Passione e vita

Pubblicato il 27 gennaio 2014 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Mario Galzigna

Storia di una passione. Poesie. Il Poligrafo, Padova 2011, pp. 119, 14€.

Nota di lettura di Marco Nicastro

Il tema assai coinvolgente da un punto di vista emotivo – lo sviluppo e lo spegnersi graduale di una passione amorosa – della silloge poetica di Mario Galzigna, docente universitario e filosofo, elegantemente edita dal Poligrafo di Padova, viene efficacemente racchiuso in una forma poetica concettuale, in cui le emozioni, le fantasie, le pulsioni e le intemperanze di una relazione sono lucidamente ricondotti ad un ordine superiore (estetico, formale) che l’autore può a volte trovare nella costanza del verso (sempre endecasillabo), a volte nei riferimenti diretti ad altri autori tramite le note inserite alla fine di ogni componimento. Queste rappresentano i contributi di insostituibili illustri compagni con cui il poeta dialoga, in una sorta di coro immaginario, nei momenti di travolgente passione, di sofferenza, di solitudine e senso di vuoto che la fine di un rapporto d’amore sempre lascia dietro di sé. Anzi, direi che proprio la presenza di questo tipo di note, assolutamente inusuali nei componimenti poetici, costituisca un elemento di originalità che certamente valorizza la raccolta e che fa parte integrante di essa, fornendo quasi le coordinate letterarie e filosofiche per orientarsi nell’esperienza vissuta dall’autore.

Il verso dicevamo, un endecasillabo libero che fluisce regolare grazie anche ad un lessico sempre misurato e ad una punteggiatura che scandisce bene il ritmo fungendo da guida per il lettore nell’articolarsi e dispiegarsi dei pensieri://Preferisco pensare in solitudine// ritrovando la forza, l’abbandono,// i furori del sangue e della mente:// senza di te, stelo tremante, instabile,// dolce canaglia, tenera bambina.// La punteggiatura frequente è di certo un elemento che segna questa poesia, scandisce in modo serrato il susseguirsi dei pensieri, cerca di delimitarli gli uni dagli altri forse per comprenderli, per oggettivarli, per riportare alla ragione la realtà delle cose in un momento di grande trasporto e dolore in cui tutto trema: //In un lontano autunno tenebroso// – lo ricordi? – piangevi, deliravi,// pativi la mia resa e l’abbandono -// Ho voluto rispondere al tuo pianto:// ho scelto la rivolta ed il ritorno.// Ora tu vivi altrove – scherzi e ridi// con borghesi educati, fatui e ignari – // e non sai né pensare né rivolgerti// ai miei tremori e alla mia fermezza//. Lo sforzo di oggettivare, di riprendere un controllo in qualche modo sulla realtà si riflette anche nell’elencazione ossessiva di certi ricordi, elementi del passato, piccoli episodi. //Ti chiedo solo un gesto di commiato://regalami a dicembre, te ne prego,// quell’agenda Pineider – la ricordi? – che mi donavi sempre a fine d’anno.//, oppure //Lontano dal tuo complice sorriso// ritorno, solo, nella casa vuota// Guardo il telefono, silente e inviso,//contemplo le tue foto e le tue pose:// l’abito verde, corto e semiaperto,// le tue gambe svettanti, luminose,// le caviglie sottili, affusolate,// le calze bianche, con richiami ai bordi,//la palpebre socchiuse, trasognate//. La frase rimane sempre lucida, impeccabile, il lessico ricercato e preciso, con un’aggettivazione sovrabbondante sì, ma mai superflua, che sa diradarsi al momento opportuno.

Lo sforzo di una lucidità raziocinante di ritrovare un senso negli eccessi dell’animo in preda alla passione carnale e all’innamoramento, alle paure e alle dipendenze reciproche, costituisce un’altra cifra, questa volta contenutistica, dei versi di Galzigna. La passione erotica per la donna è il vincolo primordiale ed oscuro che lega gli amanti, generando una sensazione di soffocamento e voluttà, da cui l’Io del poeta tende a districarsi ma in cui spesso, fatalmente, finisce per ricadere. //Usando l’arte della seduzione sradicavi il piacere dagli affetti.// Divenni amante e schiavo di quell’arte:// complice ludico e appassionato//che incoraggiava le tue dipendenze.//. L’erotismo come motore psichico del rapporto e come mezzo per giungere a più profonda conoscenza dell’altro traspare da molti versi. Un erotismo tuttavia che non è mai scisso ma si accompagna alla tenerezza, al sentimento profondo, alla complicità, alla gioia di condivisione con l’altro://Solo così puoi ricordare, Giulia,// le mie carezze lente, elettrizzanti,// e i brividi che coprono la pelle://un arabesco erotico, esclusivo, che ricamava sempre le tue gambe.//.

Molto bella, a mio avviso, la resa dell’idea dell’amore che traspare da versi intensi e chiaramente vissuti come: //a un amore sincero, senza rischi// io preferisco una passione accesa://lo spasimo dei sensi e della mente,//l’intimità vissuta e condivisa//, che testimoniano appunto dell’assoluta unità cui si può giungere in un rapporto in cui sia la mente che il corpo spasimano fino a dissolversi. L’amore completo e integro come una via di fuga, una via per obliare il mondo grigio e convenzionale – <<matema scolorito e senza volto>> – come dimensione privilegiata in cui ritrovare la pace, immergendosi totalmente nel presente, cancellando passato e futuro.

È un amore in cui il poeta si riscopre bambino innocente amante del gioco, in cui si perde nella degustazione dei momenti di complicità che l’incontro con l’amato concede, in assoluto contrasto con l’implosione relazionale dell’altro che inesorabilmente si compie, col tempo, dinnanzi ai suoi occhi increduli.

Ecco che, così, la donna dei desideri finisce gradualmente per allontanarsi, oggetto freddo e poco comprensibile, non in grado, in effetti, di soddisfare la voglia di autenticità al di fuori dei canoni convenzionali – <<la noia e la viltà del mondo>> – che tanto stretti stanno all’autore, che ama radicalmente e che respinge categoricamente, soprattutto in amore //il realista, l’ipocrita, il codardo// che glorifica cupo e inconsapevole,//l’aridità di cuore e la sconfitta.//. La ragione limitata soffoca il poeta in preda al desiderio panico di infinito, di autenticità e di immersione nel piacere dei sensi; egli vuole invece immergersi voluttuosamente in questo piacere che, dissolvendo i vincoli logici abituali, costituisce una via privilegiata alla conoscenza dell’altro.

La ripetizione di conoscenze acquisite simboleggiata da quei <<filosofi persuasori, dialettici e servili che ignorano il sangue della mente>>, il bagaglio educativo atavico, la condizione sociale che imporrebbe il rispetto di certe forme rigide – l’ipocrita sorriso dell’amico// che consiglia misura, sobrietà, moderazione// – si oppongono fin da subito all’esplosione e alla realizzazione coraggiosa dell’amore e finiscono per intaccarlo per la debolezza della donna amata, preda delle regole sociali. Così la paura di oltrepassare le convenzioni e di perdersi veramente nell’altro, la paura di accettare in sé tutte le componenti, anche estreme, dell’amore, conducono l’amante avaro di sé ad un utilizzo strumentale dell’amante innamorato, che diviene inerme oggetto di una pulsione scissa – //la sua panica e sfrenata cupidigia,//che tu hai raccolto, paga, senza amore:// – o di un narcisismo distaccato – <<Ho sofferto in silenzio l’ultima sera, sul bordo della piscina, […] non te ne sei accorta. Stavi leggendo un’antologia di testi futuristi….>>.

In una sorta di climax discendente, nella seconda parte della raccolta si nota il progressivo amaro distacco dall’amata, e l’elaborazione finale del lutto – per dirla in termini analitici – in cui l’immagine della donna, angelo di perdizione sensoriale degli esordi, angelo dell’amore spensierato, diventa reale nei suoi limiti, nelle sue mancanze e finisce per ispirare la creatività e non più solo l’amarezza dell’autore, come in: //ora sei la Musa che m’ispira,// che mi detta sarcasmi e struggimenti…//.

L’Io poetico può finalmente distaccarsi, ricordare e contemplare la donna perché è riuscito forse a ri-attingere al nucleo profondo e benefico dell’essere, ritrovandosi e andando oltre il dolore della perdita, espresso in modo emozionante nei due versi: //Ho scoperto me stesso nel distacco.// Ho scoperto te nella mancanza.// Emerge la possibilità di tollerare la solitudine, condizione necessaria per riappropriarsi di sé dopo un grande dolore, per riuscire nuovamente <<a scrivere e a pensare>>.

Dell’esperienza vissuta, dell’armonia perduta rimarrà al poeta solo il ricordo, quella <<profonda rimembranza>> che radica il soggetto nella storia e gli conferisce il suo specifico peso esistenziale. Il superamento del dolore consente di ricordare liberamente il passato, non senza una vena di amarezza, assaporando i suoi aspetti buoni ma anche quelli che più hanno recato sofferenza; e consente, soprattutto, di creare e di usare l’ironia. Infatti, filtra da diversi componimenti, soprattutto nella parte finale dell’opera, una certa ironica leggerezza su quanto si è vissuto, sugli atteggiamenti dell’Io e dell’Altro, sulle illusioni di chi ama. In questa rivisitazione anche lieve dell’esperienza dolorosa, la cultura, la conoscenza e la creatività diventano una fonte di speranza per l’Io danneggiato dal dolore, un motivo e un motore di rinascita, di ritorno alla vita, che conclude questo viaggio umano del poeta: //ora io sono pronto a ripartire//verso lidi lontani e inesplorati// […] // insorgono le forze sconosciute//d’un opera in perpetuo movimento,//che si rinnova giorno dopo giorno;//ritrovo in lei la quiete e l’energia://volontà, desiderio, intelligenza.//

Sul finire di questo viaggio, menzionerei le due brevissime prose che l’autore inserisce all’interno della raccolta. Io le immagino come sbocchi necessari per una poesia che, pur regolamentata nel suo fluire da una struttura del verso ben definita, tende naturalmente alla prosa poetica e ad essa saltuariamente s’affaccia, lasciandoci scorgere squarci di paesaggio forse ancora più intensi e delicati. In queste prose Galzigna continua a riflettere sulle gioie segrete ed i travagli di un legame, sull’incapacità di contatto di due amanti, su sé stesso nel confronto con l’Altro. La dimensione dell’Alterità risulta sempre presente nel poema, come dimensione apportatrice di gioia e di dolore, di impoverimento o di arricchimento, di disperazione o di speranza, a patto che, come l’Io del poeta dimostra di riuscire a fare, ci si lasci coinvolgere nella relazione fino a perdersi in essa, oltrepassando le convenzioni che si concretizzano nella scialba mondanità e in un Edipo fantasmatico, portatore di fardelli morali e di vincoli ottusi, che limita la libertà di essere del Soggetto impedendogli di trovare sé stesso e di scoprire la bellezza sempre nuova della vita. Non a caso, due componimenti che si trovano rispettivamente nella parte iniziale e poi finale della silloge, individuano proprio nella configurazione psicologica inconscia dell’Edipo (dell’amata) un potenziale rischio per la libertà di amare e di darsi del Soggetto, agli altri e alla vita, se l’Io vi aderisce irriflessivamente: //L’immagine del padre ti minaccia//vorrei che la sua legge fosse cenere…//vorrei che tu non mi legassi mai//al suo sembiante e alla sua parola.

Un unico poema mi sembrano formare tutti i versi di Galzigna, un unico componimento senza soluzione di continuità con le prose e le note dell’autore. Quest’unità risulta fondamentale per immergerci nella sua esperienza e per comprenderla a fondo, lasciandoci con la speranza vitale che ci sia sempre una possibilità di riemergere dall’abisso di un amore finito (di qualunque amore si tratti), grazie anche alla potenza catartica e rigeneratrice dell’arte. Concluderei così con le parole stesse dell’autore, molto delicate, tratte dalla prosa conclusiva della silloge “Un mondo ancora possibile…”; parole che io direi essere un vero inno alla poesia:

<<La poesia – ridando vita e spessore alle rimembranze – può diventare una finestra perennemente dischiusa, che riconduce il nostro sguardo inquieto ai bagliori di una luce nuova, agli enigmi misteriosi di un futuro indecifrabile, ai percorsi ancora ignoti della speranza e dell’attesa.>>

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