Il pittore di battaglie
Arturo Pérez-Reverte
I narratori Tropea, 2007, pp 284, Є 15,00
Tralasciamo la copertina che è scialba e decisamente malfatta. La nuova prova di Pérez-Reverte è invece una piacevole sorpresa. Lo si conosceva per diverse e ottime prove precedenti, ma qui è quanto accennato con Territorio comanche nel 1999 che ritorna poderoso: l’orrore della guerra. L’autore – ricordiamo – è stato inviato per giornali, radio e televisioni, inviato di guerra, sino al 1994 quando ha lasciato per dedicarsi interamente alla scrittura. Se in Territorio comanche la storia era in presa diretta (un giornalista inviato, appunto, in guerra che racconta l’orrore, lo sperdimento e la disillusione) in Il pittore di battaglie è un fotografo di guerra (che così tanto ricorda James Natchway, personaggio reale nonché uno dei migliori fotoreporter viventi) che lascia il mestiere nonostante le tante pubblicazioni ed i premi per dedicarsi invece alla pittura. E lo farà rifugiandosi all’interno di un’antica torre di guardia a forma di cilindro appoggiata sulle rive del mediterraneo, lo farà in solitudine, dipingendone l’interno e mischiando tutte le battaglie, moderne ed antiche, sommando gli orrori assoluti e perenni della guerra in un unico immane affresco. Perché? Forse per desiderio di redenzione, forse per cercare di capire, forse per trovare l’immagine perfetta che mai è riuscito a cogliere perchè la guerra non è un singolo fotogramma né può essere un riassunto al caos del mondo. Forse per ossessione. Forse per chiedere scusa a quanti sono morti inutilmente e per i quali il suo passato di fotografo nulla ha apportato direttamente: la fotografia – sembra dirci – non è servita a niente.
E’ ciò che gli chiederà anche il croato Markovic che dal lontano passato del fotografo riemerge, di persona. Perché a lui la fotografia ha cambiato la vita, in modo possente. Tra i due inizierà un dialogo/confronto e sono allora le pagine più belle quelle dedicate alle geometrie del caos, alle riflessioni su arte, amore, poesia, responsabilità e solitudine. Sulla capacità del singolo di influenzare eventi collettivi, sull’impossibilità del singolo di essere una soluzione. Cosa e chi è vittima o carnefice e quando? Perché?
La scrittura cinematografica di Pérez-Reverte a volte calca la mano ma è poca cosa, anzi, forse è simbioticamente in uso al significato ultimo: vedi cosa accade? E se vedi, capisci?
Fabiano Alborghetti
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