Nei cerchi sonori del materno
Quinta vez, di Maria Pia Quintavalla, Stampa 2009, Azzate (Va), 2018
di Luigi Cannillo
Stamane, mi sono svegliata già stanca e un po’ agitata come da un sonno duro e senza pace, e avrei voluto parlare con te, madre:
mi sento così strana senza il nostro telefono senza fili, che quei fili ho cercato amorosi nel buio, per un po’, senza trovarli.
Intanto risentivo la tua bella voce sensuosa avvolgermi, e un po’ solare, ma l’aria pareva potesse smarrire quei tesori se non li afferravo presto, come quel tuo ondeggiare lieve.
Quinta vez dispiega, e con ricche variazioni, il tema del materno e della matrilinearità all’interno di quello, ancora più articolato, dei rapporti tra donna e donna e tra donna e nucleo famigliare, svolgendosi in più direzioni complementari: in verticale, fra madri e figlie, e in orizzontale, tra sorelle. Traendo origine dalla figura della madre morta la figlia, divenuta a sua volta madre, la rappresenta in un tempo/luogo metafisico, allegorico, purgatoriale, attraverso un legame supremo e indissolubile tra scomparsi e viventi. Agiscono con forte impatto i riferimenti autobiografici, sui quali erano fondate opere precedenti di Maria Pia Quintavalla: China in particolare, che nomina già nel titolo la figura della madre; la figura materna comunque è già presente nelle raccolte degli anni Ottanta e Novanta, di recente in Le moradas, Albun feriale e I compianti (in cui vengono ricordati entrambi i genitori). e anche nell’ancora più prossimo Vitae. In Quinta vez le presenze maschili, quella paterna in particolare, restano a lato, non perché ininfluenti in assoluto, ma perché al centro della scena campeggiano le protagoniste, le cui esperienze realmente condivise vengono incarnate e stilizzate in figure paradigmatiche.
La prima sezione, “Prenatale”, è dedicata “ai non nati”, in un viaggio di ricerca con e della madre dopo la morte, in uno spazio allegorico e metafisico. I due poemetti successivi “Mater” e “Mater II” sono dedicati alla giovane figlia ragazza e adolescente e, di riflesso, nel segno di quella matrilinearità a cui si è già accennato. Nella sezione eponima “Quinta vez, o del ritrovamento” China torna fanciulla e storicizzata in un altro tempo, nella terra originaria di Castiglia, libera dalla vicenda famigliare, come trovadora che dice/intona gesta e canzoni compiendo viaggi avventurosi. Conclude il volume ”Le due sorelle”, sezione di scrittura drammaturgica teatrale, un dialogo serrato degno della sceneggiatura di un film di Ingmar Bergman, dove il conflitto, le aspettative famigliari e una forma di diverso destino coinvolgono, contrappongono e separano le due donne.
Per delineare il percorso di Quinta vez sono state utilizzate immagini come quella della matrioska o dell’albero genealogico. In effetti gli snodi e le variazioni nella struttura del libro, insieme alle specifiche modalità espressive e stilistiche che ne sono parte integrante, nascono nel segno della metamorfosi: non solo quella interna allo sviluppo delle singole sezioni e nella relazione tra una sezione e l’altra, ma sono insite nell’andamento che investe e coinvolge le vite (e la morte) delle figure femminili che incontriamo: figlie divenute madri verso madri che diventano figlie, ogni figura mantiene le sue caratteristiche ma tende alla fusione con l’altra in un movimento di sistole/diastole, in una ricerca dell’altra che talvolta porta a una riconciliazione nel conflitto, altre volte nella separazione di una unità in un vortice di somiglianze e di differenze caratteriali. Nel continuo viaggio ed esilio delle figure, là dove la patria-famiglia può diventare ostile e destinare alla partenza e alla separazione.
Né la voce unita all’estremo eterno, né le mani, quelle piccole e segrete, mi avrebbero più fatto cenno. Né le reti di memoria, le sue immagini ultime che si libravano nell’aria perché chiare e struggenti, troppo immacolate. Incalcolabili fili della vista e dell’udito mi tenevano soggiogata alle ultime tue immagini terrene, e non alle prossime acquose dei senza corpo, cui non avevo accesso.
Si tratta di un continuo perdersi e ricercarsi, e in questo senso tutte le figure agiscono in uno spazio teatrale onirico protese l’una verso l’altra come parte smarrita di sé, o comunque verso le pareti dilatate di uno spazio, nel quale China cerca un varco per raggiungere chi scrive – e l’autrice lo dischiude con la chiave della scrittura stessa, con la ideazione di un luogo percorso febbrilmente nell’intero libro, sfogliando le pagine della memoria di sé adolescente, ragazza e giovane donna, prendendo slancio nel creazione di una sorta di mitografia, richiamando e accogliendo le figure famigliari in un processo che non può non essere anche flusso doloroso. E presumendo ricomparse, ritrovamenti e resurrezioni, nuove vite insieme alle passate, “femminile e forte l’io”. Chiudendo tra i tanti cerchi quello generazionale, facendo rinascere a una seconda vita attraverso l’evocazione, nella figurazione e nella scrittura, la madre come matrice.
Essa è più felice di te che, di fortuna
la vedesti nascere alla vita.
Lei tace ride, si compiace. Aspetta
i tempi delle sue radure. (L’amore
la seduce, il corpo dondola ma esplode
nell’ansia di una primavera forte,
piena di odori. E lei profuma)
dice alle amiche, tagga sul video
una sua luce. Poi si gira e ti scopre
alle sue spalle, ne urla, ride;
non sa come tenere esorcizzato quel demone
che è un’Altra donna, una che in piedi
crede specchiarsi
nelle sue gambe nude. Non capirà.
Insieme alla ricerca domina l’attesa, il vuoto vissuto e ancora sotteso al ritrovamento. Nello spazio- tempo letterario della messa in scena di questa ricerca, tra le stazioni progressive di avvicinamento, le anime si spostano ben più liberamente di quanto consentissero i vincoli terreni, con “movimenti finissimi e celestiali”. Domina l’elemento aereo, nel quale la madre “vola via leggera, si traduce”. E a un volo, a un processo dinamico si riferisce anche il riferimento al tempo, nelle sue dilatazioni, nei tuffi nel passato e nelle proiezioni verso il futuro con la figura della giovane figlia dell’autrice, nel tentativo di “riscrivere la storia”, nella memoria ritrovata e ridisegnata, nella stessa ipotesi creativa. A cadenzare questa dinamica temporale contribuisce la tessitura dei poemi con i talvolta inaspettati scarti offerti dal cambio del tempo verbale tra presente e passato. Ma le anime così in tensione in questo spazio-tempo sono in effetti corpi animati sia nella evocazione del distacco e dell’agonia che nel riferimento agli organi percettivi, la vista, lo sguardo e il tatto in primo luogo, là dove vengono evocate in particolare le mani e frequentemente e con loro, i gesti “che mai avrebbero cessato di comandare sui cuori, e “la carne dolce che l’ha generata”. Sono corpi che si toccano con la mente.
E al corpo appartiene infatti in primo luogo la voce che chiama, o piange e punisce quella che parla “dal mito e dal silenzio”, le voci intrecciate delle due sorelle. La voce serve a tacitare, a opprimere. Ma, attraverso la voce, si innalza anche il canto che si espande nelle pagine dei poemi, come un effetto orfico che narra, onora e commuove, diffonde canzoni, canti nomadi, sefarditi e d’amore attraverso l’arte di China ma non solo. Protagonista, insieme ai personaggi, è la voce che si reitera e si diffonde come un mantra nel dialogo dell’ultima sezione. Sono tutte quelle voci, quelle modalità vocali e canore, di inflessione diversa, a scolmare come onde sonore nella scrittura di Quintavalla. E, simmetrico alla voce e compresente intermittente, agisce il silenzio inevitabile tra le lame della tensione in vita come nella rarefazione dei suoni dopo la morte, il silenzio dei rancori e dell’attesa, delle rivelazioni o dei segreti.
Infine, ma non per ultima, agisce la voce dell’autrice stessa che informa e modula i vari materiali in diverse modalità stilistiche sia nella forme di passaggi poematici che di racconto in versi o come scrittura teatrale, sia come prosa lirica che epica che in singole sequenze di poesie in forma lineare.
Morì. Tradì, scoppiò, dissolse di sé, disparve
non fu mai dato di sapere, ma servì a capire
che China era prodigio di canzone
meravigliosa creatura in luogo chiaro,
corso di virtù serena – gioia nel corpo cibo
della mente – angelo al tocco dei bambini
salvi nel fiume corso della sua esistenza,
frumento pane di virtù mai sorte
sentimento del mondo, sua dizione.
I testi raccolti in Quinta vez risalgono a momenti diversi di scrittura e coprono un arco temporale esteso, ma formano una catena consequenziale nella quale la successione dei fatti non si presenta in sequenza banalmente cronologica ma, così come avviene in una dimensione onirica, il flusso emozionale crea vuoti e pieni, passaggi e assenze, modalità stilistiche multiple. Oltre che far pensare all’immagine della Matrioska o a un albero genealogico, la catena di eventi e figure è composta di anelli che si schiudono l’uno nell’altro e si aprono come cerchi di fumo o cerchi nell’acqua. Tutto rifluisce nel liquido amniotico, nel ventre materno e ne è pervaso, e da questo flusso affiorano scene, personaggi, vite che si rigenerano in metamorfosi, o nuova vita, e si strutturano ed edificano in nuove forme: “città pensiero era la voce madre”.
Uscendo piano dalle porte, credevi non udire
quel pianto secco che ti prese nel salutare,
quando tua madre nell’abbandonarti
ancora, una seconda volta se ne usciva
zitta e solenne, verso il suo bell’ade,
fasciata in oro – andare nella vita.
Ma Lei Sarah, nata dal riso
domina nella silhouette radiosa,
circonfusa.
Sono andato subito a leggere i versi, sebbene Cannillo sia bravissimo, ma quel che mi preme è ascoltare i poeti e ogni tanto si hanno delle sorprese che ci riconciliano con la poesia. Queste liriche della Quintavalla sono splendide, imbevute della luce della poesia, riesco a percepire immediatamente chi fa del linguaggio un uso attento, il vero poeta non elabora un testo, ma ricama preziose trame che sono come un balsamo per chi legge e immagina e sprofonda in quell’atmosfera. Il vero poeta ci fa inabissare in una dimensione in cui le parole sono fatte della grazia più armoniosa, della leggerezza più inavvertibile e della profondità più abissale. Grazie alla Poetessa Maria Pia di esistere.
Grazie a te Massimo Panio, che non so se ho il piacere di conoscere! Se non fosse così, dal sito o altro indirizzo mi piacerebbe seguire il tuo lavoro.
Poiché di certo sei un lettore estimatore, se apprezzi l’ottima prosa di Cannillo.
La mia poesia è come la mia vita le mie braccia e la mia anima:tentano in un abbraccio stellare ricongiungersi .
Ed e’ grazie a lettori che sono mani che ricevono che la corrente continua. Grazie a te. e ti chiedo un referente dove leggerti. Maria Pia Quintavalla
La prosa di Luigi Cannillo si è fatta più acuminata e luminosa, come aVVOLgesse meglio con le parole il disegno intero del poema, o delle poesie e dilatasse i suoi sensi in un oltremondo piu charo a noi, approdati assieme, grazie al disegno della critica sulla stessa sponda, a rileggere quelle parole messaggere di luce nuovamente, una seconda volta.
Maria Pia Quintavalla
Grazie degli apprezzamenti! La lettura critica di un’opera per me deve diventare empatia, simbiosi, interrogazione del testo e di chi lo ha scritto. E direi anche sensibilità di scrittura affinché la nota critica rifletta aspetti dell’opera anche nella modalità di scrittura, nei suoi ritmi e nel lessico. Contrariamente alla critica esperita come fredda vivisezione o catalogo di collezionista.
Preziosa lettura, quella di Cannillo, di una poesia così intensamente femminile, che scaturisce dall’esperienza coinvolgenti della maternità , vissuta attraverso un gioco di specchi in sequenza matrilineare di destini incrociati. Giustamente emozioni, corpo e mente si fondono, lasciando affiorare la specificità di ciascun anello della catena nel vissuto legato alla storia personale, condizionata dalla cultura, dal costume, dai dati caratteriali.
Uno stimolo a leggere con profonda partecipazione anche questa prova poetica di Mariapia Quintavalla.