Segnaliamo due libri importanti, che hanno preceduto di qualche mese lo scoccare dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri:
– Aldo Cazzullo, A riveder le stelle, Mondadori, Milano, settembre 2020
– Alessandro Barbero, Dante, Laterza, Bari-Roma, ottobre 2020.
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Rinaldo Caddeo
Il libro di Cazzullo è una rivisitazione dell’Inferno della Commedia, canto dopo canto, cerchio dopo cerchio, incontro dopo incontro. L’autore accompagna a una spiegazione tanto precisa e accurata, quanto stringata e ricca di pathos, che non trascura niente e nessuno del viaggio di Dante nell’aldilà, una concatenazione di storie che attingono sia alla cronaca antica e moderna sia alla produzione letteraria, filosofica, poetica, cinematografica, artistica (da Platone a Marx, da Aristotele a Raffaello, da Empedocle a Camilleri, con frequenti riferimenti a cantautori quali Battiato, Dalla, Venditti). Innumerevoli personaggi, luoghi e vicende scorrono, come in un caleidoscopio, veloci e lampeggianti. Si passa così, di associazione in associazione, dalla Rimini di Francesca da Rimini alla Rimini della Isola delle Rose o di Zanza, l’ultimo playboy, “morto sul lavoro” (Aldo Cazzullo, A riveder le stelle, pag.42), di notte in macchina con una ventenne romena; da Farinata degli Uberti a Pier Capponi; da Capaneo a Mussolini; da Ulisse a Madame Bovary e Stanley Kubrick (2001 Odissea nello spazio); dal gigante Fialte al poeta greco di Alessandria d’Egitto, Konstantin Kavafis.
Questa sovrabbondanza associativa, queste scorribande nella storia e nell’attualità, in un orizzonte globalizzato e totale della cultura, trovano un fertile e cogente ancoraggio nella multiforme umanità dell’Inferno dantesco che sorregge lo svolgimento delle immagini, delle emozioni, delle riflessioni, non senza una garbata, diffusa ironia. Si tratta della società italiana, – dal medioevo ai nostri giorni, con le sue divisioni, i vizi e le virtù, le grandezze e le miserie, – e del complicato, conflittuale, contraddittorio essere e sentirsi italiani degli italiani. In particolare è forte il richiamo ai momenti cruciali della storia italiana moderna: il Risorgimento, La Prima Guerra Mondiale, la Resistenza, i periodi decisivi della creazione di una patria e della formazione di una coscienza nazionale, a cui l’autore ha dedicato, in volumi precedenti, esplorazioni illuminanti. E Dante, la Divina Commedia, è proposta come l’origine. Lo dichiara, nitidamente, nelle prime tre righe del libro: “Dante ama una donna che non c’è più e una patria che non c’è ancora. Una patria che – oggi noi lo sappiamo – nasce con lui.” (pag.3). Dante non è quindi solo il padre della lingua e della letteratura italiane ma anche: “il padre dell’Italia. Un nome che ripete quasi ossessivamente, fin dal primo canto del suo poema.” (Cazzullo, ibidem, pag.4).
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Dante, invece, è una biografia di Dante, scritta da Alessandro Barbero, uno storico e un umanista dei nostri tempi, ferrato e apprezzatissimo per la sua capacità comunicativa sia orale sia scritta. Non è semplicemente una storia della vita di Dante. Si tratta di una ricerca storica sull’Italia del 1200-1300, il cui epicentro è la Firenze del tempo e il clan degli Alighieri, condotta con metodo scientifico controintutivo, con le prove e le sensate dimostrazioni dei documenti – sia letterari sia d’archivio -, e con l’affabilità di un abile narratore.
In che senso controintuitivo?
Barbero non parte, come ci si aspetterebbe da una biografia, dalla infanzia o dai genitori (anche se poi ne parla a lungo) e nemmeno da Beatrice, come a volte fanno le biografie di Dante, ma da una vicenda, quasi sempre, messa in secondo piano o addirittura rimossa della vita di Dante: la sua partecipazione alla battaglia di Campaldino. E non come osservatore o soldato semplice ma come feditore a cavallo. I feditori erano l’avanguardia degli eserciti del tempo, cavalieri muniti di lancia, scudo, elmo, spada e cotta di maglia di ferro (20-25 kilogrammi di peso) oltre che attrezzati di cavallo e addestrati all’uso di queste armi.
Inoltre, per controintuitivo, intendo diverso dal senso comune, cioè da quello che noi ci aspettiamo e non ci aspettiamo dalla vita borghese di un intellettuale e di un poeta che aveva sempre considerato la nobiltà non come la discendenza da una famiglia ma come un valore morale. Anche se non sembra mai parlarcene o vantarsene apertamente, Dante possedeva la preparazione militare di un cavaliere. In realtà c’è almeno una lettera, su questa sua esperienza, che è andata perduta ma che è riportata da Leonardo Bruni. Le altre prove, come Barbero attesta, le possiamo ricavare dalle sue opere, dal Convivio, dalla stessa Commedia, come la similitudine militare di Caprona, (vv.94-96, C.XXI), ma non solo quella. Ce ne sono altre, una, in particolare, non a caso, nella bolgia dei barattieri, significativa della cultura militare di Dante.
Il primo capitolo del libro di Barbero si intitola: Il giorno di San Barbara, il giorno di Campaldino (sabato 11 giugno 1289). E di questa battaglia Barbero ci dà una accurata descrizione. Perché?
“Perché siamo partiti da quella giornata memorabile? Il fatto è che per raccontare chi era Dante bisogna porre innanzitutto il problema, fondamentale, della sua posizione sociale.” (Alessandro Barbero, Dante, pag.14). E della sua posizione sociale, nonché di quella politica, Barbero parla e fornisce un’ampia e precisa documentazione nel corso di tutto il suo libro. L’argomentazione di Barbero è complessa e articolata. È una interpretazione che s’intreccia con l’analisi della realtà politica e sociale del tempo di Dante. Ne viene fuori un ritratto di Dante e del suo tempo. Un Dante non meno grande e autorevole, anzi, semmai il contrario, ma meno granitico, più umano, più sfaccettato, a volte contraddittorio, di quanto non sia normalmente rappresentato e valutato dalla critica letteraria o di quanto Dante stesso voglia dire o far credere di sé: insomma, più uomo del suo tempo.
La concezione di nobiltà, per esempio, si evolve nel corso della sua vita. La giovanile concezione morale non viene mai completamente abbandonata ma ad essa si affiancano il desiderio e, con il prolungarsi dell’esilio, la necessità, di costruirsi l’appartenenza e l’orgoglio di appartenenza a una nobiltà di sangue, come dimostrano i tre canti centrali, nel Paradiso, di Cacciaguida, il suo trisavolo.
Ci fu anche un periodo del suo doloroso e complicato esilio, in cui Dante, a differenza di quanto finora si è pensato, cercò un riavvicinamento al ceto dominante di Firenze, con la speranza, mai realizzata, di ritornare nella sua amatissima città.
L’autore dà risalto all’impegno non solo morale ma anche politico di Dante e alla sua funzione giocata nell’agone politico dell’Italia del suo tempo. Barbero scava in profondità nelle opere di Dante e nei documenti degli archivi. Mette in luce aspetti reconditi della biografia dantesca. Da questa indagine risulta che Dante non è stato solo una pedina ma ha svolto un ruolo attivo di primo piano nel contesto in cui si è trovato a operare, sia a Firenze, sia durante l’esilio, in particolare nei primi anni. Certo Dante non è stato un vincente, ma Barbero ci attesta con chiarezza la violenza e l’intolleranza sistemica della lotta politica del suo tempo. La democrazia comunale, dove l’opposizione al governo non è accettata, non fa eccezione. I membri più autorevoli, i capi, del partito sconfitto (ghibellini o guelfi bianchi, ma prima era toccato lo stesso trattamento ai guelfi tout-court) dovevano essere sterminati o mandati in esilio.
Nel libro di Barbero non si parla soltanto di Dante Alighieri, ma della sua famiglia (antenati, genitori, fratelli, figli), della società e dei valori, a volte molto diversi dai nostri. C’è l’episodio enigmatico dell’incontro (mancato) con il cugino Geri del Bello, nella bolgia dei seminatori di discordia, che testimonia l’adesione di Dante all’ideologia e alla prassi considerata legittima, se non doverosa, della giusta vendetta di un parente morto di morte violenta.
È un libro prezioso, non solo per scoprire qualcosa di nuovo, dopo settecento anni di studi e di interpretazioni, sulle vicissitudini personali dell’uomo Dante e sul mondo complicato e difficile, almeno quanto il nostro, in cui viveva, ma per sgombrare il terreno da alcune consuetudini interpretative, per aprire le proprie vedute e per diventare un po’ più consapevoli di noi stessi, del mondo e del modo in cui noi viviamo, scoprendo le analogie ma soprattutto le differenze tra noi e loro, tra il presente e il passato.
Rinaldo Caddeo
Alessandro Barbero, in famiglia, con un appassionato di storia, è un mito incontrastato. Non è solo un divulgatore, è un colto, appassionato e curioso studioso.