Un mondo sfuggente e tangibile. La memoria nei versi
di Francesco De Napoli
Carte da gioco è il titolo della raccolta di poesie pubblicata da Francesco De Napoli, contenente poesie scritte nell’arco di un trentennio e catalogate sotto tre etichette: L’attesa (1987), La casa del porto (1994-2002), Carte da gioco (2001). Si tratta per così dire di un poemetto suddiviso in tre cantiche, dedicate alla prima infanzia e oltre, trascorsa in Lucania, a Potenza, in Puglia, a S. Spirito e Bari, nel Lazio, a Cassino. Le poesie si snodano secondo un filo ideale teso dall’ “evaporazione” della memoria, all’evocazione poetica, alla trasfigurazione quasi impalpabile delle cose e dei sentimenti, non senza un accavallamento delle memorie. Da qui i frequenti spostamenti di “campo” e di “situazioni” e l’insinuarsi di una realtà che si confonde con i ricordi del passato, effetto ora “proustianamente” inconsapevole, ora scientemente cercato.
Predomina in L’attesa la figura del padre, subita più dal vuoto determinato dall’assenza che dalla pienezza di una presenza forse mai avvertita abbastanza, ma tornano più volte, pur all’interno di questa sezione dedicata alla Lucania, Cassino e la sua campagna profumata di ulivi, arance e cicoria, “martoriata” da ferite non rimarginate, solcata dal sangue della guerra. Una memoria involontaria, auto-accesa dal sovrapporsi di immagini, di detti antichi, di volti, di idilli lontani, di amori incerti, dove il cinema, e l’autore cita Rocco e i suoi fratelli, diventa filtro del proprio vissuto, chiave di lettura di una realtà evanescente, fra “la polvere e il fumo” del “treno magico della nostra infanzia”. L’autore attraverso la scrittura sembra accaparrarsi un nonluogo, una postazione ideale per guardare in modo neutrale al passato, che prima di essere tale era “orgoglio dell’attesa che prosciuga le vene come i campi d’estate: perché non vale il rifiuto, vana è la fuga”.
È l’amara riflessione sul tempo, sulla sua inafferrabilità, sull’impossibilità di etichettare una dimensione continuamente cangiante, mentre la mano chiusa a pugno, incapace di trattenere si apre.
I toni si fanno più cupi, la sofferenza si acuisce, la morte del padre diventa “immersione” nel male del dolore, “azzurro totale”, impenetrabile alle preghiere. La visione della vita è crudamente laica, precaria, senza l’attenuante di una fede, che attutisca i colpi della sorte.
E forse è in La casa del porto che questa tensione alla quiete si realizza, attraverso un percorso a ritroso verso l’infanzia lontana, racchiusa in quella casa del porto, dominata dalla figura imponente del “vecchio pescatore”, il nonno, con il suo pensare pragmatico, aggrappato a secche certezze, siano pure false credenze.
“Il mare lezione di vita” di montaliana memoria? Più prosastica la poesia, il verso scivola liberamente in un racconto lineare dei luoghi e delle persone, della formazione ideologica: “già assaporavo il piacere del contestare”, dice il poeta, facendo presagire l’impostazione critica del proprio pensiero, la ricerca di una dialettica mirata alla scomposizione della realtà. La casa del porto, più volte citata, è un porto di quiete, sia pure “illusorio”, mentre all’esterno si sovrappongono, accostati, oggetti e pensieri ossimorici: “le case dei poeti dagli unti inchiostrati portali – indistinte, intemerate effigi dai fregi d’un fiorista deturpate – tra un elettrauto e un vecchio garage”.
È la fine dell’incanto, che riporta il poeta a un’espressione più rarefatta, nella scelta del distico nelle Carte da gioco, dove i ricordi si affollano e incalzano con i loro semi simbolici, carte da gioco appunto, che si inseguono nei continui enjembements, a intensificare il ritmo di lettura e marcare il tempo della morte del padre, nella consapevolezza del nulla e della povertà dell’uomo. “Compresi che nulla l’uomo davvero possiede, nulla mai avrei posseduto”. È un approdo che non dispiega la sofferenza in note aperte, né sfocia nel pianto. Al contrario De Napoli acquisisce qui una compostezza che quasi lo placa e gli regala la possibilità di “dormire” su materassi altissimi, infreddolito e di nuovo bambino”. È un conato di fuga dalla realtà e dal presente, alla ricerca di un rifugio dove trovare tregua e placare le ansie. La poesia diventa qualcosa di mutevole, appare e scompare, enigmatica e accessibile al contempo.
La poetica di De Napoli si presenta in tutta la sua modernità anche per la preferenza accordata a uno stile che modula i registri colloquiali con quelli più poetici, conquistando una musicalità tutta sua, così come la registrazione dei toni malinconici non affluisce in una sacca sterile di depressione, ma si apre alla speranza di consegnare un messaggio inglobante, di abbraccio, per gli uomini.
Giovanni Curtis
Francesco De Napoli, Carte da gioco. Trilogia dell’infanzia. Prefazione di Mario Santoro, Testimonianze di Giorgio Bàrberi Squarotti e Massimo Grillandi. Osanna Edizioni, Venosa (PZ), 2011, pagg. 72, €. 9,00.