Amedeo Anelli – Contrapunctus

Pubblicato il 21 aprile 2011 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Amedeo Anelli Contrapunctus Faloppio, LietoColle, 2011

Contrapunctus è un’opera caratterizzata da un impianto formale, ad un tempo, di tipo «conservativo» e «innovativo». Voglio dire che si trova a metà del guado tra le due opposte sponde del pensiero poetante e del pensiero poetato. Oscilla tra «i gradi del bisbigliato e dell’ornato/la selvatichezza», tra la natura (che resta cultura) e la cultura (che non può più ridiventare natura). Dentro questa ossessione, dentro questa antinomia, il percorso dell’autore milanese appare già segnato tra la «vertigine» e «i gesti dello sguardo», all’interno della forbice di una poesia dello sguardo di magrelliana memoria e un pensiero poetante vedovo di una filosofia dell’arte.

Su questo piano inclinato proprio delle scritture poetiche odierne avviene che la scrittura poetica non abbia più alcuna «chiusura», voglio dire che oggi le scritture poetiche sono scritture osmotiche, bucherellate, detritiche, filamentose rispetto al mare magnum dei linguaggi mediatici, tendono a risolversi nelle superfici delle scritture mediatiche o a inseguire le superfici riflettenti delle scritture mediatiche. E questa ancillarità la si può ritrovare anche nelle scritture (instabili) che vorrebbero inseguire l’instabilità (di superficie) delle scritture degli spot pubblicitari. Che si tradurrebbe nel rovesciamento iconico delle procedure poetiche? – Sul piano stilistico, restando al livello «conservativo», sia la struttura ipoendecasillabica che quella ipermetrica sono orientate verso il rallentamento del verso mediante numerose spezzature interne e pause tra le parole; anche nelle poesie dove il metro breve (preferibilmente quinario e ottonario) prolifera possiamo notare una accentuazione della marcatura della falsa rima e una chiusura a fine verso che riprende la linea versale in funzione di un ritorno all’indietro all’inizio del verso seguente.

Questo è il pregio (e il limite) di una operazione estetica tutta incentrata sulla dismisura di certi lessemi (L’adenosintrifosfato, la luciferasi, in discanto) propri dei gerghi scientifici connessi con lemmi e sintagmi di origine culta («Porte auree della notte»), del mondo favolistico («Sotto il bicchiere il soldino») che ben si associa con il finto crepuscolarismo («Ti ha sorpreso il rosmarino/ d’ottobre dal fiore cilestrino»), e sul «tono», sul fraseggio scorbutico-ironico e colto-ironico e su un lessico nient’affatto oracolare ma piano, scabro, prosaico e cerebrale. Una poesia questa di Contrapunctus sospesa tra l’utopia del sogno e la falsa utopia della musica, del segno ingannevole: è il modo di Amedeo Anelli di attraversare l’esperienza novecentesca del negativo sulla scialuppa di salvataggio della poesia lirica nell’epoca post-lirica: qua e là, incisi e finestre si aprono entro la campitura metrica interrompendo lo scorrimento frastico ma sovente in modo colloso, fibrilloso…è significativo che la poesia di Contrapunctus si nutra di una fitta osmosi tra paesaggio e natura, tra natura naturata e natura strutturata, tra astrazioni del pensiero poetante e distrazioni con paesaggio del quotidiano.

Manca, ostensibilmente, la Storia, mancano le finestre che aggettano all’esterno; voglio dire che è una poesia eccessivamente fibromatosa e collosa, direi ferramentosa la cui materia si adatterebbe forse meglio ad una incudine metrica e timbrica di tipo modernistico. Paradossalmente, per Anelli che è stato ed è il direttore di una rivista filosofico-poetica come «Kamen,» il linguaggio poetico si è modernizzato senza potersi giovare del riparo di una filosofia dell’arte. Privo di ancoraggio (quale tematica? quale stilizzazione? quale oggettistica?), la poesia di Anelli, come la grandissima parte della poesia contemporanea, si trova così a galleggiare sopra il vuoto pneumatico della assenza di una filosofia della prassi poetica. Così com’è, il poema musicale di Anelli appare «interno-esterno», come scavato sull’orlo di uno spigolo di una parete, nel concentrato del passato, dentro ciò che è stato… o sul cobordismo di una superficie infinita, senza chiusure.

Giorgio Linguaglossa

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