“Del presente stato delle cose”
Musica di Fausto Razzi con testo di Rosa Pierno
L’esecuzione, che il mecenatismo di Cristian Stanescu ha favorito presso la sua galleria ”La nube di Oort” in Roma, il 23 novembre 2010, della composizione di Fausto Razzi sul mio testo “Del presente stato delle cose”, ci ha consentito di assistere a qualcosa che si può definire dono, puro darsi di un’opera al di fuori di qualsiasi interesse se non quello esclusivo verso l’arte e il pubblico. Dono che è frutto della ricerca cinquantennale svolta da Fausto Razzi sul rapporto tra musica e testo letterario, sulla trasversalità fra le arti. Infatti, che nessuna fusione venga perseguita, ma che musica e testo procedano parallelamente correndo insieme verso un medesimo traguardo, accaparrandosi porzioni di spazio, spostando continuamente l’attenzione dell’ascoltatore dall’una all’altra, fornendo alla percezione due distinti e non sovrapponibili, e ancor meno coincidenti, modi di esprimere il tema in oggetto (la guerra con i suoi orrori e le sue catastrofiche conseguenze) è in assoluto ciò che fa di quest’opera un caso esemplare.
Esemplare perché delle relazioni tra le distinte specificità delle arti, tanto si parla, ma poco si vedono esempi efficaci e propulsivi. Anzi, già porre il problema è un atto di responsabilità oggi sempre più raro, poiché la tendenza nell’attuale società, in cui vige il dettato della comunicazione di massa, è quella di operare una sorta di mimesi e di schiacciamento delle varie forme artistiche una sull’altra affinché esse meglio rispondano a un prodotto di mercato. Porre il problema e non raggiungere la soluzione non è certo l’unica cosa che ci si deve aspettare dagli artisti che spesso si fanno solo portavoce dell’esistenza del problema. Un vero artista dà la propria soluzione. La soluzione consiste, appunto, nel preservare l’autonomia delle due forme artistiche, mai asservendo la musica al testo, mai riservando alle parole una piazzola separata e slegata nel flusso sonoro. Flusso musicale e flusso letterario convergono in quanto suono: ricevono pari trattamento, vengono trattati all’interno dell’opera come elementi paritari, materia sonora valida allo stesso titolo. Ed è proprio da questo trampolino che esse ricevono una moltiplicata valenza poiché entrambe concorrono a rafforzare l’espressività del tema, rendendo polisemico a livello formale il senso che da esse si può trarre. Senza stare qui ad aprire un inciso sul dibattito concernente il senso della musica o la sua asemanticità, si vuole qui porre l’accento sul senso della forma (e non del contenuto), su quello scorrere all’unisono di musica e testo quando nell’incessante rincorrersi di note e parole che non lasciano tregua, volendo scatenare in chi ascolta quel medesimo senso d’angoscia e di mancanza di respiro che la sola idea della guerra e della violenza in generale deve suscitare in ciascuno di noi, esse mostrano, e tanto più chiaramente, in quali modi musica e parole riescono a raggiungere il medesimo risultato avendo conservato la specificità dei propri mezzi – perciò tanto rigorosamente perseguita da Fausto Razzi.
Il concerto si apre con una canzone (cantata da Sibilla Buttiglione), dolcissima e soave, canto sul valore dell’amore che mette in risalto la circolarità dell’espressione e della forma: chi ama trova nell’amore la ragione dell’amare. Si tenga anche conto delle modalità canore che la canzone mette in atto: diretto recupero della tradizione pre-barocca. E, dunque, quale più rude e sorprendente cambiamento quando l’interruzione del canto apre a una progressione musicale ferrosa e inceppata, che ritorna su se stessa senza trovare vie d’uscita, che crea una cappa sonora che sciaccia ventre a terra e che da sola è sufficiente a esprimere la gravità del tema. Colui che ascolta è preso in una morsa, in cui il sopraggiungere della voce recitante – sostenuta ma mai affannata, essendo gestita con salda presa dall’attrice Maria Teresa Pascale – carica dell’orrore narrato senza soluzione di continuità, fa scorrere immagini (tratte dai quadri della tradizione europea dal Cinquecento al Novecento sul tema della crudeltà e della guerra) che si accumulano fino alla saturazione, così che il tema si ritrova intero nell’interiorità di chi ascolta, quasi per osmotico contatto.
Musica che come un fiume carsico emerge e si immerge secondo l’andamento della propria necessità e chiude tutte le vie di fuga percettive, facendo di quest’opera una denuncia contro una tendenza innata dell’essere umano all’aggressione e alla mancanza di pietà. E dove solo la chiusura con la medesima canzone iniziale può sciogliere il nodo, può rompere la simmetria, può far sperare in un diverso corso. Noi, fortunati spettatori di un simile evento artistico, testimonieremo della paradigmaticità di un’opera che ha saldato inizio e fine e dato corso col suo esempio a un modo concreto e fondante d’intendere la trasversalità fra le arti.
Rosa Pierno