Nelle “Geometrie scalene” di Laura Cantelmo

Pubblicato il 21 giugno 2016 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

MONDI SCALENI E VERSI GEOMETRICI NELLA POESIA DI LAURA CANTELMO

Geometrie scalene è il titolo dell’ultima raccolta poetica di Laura Cantelmo, pubblicata per le edizioni Marco Saya con una prefazione di Adam Vaccaro, prefazione scritta in un bellissimo stile, oltre che acuta e profonda. «Cerco nell’etere la madre che tra parole e miti vinca la disarmonia di questa terra» , dice la poetessa a pag. 24, nella poesia La vacanza. Scaleno è il triangolo irregolare per eccellenza. Irregolare come il mondo, o come sentirsi estranei al mondo. Questo libro colpisce subito, come dice in modo molto suggestivo la prefazione, per un malessere bifronte, a un tempo esistenziale e sociale. C’è un’architettura sapiente, sempre esplorata dalla prefazione e basata sulla suggestione triadica, di sapore vagamente hegeliano. E tre, direi, sono le ascendenze letterarie italiane che vi si colgono oltre alle molte europee (Garcia Lorca per la diffusa cantabilità, Shakespeare, Eliot…) .

La prima è sicuramente Montale,, spesso visto attraverso una distanza che definirei propriamente ironica: come una lente letteraria privilegiata per guardare con attenzione, attraverso il cosiddetto correlativo oggettivo, una natura che altrimenti risulterebbe straniata e straniante : il falco alto levato della prima poesia, il pianto delle tamerici sulla strage di mafia a Capaci, la quercia vuota a pag. 71, così simile all’acacia ferita di Montale; poi quella sempre rigogliosa di porta Ticinese, con una storia particolare da raccontare; poi, ancora, il tiglio spezzato, quasi trasposizione arborea del clochard morto di freddo. E i ciliegi giapponesi simbolo dell’effimero, di un color rosa che non si sa se sia alba o tramonto. Perché in realtà la storia è al tramonto: lo sguardo stesso può capovolgersi, nella prospettiva del carcere noi siamo “i rinchiusi fuori” (pag. 29). Anche l’albero della vita è capovolto, è scaleno, ha radici in alto, come tutti gli alberi genealogici.

La seconda ascendenza è il Pavese del ricordo, come nel testo La vacanza, e di un mito attualizzato, come se tutti i luoghi avessero memoria: il Reno, il mare con le luminarie in festa, la Normandia che ricorda lo sbarco e la sacralità del sangue versato (pag. 44), la Sicilia di Scilla e Cariddi, tormentata dagli sbarchi e dai naufragi. Ricordiamo che il titolo di una precedente raccolta era proprio Un luogo di presenze e una sezione parlava proprio di nomi, quei nomi che danno un’anima alle cose, ne posseggono l’essenza.

La terza genealogia conduce direttamente a Leopardi quale “poeta della sofferenza”. La barca sommersa, intatta eppure marcescente, diventa l’oggettivazione del giardino fiorito dello Zibaldone, del dolore che stavolta non è tanto cosmico, quanto storico: ha dei colpevoli, che siamo noi tutti (a partire dagli usurai della poesia in esergo Il falco). La dimensione civile è colta per così dire in movimento, come una luce teatrale che illumini via via una parte della scena: prima lo scenario metropolitano disagiato, poi le stragi del mare in Mari altrove , poi  le guerre vicine e lontane, dalla seconda guerra mondiale al Kosowo, infine stragi ancor più recenti, come quella, inaccettabile, dei bambini a Beslan.

La dimensione storica, alla fine nella sezione Anse, sembrerebbe ridursi a un punto di vista più intimo e quasi legato al corpo, come gli affetti famigliari, i lutti, i riti quotidiani: in realtà così non è: piccola e grande Storia si contaminano sempre, come nel testo Girovago Del Sogno a pag. 82, che è uno dei tanti a dire, attraverso gli affetti, la caduta degli ideali di tutta una generazione. Anche l’amore, che chiude la raccolta con una specie di fantasia shakespeariana, non è cosa tale da illudere a lungo: forse già in gioventù si rivela un inganno, come nella poesia omonima a pag. 81; eppure alla fine è l’energia amorosa, è l’eros che vince.  Penso alla bellissima poesia su Chagall della precedente raccolta. Là gli amanti non sanno, qua invece sanno, ma è un sapere socratico: sanno che la vita è della stessa sostanza dei sogni e quindi si nutre di questa illusione, che pure è tale (sembra ancora di rileggere Leopardi e le Operette morali, in particolare la Storia del genere umano). E Laura Cantelmo non è la sola autrice contemporanea ad avere questo sguardo acuminato, ma ancora aperto all’utopia. Nel bellissimo, recente film Sole Alto , del regista croato Matanić,  l’amore, pur tormentato e per nulla romantico, segna la possibilità di sanare le ferite della guerra. Non lieto fine quindi, neppure in questo libro di Laura Cantelmo, ma la speranza gioiosa che il corpo possa diventare infine corpo sapiente, riscattare le disarmonie della storia e le disillusioni di una generazione. «Con rispetto e qualche punta d’ironia», come dice la poetessa al figlio, in una bella poesia dedicata.

Alessandra Paganardi

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