In altre parole, un percorso a ritroso

Pubblicato il 18 novembre 2008 su Resoconti Esperienze da redazione

In altre parole, un percorso a ritroso.

Diario minimo di una settimana a San Francisco per il festival di poesia Other Words

Fabiano Alborghetti

CITY LIGHTS – Sunday, October 12, 5pm

“Siamo nel Tempio. Poco prima eravamo al Caffè Trieste dov’ero due giorni fa con Jack Hirschmann e Aggie. Adesso siamo nel Tempio. Prima, fuori, abbiamo fatto discretamente delle foto, ci siamo guardati increduli. Ora siamo dentro, siamo seduti e abbiamo di fronte la sala che tracima di gente: seduta, in piedi, ai lati, sulla scala. Con questa lettura si chiude la settimana americana. Qualcuno resterà: Michel Abdolahi e Sulaiman Masomi che rappresentano la Germania hanno altre letture organizzate dal Goethe Institute. La poetessa Ingvild Burkey -che rappresenta le Norvegia- si sposterà a New York per una settimana “da turista” anche se è mezza americana. Il poeta Cino-Svedese Li Li resterà ospite del Consolato di Svezia e Michel Espitallier arriva per la lettura apposta dalla Francia ed è atterrato due ora fa. Per lui il ciclo di letture e conferenza inizia oggi. Io avrei dovuto restare come chiesto dal Consolato Svizzero e dall’Istituto Italiano di Cultura ma devo rientrare forzatamente: ho appena cambiato luogo di lavoro, non ho altri giorni di ferie.

Alle 17.00 si inizia. L’attaché culturale del Consolato Svizzero, Martin, fa da patron-de-maison guidando lo svolgimento della serata. Leggiamo dapprima nella nostra lingua e successivamente in inglese: la gente segue ogni parola e non fa caso a certe incertezze nella loro lingua, la gente ascolta ed è aldilà delle incertezze della lingua. Siamo tutti in un luogo e in linguaggio comune.

MARSH CAFÉ’ – Saturday, October 11, 8:30 – 9:30pm

Stò leggendo da quattro, forse cinque minuti. Scandisco le parole, dò peso ad ogni parola e a tratti alzo gli occhi e guardo la gente attorno al palchetto, cerco di capire se capiscono. Sono a metà del tempo che mi è concesso e questa è la lettura più breve dell’intero programma, ma tanto è breve quanto è importante: con questa lettura, i poeti invitati per il festival internazionale Other Words aprono ufficialmente il festival Litquake di San Francisco. Abbasso lo sguardo sul foglio, leggo altre tre poesie e terminata la lettura faccio un passo indietro abbassando i fogli che ho in mano. E’ il segnale per comunicare che ho finito. Riporto lo sguardo sul pubblico, saranno circa cento, centoventi persone sedute ovunque, occupando ogni singolo spazio del locale. Parte un applauso lunghissimo, alcuni si alzano in piedi. Dobbiamo leggere nella nostra lingua – per me l’italiano- . Hanno ascoltato il suono della poesia. Anche avendo in mano il libretto di sala con le traduzioni, hanno solamente ascoltato.

Penso che avrei potuto leggere l’elenco del telefono e sarebbe stato uguale. Sorrido mentre scendo dal palchetto per lasciare spazio al poeta seguente e ritorno caracollando alla mia sedia, poggiando il piede là dove il pavimento non è coperto di persone, sedute, accampate, presenti. Quando mi siedo e il nuovo poeta inizia a leggere nella propria lingua, qualcuno dal pubblico si volta all’indietro e sorridendomi mi fa il segno col pollice alzato: ok, bravo.No, non sarebbe stato uguale leggere l’elenco del telefono.

Loro, tutti loro, sono qui per la poesia.

SAN FRANCISCO STATE UNIVERSITY – Friday, October 10, 2pm

Tra le decine di persone, sono due quelle che mi fermano più a lungo delle altre per parlare, anche loro americane: vogliono sapere dell’esperienza fatta coi clandestini, della composizione del libro, di qualche particolare magari sfuggito durante la conferenza. Una parla un italiano quasi perfetto, arrotando appena la erre; l’altra ha una conoscenza abbozzata della lingua. La prima aiuta la seconda a capire quando sfugge un concetto, anche se parlo lentamente e usando parole mai complesse apposta per farmi capire. Hanno preso degli appunti, chiedono dove comprare il libro e la seconda dice che va bene anche se è in italiano perché cercherà poi di tradurlo parola dopo parola. Vollio cà-ppire dice e sorride. Hanno entrambe –oltre al libretto di sala con le traduzioni ufficiali- anche delle mie poesie stampate da internet, cercate apposta. I fogli sono fitti di annotazioni, traduzioni a lato delle parole.

Onestamente sono commosso. Non me lo aspettavo. Per capire hanno forse fatto la stessa fatica che ho fatto io per scriverle e lo dico. La seconda, quella che parla italiano meno bene, mi prende le mani, me le stringe forti e ribatte: fatica non può più grande che del poeta che ha scritto.

POETRY CENTER & AMERICAN POETRY ARCHIVES – Friday, October 10, 7:30 pm

La lettura è appena finita, il cameramen sta smontando le apparecchiature e il pubblico è sparpagliato e parla coi poeti ospiti. Qualcuno è all’aperto, nel cortile interno, a fumare. Sono le 23 ed hanno proposto di andare in un Pub di cui non so il nome a mangiare e bere.

Si aggrega anche il cameraman, che poi scoprirò conoscere molto bene Ferruccio Brugnaro: l’ha incontrato l’anno scorso e lo rivedrà entro qualche mese. Lasciamo l’enorme sala ed uscendo avvertiamo il cambio di temperatura. Duecento persone sedute scaldano l’ambiente e non è solo una questione di gradi centigradi mi dice Michel, il poeta tedesco. Hai visto le ragazze che piangevano? mi chiede. Si, le ho viste, gli rispondo. Piangevano per te, mi dice, una viene da Lugano e parla la tua lingua. Piangevano perché hanno sentito la propria lingua gli chiedo? No, piangevano perché hanno vissuto la tua poesia. La prima è come noi nella vita di tutti i giorni dice Michel, ospite di un paese cui non appartiene davvero e troppo lontana dalle proprie radici. L’altra è Jugoslava, ha vissuto la guerra: per lei la tua poesia è stata la sua vita prima.

ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA – Tuesday, October, 8, 6:30pm

Sono il rappresentate italiano per la “Settimana della lingua italiana” a San Francisco. Arrivo in anticipo all’Istituto Italiano della Cultura e mi fermo in un bar all’angolo per bere qualcosa aspettando l’ora giusta e all’ora giusta raggiungo i locali dell’Istituto Italiano di Cultura, o IIC come lo viene abbreviato. Mi viene incontro la segretaria americana che parla un italiano stupefacente che chiama la responsabile dell’IIC. Ovunque libri italiani tradotti in inglese, poster di film o locandine di rassegne che l’IIC ha curato cosi come le pubblicazioni che hanno approntato apposta per il festival di poesia, belle, eleganti.

Mi aspettavo di parlare con una persona -di cui avevo il nome imparato a memoria- e me ne trovo davanti un’altra. E’ la nuova responsabile, l’altra è stata trasferita. Parliamo di questo e quello, le consegno una copia del mio libro che autografo a suo nome, mi spiega di come si stava a New York e di come sia bello ritornare a SanFra dopo cosi tanti anni. Mi dice che il festival internazionale di poesia Other Words l’ha creato lei, nel ’99. Potrei stare ad ascoltarla per ore: è intelligente, viva, umana e assolutamente sorprendente ed ironica. Persone cosi se ne incontrano poche, penso. Poco dopo arrivano il Console Generale di Svizzera e il suo Vice Console. Cariche importanti. Pubblico d’elite. Speriamo dice lei, che venga gente, abbiamo spedito la newsletter, abbiamo fatto le pubblicazioni, ma con il pubblico non si può mai sapere.

E’ tempo di iniziare e la lettura avviene in una sala bellissima e semi vuota. Avendo pubblico quasi esclusivamente americano, tutta la conferenza avviene in inglese. Solo i testi li leggo prima nella mia lingua madre e dopo in traduzione e in inglese leggo bene: mi sono esercitato. L’attenzione è alta, davvero alta e solo con l’aperitivo al buffet, fuori dalla sala conferenze, la tensione data dai testi piano piano cala. Ognuno ci tiene a esprimere un suo piccolo commento, un’annotazione, qualcuno chiede di più: parla, confronta. Anche il cameriere americano viene a complimentarsi: discretamente ha ascoltato da dietro una porta nell’attesa di iniziare il rinfresco, ha davvero ascoltato e non per obbligo.

Mi viene incontro la meravigliosa responsabile dell’ICC che mi abbraccia felice e subito si scusa per la mancanza di pubblico. Con il pubblico non si può mai sapere ripete. E’ davvero dispiaciuta. Io vorrei dirgli di cosa accade normalmente in Italia: alle letture, alle presentazioni. E’ un pubblico imprevedibile ripete la responsabile dell’IIC e quell’accento messo su pubblico non vuole dire qualcos’altro, vuole proprio dire gli italiani.

Mi verso dell’altro vino mentre non dico che per gli italiani davvero tutto mondo è paese.

E certe abitudini non vanno mai perse….

Fabiano Alborghetti

Fabiano Alborghetti nasce a Milano nel 1970, vive a Paradiso (Lugano). Ha pubblicato Verso Buda (Faloppio, LietoColle, 2004) e L’opposta riva (ibid, 2006) e le plaquette d’arte lugano paradiso (Osnago, Pulcinoelefante, 2008) e Ruota degli esposti (Mendrisio, edizioni fuoridalcoro, 2008).

Ha curato i volumi Corale (Sasso Marconi, Le Voci Della Luna editore, 2007) e con Giampiero Neri Il Segreto delle fragole 2008 (Faloppio, LietoColle, 2008).

Oltre ad essere stato tradotto per rivista in spagnolo, francese, tedesco, arabo ed inglese, suoi testi sono inseriti in una moltitudine di antologie. Scrive di critica letteraria per riviste e sul Web, è drammaturgo teatrale. E’ consulente editoriale per diverse case editrici, nel comitato di redazione della Edizioni Kolibris e direttore della collana Free Press per Le Voci della Luna Editore.

Nel 2008 ha rappresentato l’Italia all’ VIII settimana della lingua italiana nel mondo su invito dell’Istituto Italiano di Cultura e la Svizzera all’Internation Poetry Festival Other Words su invito del Consolato Generale di Svizzera, a San Francisco. Nel 2009 è confermata l’uscita del nuovo libro, Registro dei fragili per Casagrande Editore (Bellinzona).E’ membro di Milanocosa dal 2003.

3 comments

  1. Antonio Missanelli ha detto:

    Non credo che l’accento su “stò” e “stà” possa essere considerato una licenza poetica. Lo voglio ritenere un benevolo refuso. Cordialità.
    Pax, shalom, salam (et bonum)

  2. Adam ha detto:

    Certo, non è una licenza poetica ma un refuso, sfuggito all’autore e alla redazione. Rettificato, grazie.

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