Inoltriamo grati questa recensione di Massimo Pamio dell’Antologia curata da Gabriella Galzio, NELL’ORO DELLA QUERCIA, frutto di un percorso collettivo di circa tre anni di scambi tra Voci e Autori nel “Salotto” Galzio, che la Curatrice ha cucito e reso tela unica.
Ne emerge una sorta di Arazzo, intessuto nell’Oro della Quercia, simbolo di vita resistente quale offerto dalla plurisecolare quercia che troneggia al centro della Piazza 24 Maggio del Ticinese, quartiere milanese dell’appartamento che ha ospitato la serie di incontri.
Adam Vaccaro
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UN’ANTOLOGIA DA NON PERDERE
di Massimo Pamio
L’articolo è pubblicato su MALACODA.IT – Anno VIII – Numero 3/2022
https://quixotewebmaster.wixsite.com/website-1/copia-di-un-antologia-da-non-perdere
Qualcuno deve aver tramato alle mie spalle nel farmi recapitare un’antologia di testi raccolti da Gabriella Galzio in “Nell’oro della quercia. Incontro tra autori” pubblicato da puntoacapoeditrice nel maggio del 2022, composto di ben 312 pagine, dove confluiscono i contributi di scrittori, poeti e saggisti molto differenti tra di loro per interessi, stile, ispirazione, conoscenze: da Azzola a Zanini, ventisette voci tese a un attento ascolto da parte mia che, nominato direttore artistico di una galleria la cui inaugurazione è prevista a breve e il cui programma biennale deve essere da me programmato, proprio in questi giorni eletto direttore della sezione di Chieti di Italia Nostra, nonché resomi promotore di alcune iniziative culturali quali Il Museo Viaggiante, mostra itinerante di lettere d’Amore e di opere d’arte di note artiste italiane, da Babini a Sforni, con il patrocinio del Museo della Lettera d’Amore d’Abruzzo, ho reagito con misurata pacatezza al susseguirsi tempestoso degli incarichi e degli impegni, esibendo una pericolosa studentesca incoscienza prima degli esami.
Senonché, appressatomi con sgomenta diffidenza e perplessità al libro, mi sono sentito in sintonia cosmico-naturalistica con il testo introduttivo di Gabriella Galzio che definisce “galeotta” la quercia dal fogliame d’oro pronta a violare il salotto di casa, di cui colma il quadro della finestra: ed è quel che mi accade personalmente ogni giorno, grazie a un paesaggio incantevole visibile dal balcone di casa, a cui accenno, fra l’altro, in Verbario dell’amor domestico, sezione di un mio libro di poesia, Nell’appartamento confuso dei giorni. Una coincidenza significativa che, rompendo ogni limite o distanza, ha stabilito immediatamente un ponte, un arco voltaico, tra me e la curatrice dell’opera.
Lo sbalordimento è stato il primo sentimento di fronte alla lettura di questa antologia che coniuga vita e poesia in modo indissolubile, e racconta di un sodalizio umano prima che poetico, di un cenacolo in cui la poesia sembra il pane quotidiano che si spezza insieme e si consuma, e rivela un sentimento comune espresso nei confronti della vita; questo libro è un’appassionata testimonianza, un’alta espressione dell’umano, non solo del letterario. Alla fine della lettura ho esclamato tra me e me: – Ecce homo!, con orgoglio e sentimento di appartenenza. Perché dopo la lettura di questa antologia viene di sentirti di appartenere in qualche modo a loro, e se non è così, non sei né poeta né dignitosamente e umilmente uomo, cioè bhuman, creatura, ciò che Varrone faceva derivare da humus, terra; altresì sbalordito per l’acribia critica della Galzio, studiosa e poetessa di grande valore, se prima di ogni altro, privilegia lo studio formale, ovvero l’analisi del metro, la musicalità della composizione: “ciò che fa la differenza è la musica”, scrive nell’introduzione, opponendo prosa a poesia: e qui ho gridato: – Ecco la poesia! -, perché mi pare sia tornata e rifiorita, grazie alla Galzio, la stagione, anzi, nella lingua mohicana, le estati (i mohicani chiamavano i propri anni estati anziché, come noi, primavere) della vera critica, quella in cui il testo viene sottoposto propedeuticamente all’analisi metrica e testuale e non all’interpretazione dei contenuti. Prima viene la Forma in cui si cala, poi, l’Idea, desanctisianamente parlando, e quando le due compongono un solo dettato, nasce e sgorga il canto (che è poesia pura).
Gabriella Galzio è riuscita a conferire al libro un altissimo valore critico e densità di contenuti, e ha dimostrato che un’opera antologica non solo deve valere, ma acquisire un’anima e soprattutto sprigionare una potenzialità sociale, epitome del tentativo da parte di un manipolo di eroi di cambiare il mondo: un’utopia, senza dubbio, ma che cos’è l’utopia, se non la richiesta di verità per il tramite della espressione del talento personale resa attiva comunicazione e condivisione? I poeti selezionati, tutti di un valore immenso: Azzola, Cannillo, Cantelmo, Cinà, De Pietro, Doria, Ferrari, Gaccione, Lanfranchi, Macciò, Morandi, Mullon, Rabissi, Romanò, Vaccaro, Vergati. Nella seconda parte, lo spazio viene affidato a scrittori, autori di teatro, saggisti, ma il libro non diventa un centone, anzi, mantiene inalterato il suo interesse: le pagine in prosa di Caracci, Galzio, Kemeny, Mazzilli, Veroli, Zanini sono splendide; a seguire le non meno interessanti e affascinanti esperienze teatrali di Messa Parravicini e Romano; infine, la sezione di saggistica con Giulia Contri, Nicola Labanca, fisico delle particelle elementari, e Angelo Tonelli, tra i massimi studiosi della classicità greca, il cui “Negli abissi luminosi” è per me uno dei libri più importanti del 2021. La curatrice si rispecchia nei testi che raccolgono i suoi multiformi interessi e li “rivela”, leggendoli, ovvero legandoli in un solo documento di verità, in un “manifesto culturale”. Alla fine della lettura ho ricordato un passo della Scrittura: ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum (quale bene e quale felicità è lo stare insieme da fratelli nell’Unità).
Massimo Pamio
Grazie, dott.Pamio, per aver letto e apprezzato questo lavoro condotto da Gabriella Galzio con pertinacia e alto senso artistico e comunitario, a cui tutti noi all’ombra della grande quercia abbiamo aderito con sollievo (durante il periodo della pandemia) e gioia per averci aiutato a uscire da una dilagante logica individualistica.