Singhiozzi che denudano il ritegno
Adam Vaccaro
Edmondo Busani
Itaca non esiste
Diabasis srl, Parma 2015
Un Autore e un libro dallo sguardo lucido e a tratti livido, verso sé stesso e l’Altro. Graffi che vogliono incidere e lasciare il segno, sul proprio corpo, nella propria memoria e in quella altrui. Una ricerca espressiva che, nell’arte visiva richiama quella del grattage dei surrealisti. Max Ernst e Joan Mirò la utilizzarono come gesto teso a graffiare la pellicola superficiale per scovare strati e policromie materiche come forme dell’invisibile e dell’inconscio, moltiplicando le percezioni immediate del visibile. La tecnica venne successivamente sviluppata e affinata nel frottage (sfregamento), in particolare da Hans Hartung, con l’utilizzo di strumenti più disparati, non solo utensili appuntiti, ma anche pennelli particolari, rulli e altro. L’intento e il senso è di andare oltre la superficie, frammentare e insieme rivelare la pulsazione materica, il respiro cosmico e quel confine tra luce e ombra che normalmente ci sfugge.
I testi di Edmondo Busani fanno ricordare tali tecniche. Partono sempre dal tempo presente per poi sprofondare con tempi al passato – anche remoto – e aprirsi a visioni evocate da un dire che sa dire oltre il detto. Ne scaturisce una sorta di ansimare tra vuoti e pieni, un respiro trattenuto che poi si libera in singulti: “I singhiozzi denudano il ritegno/ / Un grido infernale gonfia il volto/ squassa le ossa consuma l’anima/ tace la parola”. Sul limite di parola e silenzio, “La luce si spegne senza rumore/ s’ovatta nello spazio/ l’accidente patito// Nell’orto la neve sbiadisce…”(p.16). L’ultimo verso segue dopo un doppio intervallo e il testo chiude con una immagine che, più che metafora, è allegoria, aperta (vedi i puntini finali) sul proprio stato interiore. Un graffio che scava sotto la pelle del visibile.
Lo stato interiore che viene fatto trasparire è un’ombra di luce che trasmette sensi di solitudine, di viaggio da fermo, di sguardo che guarda impotente. Ne dà ulteriore conferma il testo successivo di p.17, che merita di essere riportato per intero: “Ballano nello specchio/ del tempo le maschere// furono corpo erano cervello/ impasto di carne e nervo/ di muscoli e sangue// Vagano bianche le secche figure/ il timido passo lecca la vita/ la fiutano col moccolo al naso// Svagate si guardano/ sciamani giocano le carte/ propongono numeri/ fingono di dormire per non parlare…// i loro profili scarniti/ danno il braccio alla luna/ lasciano nell’aria un tanfo lieve/ sul tavolo un’aspirina.”
I puntini sono segno ricorrente, del limite tra detto e nondetto che questa scrittura cerca, per coscienza acuta e lezioni della stagione ermetica che sono diventati nucleo del proprio stile. “La debolezza/ sarà la carta vincente”(p.25) dice con autoironia che denuncia lo stato di blocco, ribadito anche a p.66: “Guardo la rotaia perdersi all’orizzonte…”, ma, “Resto in piedi all’entrata/ granello nella fila per l’altrove.”
Tra le figure cui dà corpo la trama del testo c’è sicuramente l’ossimoro, che tra graffi sull’infimo e tensione alla totalità sa rendere il respiro della materia cosmica e dell’universo (interiore ed esteriore), tra luci e ombre che si creano a vicenda – “il grido delle rondini rompe le parole/ le ombre scavalcano il fascio di luce/ per spegnersi nel cortile perlato”, p.37 – immaginando altri possibili orizzonti.
Sola vendetta possibile per chi “Rimane vincolato alla terra”(p.36), e quindi irride “Itaca non esiste”, fermo con la penna in mano, a cercare di dare conto della propria fragile sostanza umana, rotta e indifesa, nel rumoroso silenzio e vorticoso tempo fermo spacciato dal tempo presente.
Adam Vaccaro