La poesia di Mauro Macario e Antonio Spagnuolo

Pubblicato il 8 ottobre 2019 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

Via Laghetto 2 – Milano

23 ottobre 2019 – h. 17,30

 

Associazione Culturale Milanocosa

in collaborazione con puntoacapo Editrice

 

presenta

a cura di Adam Vaccaro

 

Mauro Macario e Antonio Spagnuolo

Il peso della poesia italiana di peso

***

In dialogo con gli Autori

Mauro Ferrari e Adam Vaccaro

 


Entrata libera

 

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Sinfonie d’Autunno

La musica resistente di Antonio Spagnuolo

In ISTANTI O FRENESIE, puntoacapo, nov. 2018 – POLVERI NELL’OMBRA, Oèdipus, lug. 2019

Adam Vaccaro

 

I libri oggetto delle note che seguono non sono solo prossimi come date, ma hanno tematiche, e perfino alcuni testi, comuni. Per cui ho ritenuto opportuno e utile riunirli in una lettura unica.

ISTANTI O FRENESIE

Anche questa intensa raccolta di Antonio Spagnuolo, prosegue e inanella platoniani attimi d’infinito, che la poesia autentica sa far brillare e risuonare. La poesia di Antonio è una incessante curva che nel tempo e nello spazio cerca musiche e ritmi, scavati e scovati tra sesso e sacralità, in corpi che non si arrendono ai limiti imposti dalla sapienza, mentre l’occhio continua a disegnare incanti nell’oltre del proprio giardino. Forse o probabili incauti assalti e tentazioni, ma ciò che conta è che questa poesia non rimane solo fascinose strie di carta. Il loro valore e lascito è nei densi sapori di vita che sanno trasmettere.

“Era la storia che spezzava gli anni/ tra le mie parole,/ la paura del flauto ferito/ da quel dio insolito schermato tra i cespugli,/ sgualcendo cattedrali”. E “nel gesto incaute occasioni”, mentre “compaiono le orme delle nostre scansioni” (p.7).

Il senso è di mai smettere di declinare versi e musica che dà corpo all’invisibile, che altrimenti rimane celata sposa del silenzio. “Profumo di carne nel sortilegio della tua cera,/ scolpita con le unghie, per stordire,/ mentre s’ingorga l’inguine brunito/…Anche nei silenzi trovo la rete/…della solita illusione/…con il sangue oscuro dell’anima. (p.8).

Il verso si fa canto della fenomenologia dell’unità del soma, e non di divisioni e doppi (corpo e anima, materia e spirito, ecc.) inventati dai platonismus perennis. Sono finalmente congiunti e adiacenti carne e tutti i suoi aloni e sprofondi accesi da altri nomi.

“Mesto ritorna il suono di campane/…piegate inutilmente alla preghiera./…/ Inatteso il lampo sgomitola sorprese/ nel flessuoso accento di quei tremendi attimi/ in cui il colore dell’iride trabocca/ attraverso pagliuzze di oro incandescente. (p.10). E “tra gli affreschi della cattedrale/…Si avvicina di nuovo l’infinito/ abbandonando ogni nodo.” (p.11).

Ma l’avviso dell’Io (o meglio del Superìo, che ricorda il senso del limite) non si fa attendere: “Sta per scadere il tempo!/…non perdona gli errori ormai incalliti” (p.12). “Si disperde allora l’ombra negli abbagli,/ nelle illusioni dell’amore che trabocca” (p.14) nelle “mille intemperie della mente” (p.15).

“Al mio imbrunire/…sbatti parole come una folata/…il capriccio ti acciglia/ sto invecchiando. (p.16). Mentre “Il mare avvolge le stelle in veli porpora” dove “Intrecciammo carotidi pulsanti,/ ove nessuno offriva indugio e sussurrava/ l’incanto dell’oblio.” (p.23). E intanto “lamentosa lingua ripropone/ una vecchiezza impazzita/ con le radici ormai non più sapienti/…rincorsa all’eterno (p. 24), “Affamato come sono dei colori,/ delle tue cosce, delle tue moine” (p. 29).

Infine, anche se “Il mio pianto logora l’affanno” e “Spengo negli occhi anche i ricordi”, non prevarrà la “spina alla temeraria fede/ sull’orlo dell’arpa affidata alle meraviglie” (’51).

Risuona la capacità di coniare sempre momenti placati e urlo, malinconia e gioia, solitudine e comunione. Rara capacità, a circa 90 anni, continuare a fare festa e a incalzare la vita!  Una capacità che persiste e trova accenti e acuti anche nel suo ultimo più recente libro.

POLVERI NELL’OMBRA

I pur precari e preziosi barlumi-lampi di luci devono qui e ora misurarsi con coni d’ombra che si allargano, insieme – non solo! – alle somme degli anni. Le polveri nell’ombra sono un inventario necessario e imposto dalla curva degradante di questi ultimi decenni, che la Storia dipinge con colori sempre più scuri. E di cui la musica incessante del timbro stilistico di Antonio Spagnuolo non può, pena la perdita di verità, non farsi corpo e voce.

“Invano cerco la mia città dei giochi di fanciullo/…ora è tutto cambiato in errori e violenze”. E “nel ricordo dei segni, che permangono ancora”. Ma l’incanto perdura nel tratto breve” (p.7).

Così, Una strega, “Con gli occhi fissi nel cupo sortilegio, una strega mi affascina” anche se “ha scomode parole nel corpo lacerato” (p.8). E “L’assurdo poema dell’illogico sognare/…che nel ventre apre al sussurro…agli assalti dell’eterno…ha specchi di follia…l’incantesimo perduto e consunto” (p. 9).

Breve chiosa sonora: le allitterazioni in “r” e “s” dei primi versi (suoni che intercalano contrasto e sensualità), continuano e sfociano nel sintagma “assalti dell’eterno”. Il sussurro diventa urlo dell’incantesimo perduto. E il senso del suono qui è non velo poetese o solo gioco ornamentale.

L’auto-impietoso scandaglio e inventario (sia inventio che invenzione) scava ancor più tra le Rughe (testo già in Istanti o frenesie) col suo “battito dell’insopportabile urlo/ del demente” (p.10), “in questo esilio di me in mezzo agli uomini” (p.11).

La scrittura non può più disegnare curve di un io rosa, “sbiadito con il tempo”, con “suoni e colori… uncinati al fulgore del desiderio” (p.12). I versi resistono in “frammenti di scritture”, insieme alle rughe. In cui si consuma una disfida “tra le figure/ sbiadite dell’infinito splendore del niente”. “La mia furia” che “attraversa il proibito” e “divora me stesso” con la sua “audacia impossibile” (p. 13). Ma è una contesa, in cui anche se “ritorna la piuma improvvisa nel ricordo” (p.14), i conti alla fine “imprimono coltelli alla mia mente” (p.15). Così, i ricordi diventano Croce senza delizia e “il sangue si colora al nero”, senza più “l’arsura” che “mordeva e non si placa” (p.24).

Il cantore irredento di tali Attimi, poesia che chiude la prima sezione, mette tuttavia il suo timbro incancellabile: “La carne era l’attimo sublime/ che interrompeva i ricordi” (p. 40). Un verso che è un grande magistero: la verità, la necessità e la liberazione della petit mort irride alla Morte, e nel suo palpito che annulla per un attimo il bisogno opposto della memoria, dona pace, unità e rinascita alla totalità del Sé.

La seconda sezione del libro, procede su tale linea di tenzone con la memoria. Il titolo è infatti, SVESTIRE LE MEMORIE. Il ricordo, i ricordi, ora dilagano nel silenzio che parla e si fa memoria, memorie da svestire, se devono donare un po’ di verità e non glassa illusoria alla intelligenza del cuore, franta e affranta. Per cui “I lunghi violini d’autunno dalla voce falsa” (p.43) vanno denudati. Dare forma a tale coraggio è presupposto di senso, conoscenza e poesia, se appunto non si riduce a ghirigoro sonoro. È l’impegno e la necessità antropologica che innerva la musica di Antonio Spagnuolo.

Ecco dunque la serie di testi che rispondono a tale dettato “che inghiotte le illusioni” (p. 45), “e sono qui a scrivere sciocchezze/ per una fanciulla nuda inesistente” (p.53). “Non è più questa la stanza scolpita nella memoria” (p.58), in cui “Vagavi delicata tra le foglie d’autunno/ e tra le labbra i petali di rose,/…l’incendio della carne” (p.59). “L’impazienza è un capitolo chiuso” (p.62), “annegando pigramente nel presagio/ di spirali che riverbera,,,/…esplosione di preghiere” (p.63).

Ecco, “nei giorni che nascondono vecchiezza/ declino il calendario per sottrarre pensieri” nel “turbinio di novembre…tra la brezza che imporpora la sera.” (p.71); “nel naufragio del mio dormiveglia/…/ Non più rintraccio incastonando strofe” il desiderio di un “cigno frettoloso” (p.72). Così occorre, e a suo modo soccorre, un altro registro: un NUOVO REGISTRO, titolo della sezione finale – da p. 73 a 91 – che si fa forma di musica (quasi) in prosa. Un registro in effetti più adatto a un impietoso canto delle disillusioni.

Eppure, la musica, la vita, resistono in versi che si fanno solo più lunghi, quasi a volersi schermire ma non arrese. Corredate qui in testi che acciuffano quasi inaspettati, ironia e sussulti di capacità di sbeffeggiare morte e modernità che la culla, “declinando le ottave in assenze/ assolute, e rincorro le ondate della borsa che chiude a/ Tokio con il memo uno e trentotto, mentre Milano non/ riesce a decifrare il suo flusso…”.

Intanto “Dio senza tregua mi riporta ogni notte disastrato un/ incubo a colori” (p. 80), ma “Ecco le mie mani ancora giunte in preghiera assurda per/ quell’enigma che il mondo offre ogni giorno”. Ma ecco il lampo: “La vita è fuori dalla storia” (p.87), se “Corrode il giorno le vie dell’errore, e poco rimane da/ comprendere se si esaurisce il tempo” (p.89).

Il libro si chiude con un testo che è come un lascito intenso, lucido e commovente; “Un Dio molto complicato mi ha concesso in comodato/ gratuito ossa e carne per un corpo che avesse le facoltà/ ben note di pensare, immaginare, amare, procreare, e combattere contro il prossimo ad ogni istante…Ora credo di/ essere giunto al traguardo… nello stupore di un fremito che/ cerca ancora di aggrapparsi alla vita” (p.91)

Settembre 2019

Adam Vaccaro

 

Info:

ChiAmaMilano – Via Laghetto 2, www.chiamamilano.itnegozio@chiamamilano.it, T. 0276394142

Associazione Culturale Milanocosa – www.milanocosa.itinfo@milanocosa.it – T. 3477104584

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