SERGIO GALLO: PERCHE’ LA POESIA?
Pharmakon, l’ultima raccolta del cuneense Sergio Gallo, uscita nel 2014 per Puntoacapo editrice, raduna il lavoro di quattro intensi anni di poesia, essendo il precedente libro del 2010. Chi ha seguito l’autore dai suoi esordi riconosce in quest’opera il nuovo e l’antico – la maturità della voce e l’indiscutibile continuum rispetto al precedente Canti dell’amore perduto.
Il continuum è la voce assolutamente originale di Gallo, unica e stabile nel cangiante trafelato panorama della contemporaneità poetica. Il suo coraggio sta nel proporre poesia didascalica, cioè indistinguibile per natura da una dichiarazione forte e chiara di poetica. Una poesia come quella di Gallo, in altri termini, deve allontanare dal proprio mondo ogni forma di intimismo, di minimalismo e di egocentrica banalità sentimentale. Impresa di per sé non facile, dai risultati sempre incerti, che in Sergio Gallo appare compiutamente riuscita, senza pesantezze né sbavature: prima di tutto per le tematiche scelte, che sono quanto di più apparentemente arido possa esistere – la pesca, gli appellativi tecnici e i comportamenti biologici delle piante tagliate nel bosco, i “pharmaka” che intitolano il libro, voces mediae sempre in bilico fra bene e male, fra medicina e veleno, fra accadimenti e rinunce; poi bestiari, migrazioni umane e non, persino prose di un diario alpinistico di stupefatta esattezza, in cui «il corpo e l’anima, soave musica/ viaggiano all’unisono». Una poesia dura, difficile, che nel “cainismo” della natura vede, più che la metafora, l’allegoria di una denuncia sociale impietosa, mai retorica e mai calcata. Eppure l’autore riesce ovunque a intessere i propri versi di immagini ad alta definizione lirica: orgogliosamente assente, egli è presente nel testo come soggetto corale e mimetico, appartenente a luoghi e tempi diversi e portatore di inquiete domande. Come nell’amplesso delle aquile di Walt Whitman, come negli erbari di Marianne Moore, il poeta è il voyeur di una verità scabrosa, che la natura esprime senza fare promesse umane, troppo umane.
In questa affascinante galleria di voci, che ricorda per certi aspetti l’ ”Io siamo” rimbaldiano, Gallo dunque accompagna il lettore a illuminare il mistero dell’uomo, senza mai avere la presunzione di svelarglielo per intero. L’immersione metaforica e metafisica in un elemento di grande impatto simbolico come l’acqua, attraverso un’attività ludica ma cruenta come la pesca, crea una raffinata rappresentazione controluce della vita umana: raffigurazione cruda e insieme empatica , proprio perché colta nella sua contraddizione strutturale di intensità e violenza. Il linguaggio tecnico, a volte volutamente esasperato, non è mai schermo isolante fine a se stesso, ma chiave di volta per leggere e comprendere la complessità dell’individuo, soprattutto nella drammatica difficoltà di stabilire relazioni sociali autentiche e sincere.
Perché allora – giova chiedersi – la poesia? Perché imporre a un linguaggio così apparentemente denotativo una struttura tanto diversa e lontana? Se ci si abbandona ai testi e alle immagini così come sono, senza rivestirle di intellettualismi teorici (che, nonostante le apparenze un po’ cerebrali, appartengono assai poco a questa poesia) forse troviamo una risposta, e più d’una. Prima di tutto – l’ho già accennato – il linguaggio di Gallo non è affatto denotativo, descrittivo. E’ allegorico e metonimico. Poi la poesia è la pietra filosofale di questa ricerca, ciò che la rende dicibile, la fa scoccare. La ricerca di Gallo, codificata in sintassi normale, sarebbe pesante come piombo. Con il soccorso della poesia, essa vola. La lingua della scienza, per usare un’immagine dello stesso autore, è usata come “dissipatore”: come un mezzo per rendere il pessimismo più soffuso e diffuso. Oppure, complice l’ardua terminologia, come una trivella perforatrice che ferisce e denuda, alla maniera del feroce empaticissimo Lucrezio.
La poesia, o la prosa poetica della sezione sull’alpinismo, soccorre Gallo con la sua strana leggerezza, lontana dall’adesa solennità della prosa scientifica. Il verso mette le ali alla verità. E il lettore è incoraggiato, nonostante tutto, a sentirsi parte di questa natura inflessibile, ma leale. «La forza della corrente/ premere contro gli stivali, l’acqua/ amante possente, cingere le sue cosce». Abbandonarsi alla verità, combusta senza residui nella poesia. Forse, dopo tutto, rimane la sola possibilità di fare della vita – e dell’arte – un’esperienza non troppo assurda.
Alessandra Paganardi
Ringrazio Alessandra per la puntigliosa e interessante analisi alla mia raccolta che ha da poco compiuto l’anno di vita e ringrazio Adam Vaccaro per lo spazio concessomi.