…) Cosa e come può riguardare questa matassa di complessità interdisciplinare, il poièin e la poesia? Ai cultori di una poesia come mondo a parte non interessa alcunché. Ma per chi come me intende la poesia come parte del mondo, lo scenario contemporaneo continua a essere fonte e co-autore delle sue forme.”
La limpida e stringente capacità di sintesi manifestata in queste rapide battute esprime tutto l’impegno dell’autore, la sua ferma volontà di incidere sul reale, di lanciare un segnale anche se si tratta di muoversi in un mondo nebuloso e alienato.
Questa riflessione obbliga ad aprire una rapida ma pesante digressione. La poesia odierna si presenta sempre più vuota, cifrata, insignificante, in definitiva demenziale. Molti poeti di oggi – anche tra i maggiori – si autoflagellano sproloquiando accademicamente attraverso monologhi autoreferenziali privi di senso, come se stessero distesi sul lettino d’uno psicanalista. I più bravi non sanno far altro che scimmiottare un indecifrabile “male di vivere” di ascendenza montaliana, sciroppato in tutte le salse ma sempre in maniera estremamente egocentrica, come se la vita e il mondo iniziassero e finissero con l’esistenza della loro voce poetante. Conoscendo questi poeti, vedo che essi sono soliti frequentare bar, ristoranti, feste da ballo, e poi viaggiare e girare il mondo… È la tipica insoddisfazione consumistica piccolo-borghese di chi, pur vivendo a sazietà, nega il valore della vita.
Quali le cause di questo egocentrismo così esasperato? Ogni manifestazione epocale è sempre riconducibile a un determinato contesto sociale. La cancellazione del patrimonio di ideali della sinistra, che erano profondamente comunitari, ha esacerbato l’individualismo, l’esibizionismo, l’edonismo, la lascivia. È un arrivismo sfrenato basato sullo spirito di emulazione inculcato selvaggiamente dai media.
In Google – Il nome di Dio svetta una poesia tanto semplice quanto significativa, intitolata “Narciso abisso”. Sono versi crudi e taglienti, quasi epigrammatici. Vaccaro si rivolge impietosamente a uno dei tanti “narcisi” del nostro tempo, probabilmente un tipico giovinastro vanesio per imputargli un preciso atto d’accusa: “Ma proprio tu Narciso pregno e/ adorno di fiori e sassi non riesci/ a riempire il secchio del tempo (…)”.
I “Quattro quarti di cuore” del titolo corrispondono alle quattro Sezioni in cui è divisa la silloge: Cuore nero, Cuore viola, Cuore rosso, Cuore bianco. Sono quattro quarti di cuore che fanno pensare alle quattro fasi lunari: ormai il muscolo cardiaco dell’uomo è diventato arido e devastato come il suolo lunare di fronte al quale s’affaccia l’“abisso orrido, immenso” della Terra, come cantò Giacomo Leopardi.
“Google” è il nuovo nome di Yahweh. È lui il Dio del nostro tempo, non soltanto virtuale (o spirituale che dir si voglia), ma principalmente concreto, cioè reale: assai più del Padreterno glorificato nella Bibbia, Google è onnipresente, onnisciente, onnipotente. Google è un Dio loquace: risponde, spiega, si fa capire. È lui che parla nella lirica che dà il titolo al volume: “Venite a me, fanciulli, datemi le/ vostre parole, i vostri segreti/ i vostri cuori (…)”. Come tutte le divinità sa essere anche capriccioso e sfuggente, gli piace essere supplicato come un patrigno crudele. Si veda la successiva lirica “Qui e ora”: “Ascolta Google, dove sei? Sono qui/ sulla coda di una fila chilometro zero/ davanti a questa porta con targa che/ ci dona il Pane quotidiano (…)”.
Nell’attenta e approfondita Prefazione Massimo Pamio evidenzia le macroscopiche e disumane deformazioni dell’attuale sistema planetario, in cui “le varie comunità sono numeri dispersi e frammentati, gettati in periferie orribili, (…) sottoposte a guerre, fame, pesti, o anche composte di piccole unità, di figure solitarie in città dove svettano, in alto, nel cielo, grattacieli mostruosi, e in basso, in terra, non-luoghi nei quali si accede solo grazie al riconoscimento facciale o dell’iride, al controllo del metal detector, a pass sofisticati, a parole d’ordine (…)”.
Sono sistematiche spartizioni del mondo tra le superpotenze che stanno anticipando la conclamata militarizzazione di intere nazioni e continenti, presentate come una pacifica “normalizzazione” dei rapporti per contrastare la minaccia del terrorismo e delle migrazioni di massa, che in realtà sono causate dai tanti conflitti armati voluti dallo stesso colonialismo che ha ridotto in polvere e in cenere intere aree del pianeta.
È quanto denunciato aspramente da Adam Vaccaro nella satira di “Come giocare”: “Come giocare il nostro destino sulla faccia / sorridente e rubiconda di maiali che grufolando / ci succhiano la pelle e l’anima mentre spacciano/ tonnellate d’armi e milioni di giochi, pastiglie, fumi // tra fiumi di parole puttane che tronfie danno / del cretino a chi azzarda ancora un’obiezione / un’ipotesi del pensiero folle di un mondo umano/ irridendo dal loro mondo-lardo: ma dove vivi? “.
Nella Postfazione John Picchione ferma l’attenzione con estremo rigore su ciò che definisce “narcotizzazione tecnologica”. Entriamo così nel campo minato della A.I. (Artificial Intelligence), che già lo scienziato Stephen Hawking aveva definito “una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità”. Difficile esprimere con maggior esattezza quanto denunciato da Picchione. Per questo mi limiterò a riprendere un passaggio della sua Postfazione:
“Le nuove tecnologie, come aveva abilmente teorizzato McLuhan, modellano la psiche come l’alfabeto ha plasmato quella del passato. Le tecnologie sono interiorizzate, fondano la realtà in cui siamo storicamente situati, riconfigurano i nostri neuroni, le attività cognitive e intellettive, fino a spingersi nelle zone più recondite dell’inconscio e del desiderio. L’assenza di sicurezza e tranquillità nell’ambito sociale è ora disfatta dalla tecnologia che la evapora con il sonno della coscienza. (…) Le strategie di persuasione e le manipolazioni cognitive ed etiche, insieme alla narcotizzazione tecnologica, sono inserite nell’ambito dei rapporti mercantili che guidano la logica del capitale e costituiscono la base strutturante delle identità e delle versioni del mondo.”.
È quanto registra fedelmente Adam Vaccaro nella poesia “Il tempo dei cretini”: “Ora è il tempo degli intelligenti cretini/ che credono di sapere capire mentre/ seguono pifferai e prediche crocifisse/ ridotti a ciottoli di fiume che si fanno/ condurre dove nessuno sa come finirà.”.
La silloge si chiude con un gioiello di genuina poesia: “Perfezioni dell’imperfezione”. L’autore si rivolge a una non meglio identificata “amica” che potrebbe essere la poesia, la verità o la vita stessa. È un’amica “crudele” e “amorosa”, la quale senza requie passa e ripassa al setaccio “tra silenzi bloccati e troppe parole/ le sconfitte brucianti e ancora urlanti” del poeta. È un’amica la cui “carta vetrata traslucida/ l’anima”, ed allora Vaccaro rivendica il significato profondo della propria “preziosa imperfezione” di fronte all’immagine d’una “piccola lepre” (la sempre sfuggente ispirazione poetica?) che insegue “l’altro/ mezzo mondo di perfezioni”.

Francesco De Napoli
Cervaro, marzo 2025.

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