Alessandro Cabianca e Matteo Segafredo, Armonie d’insieme, Musica e poesia dal mito al ‘900. Modelli e aspetti di un connubio espressivo, Cleup, Padova 2009
Quale il posto della parola e del verso nella creazione musicale nella sua evoluzione attraverso i secoli?
Solitamente si parla di storia della musica, approfondendo l’analisi delle forme musicali quasi che la funzione della parola all’interno delle composizioni ne fosse una componente gregaria, quindi subalterna e poco importante. Invece la parola, interagendo con la musica, si è fatta vera e propria poesia e in quanto tale degna di una storia sua propria a partire dalle forme musicali dei primordi, attraverso il canto monodico oppure quello polifonico.
Armonie d’insieme è un manuale che costituisce una preziosa novità in questo senso, intendendo analizzare la potenza espressiva che sempre si è sprigionata dal “connubio” di musica e poesia col delinearne la storia attraverso le trasformazioni verificatesi a partire dalle forme arcaiche legate al mito antico.
Nei primi capitoli, estremamente affascinanti perché si riferiscono a epoche remote e non facilmente conosciute a livello di massa, gli Autori indicano fin dall’Antica Grecia l’abbinamento di parola e musica come creazione artistica ed espressione di sentimenti basata su di un elemento comune, il ritmo. Questa affinità strutturale fa sì che poesia e musica si rivelino un intreccio fondamentale e inscindibile, come già dimostrava il bellissimo e illuminante saggio di Nietzsche, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, riguardo al ruolo del coro nella tragedia greca.
Parole e frasi ripetute insistentemente come formule magiche, incomprensibili ma di grande impatto emotivo sugli astanti, avevano ed hanno ancor oggi il potere di avvicinare l’uomo al sublime – categoria riscoperta con grande clamore in epoca pre-romantica – ovvero, per meglio dire, al divino.
Come è noto, la musica da sempre ha accompagnato e scandito la giornata di lavoro, aiutando la cadenza del movimento anche mediante forme dialogiche – come nei ditirambi delle feste in onore di Bacco – e stabilendo un collegamento con la divinità attraverso il sacerdote.
Fin dai tempi pre-omerici di notevole importanza è stato l’apporto cognitivo derivante dalla trasmissione orale della storia del popolo e delle gesta eroiche cantate dall’aedo, seppure fin da allora anche la lirica avesse un proprio ruolo come espressione intima e personale nel canto monodico accompagnato da uno strumento nelle feste e nei simposi.
Quando nel Medio Evo il legame con la religione si fa più stretto, benché parallelamente si riconosca pari dignità alla musica profana su composizioni d’evasione a volte di contenuto scurrile, l’evoluzione del testo scandito o cantato assume aspetti di grande suggestione. Le riforme a livello di scrittura musicale e di ruolo del canto che si susseguono nelle chiese e in particolare nelle corti rinascimentali rivelano lo stretto vincolo con la poesia, non potendo prescindere dai versi del Petrarca e poi, qualche secolo più avanti, dal rilevante apporto innovativo del Metastasio. Endecasillabi alternati a settenari divengono, in quest’ultimo caso, la base lirico-melodica del nuovo melodramma. Personalità letterarie, come Giovan Battista Marino, Goldoni e Molière si affiancano ad altre che ben meritano un riconoscimento all’interno della storia della poesia, come Lorenzo Da Ponte, librettista delle opere italiane di Mozart.
In tutta Europa musica e poesia invadono la vita spirituale e i momenti d’evasione del popolo e delle corti. Aprendo alla modernità e agli esperimenti più arditi a noi vicini, gli esempi illustrati dagli Autori pongono in primo piano l’imprescindibile e mirabile connubio che tutti conosciamo, ossia la fusione ritmica del verso con la musica .
Laura Cantelmo
Bella recensione, chiarissima. Che con l’opera di cui parla apre a chi scrive oggi una serie di frustranti interrogativi su come riscattare la parola da quella posizione gregaria… Saluti a tutti, Antonella