Un’idrografia dell’anima, un’epifania dell’archetipo materno: questo è il “ritorno alla spiaggia” di Lucetta Frisa, libro polifonico di domande che sembrano agglomerarsi in alcuni componimenti in particolare, spesso tendenti alla forma poematica (cfr. p. 27 e p. 51-52). Un libro fatto di vento e di mare, dai quali sembra trarre la vocazione alla fluidità, all’immensamente inafferrabile: «Versi fatti dal mare/ metrica ininterrotta/ fluida/ stupita/ lasciata andare/ dal largo a riva/ e dalla riva al largo». Un libro che, come il mare, ha la profondità degli abissi e la levità del «capriccio che ci ha afferrati» (p. 49). Tale dimensione ancipite nasce dalla radice visionaria, declinata tuttavia in un dinamismo che ne garantisce l’effetto aereo. «Sento in me molte voci./ Un brusio allacciato al vuoto./ Siamo in tanti a pregare e a piangere./ Basta fermare il respiro all’orecchio.». (p. 47).
Lucetta Frisa sembra così dirci, con Lacan, che noi siamo gli altri: ma in Frisa accade qualcosa di ancora diverso, qualcosa che caratterizza in particolare questo suo libro: le voci si agglutinano nel silenzio della madre scomparsa e da lei tornano a diramarsi nella scrittura. Poiché, come scrive Cappi, «corpo dell’essere è il silenzio, sua epifania la voce», questi rumori sono filtrati dal ricordo e giungono alla coscienza dell’autrice ormai eterei, senza più alcuna zavorra esistenziale a gravarli.
La poesia «frattura il quotidiano in polvere» (p. 20), dà «lezioni d’assoluto», insegna la gioia come la madre insegnava l’arte paziente dell’uncinetto. Se fin dall’inizio il libro è una parafrasi dell’omofonia franco-spagnola mare/madre, vista dall’autrice come simbolica e quasi sinonimica, nel procedere della lettura l’analogia si arricchisce di un terzo prezioso elemento: l’identificazione fra madre e scrittura. Ad altri contrasti, ad altri dilemmi nella poesia di Frisa eravamo già avvezzi: primo fra tutti la capacità quasi miracolosa di risolvere la morte in fiaba, mantenendo intatti e fluttuanti i due estremi.
Si può dire che, in ogni fase della sua elaborazione, la poesia di Lucetta Frisa sia una sorta di anti-tragedia moderna. Ma in nessuna opera precedente questa operazione riesce ad esprimere il senso tragico della vita attraverso un codice approfondito e determinato; un codice che, come ha ben rilevato Gabriela Fantato nell’introduzione, si rivela essere quello della soglia. In Ritorno alla spiaggia vita e morte, avvio e commiato, leggerezza e destino non sono momenti antitetici: essi ci accompagnano senza sosta insieme, come ingredienti a sorpresa di una ricetta che non conosceremo mai del tutto, che possiamo soltanto provare a costruire per tentativi. Le voci servono ad accompagnare queste presenze in ogni momento, a costante rischio di scomparsa: proprio perché dal silenzio si staccano e prendono forma, in una zona liminare di senso in cui consiste il primo, elementare impulso alla poesia.
Alessandra Paganardi
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