LE STANZE DEL POTERE
Tre sogni delle Massime Autorità: la Mafia, la TV, il Pontefice Massimo.
LE STANZE DELLA MAFIA
Vivevo a casa di Riina, il Capo della Mafia.
Riina era un uomo gentile e cordiale ma di poche parole.
Sua moglie era stata molto ospitale con me.
Passavo molto tempo a passare da una stanza a un’altra stanza di un grande palazzo. Era un palazzo di calcestruzzo, immerso nei cespugli. Un vasto seminterrato di cui penso di aver visitato solo una piccola parte. E pure ogni giorno ne visitavo un nuovo settore.
Era costituito di stanze di solito piccole. Niente di particolare: soggiorni, bagni, cucine. Tutte rifornite di tutti i confort: frigoriferi, televisori, impianti termali.
Un giorno giungemmo davanti alla porta di una stanza dove Riina mi disse: «qui no. Meglio non entrare, potrebbe essere pericoloso per tutti». E lì non entrammo. Non feci nessuna domanda. Riina sorrise e mi chiese se conoscevo il siciliano. Gli risposi di no. «È un peccato, un vero peccato!», mi disse. «Me lo insegni Lei!». «Lo farei volentieri, ma il tempo a mia disposizione sta per scadere». Di fronte al mio stupore, aggiunse: «non si preoccupi. Mia moglie glielo potrà imparare, solo sapendo il siciliano si possono capire certe cose e lei è brava, ha fatto la maestra». «Grazie, Signor Riina, grazie».
LE STANZE DELLA TELEVISIONE
Mi aspettava sulla soglia, sorridente.
Mi condusse in un appartamento dai soffitti bassi e dalle stanze piccole, quasi una casa di bambole.
Nella prima stanza, più grande delle altre stanze, c’erano cucù dappertutto, appesi alle pareti, su tavoli e tavolini, di tutte le fogge e colori. Si sentivano carillon, fischietti, campanellini, che suonavano insieme: «QUESTA È LA STANZA DEL FALEGNAME!» mi urlò per farsi capire in quel frastuono. Qui si montano orologi e burattini. «COME?» chiesi. «SI METTONO GLI OROLOGI NEI BURATTINI». Eh sì, era come la stanza di Mastro Geppetto nel Pinocchio di Walt Disney. «MASTRO GEPPETTO DOV’È?» chiesi, ma Lui era già altrove…
Eravamo in una stanza bassa, vuota. Non c’era dentro neppure una sedia. Regnava il silenzio. «Questa è la stanza del potere. Qui…» mi disse sottovoce, sorridendo. Ma come? Non c’è niente, non c’è nessuno. «Il potere, quello vero, è vuoto». Ed era già oltre.
Eravamo in una stanza minuscola, con un televisorino, forse acceso forse spento, per terra. Lo schermo era privo di qualunque immagine. «Questa è la stanza dei bottoni», mi disse ridendo. Ma come… manca il pulsante… non c’è neanche un bottone per accendere e spegnere la tv. «Il potere, quello vero, è anteriore e posteriore a qualunque immagine. È una forma vuota». Quale… forma? «qualunque… ah ah ah». Rideva. E mi portò per mano in una grande stanza, luminosa, foderata di specchi. Le immagini di noi si prolungavano sempre più piccole, lungo una curva infinita. «Questa è la stanza del popolo», mi suggerì. Ma se ci siamo solo noi, io e Lei, dov’è il popolo? «Il popolo non esiste. Sei te, sono io, sono io, sei te… e chi se ne frega». Come… e chi se ne frega? Che cosa vuol dire? «Vuol dire e chi se ne frega». Questa volta non rideva, era serio, molto serio, sempre più serio. «C’è bisogno, per caso, di spiegare che cosa vuol dire albero, cane, vizio?»
Ed eravamo già oltre, in un corridoio semi-buio. Un finestrino quadrato si affacciava su di un giardino: «questo è il giardino del potere». Ma se non c’è nulla dentro? «Il potere è uno spazio per camminare, ecco che cos’è». Ma che gusto c’è? «Nessun gusto». Piangeva. Eh… allora? Perché non se ne va? «Perché sono stanco», mi rispose Berlusconi, singhiozzando «restarsene… andare. Che cosa devo fare? Aspetto».
LA STANZA DI DIO
«Non abbia timore!».
Il papa mi faceva andare avanti, Lui dietro, «camini, non si preoccupi», «ma non si vede niente» dicevo, «non dica ma e vata avanti» mi rispose a bassa voce il papa.
Camminavo al buio, non c’era una luce.
Eravamo in una stanza, ma non si vedeva né il soffitto né le pareti né il pavimento.
«Su che cosa camminiamo, scusi?»
«Non dica scusi e camini», diceva il papa a bassissima voce e io camminavo, camminavo…
Venne l’alba, ma non si capiva da dove venisse, era dappertutto.
«E il soffitto? Io mi aspettavo gli stucchi, i dorati infissi, gli affreschi…»
«Non dica io mi aspetavo, sopratuto non dica io» sussurrava la voce del papa alle mie spalle.
«come?»
«Io…»
«Va bene… ma gli angeli… i beati» dicevo a voce bassa, sempre più bassa.
«Non dica va pene. Niente va pene. Niente», bisbigliava il papa.
«eh allora… va tutto male?»
«non dica eh alora» pronunciò in un soffio.
«non dico più niente ma… dio»
«TIO?» gridò la voce del papa.
«Sììì… Dio».
Il papa si mise a urlare: TIO TIOOO. TIO MIO! Che c’è da urlare?
«Tio mio – disse Benedetto XV – Tio è invisibile. Tio lontano, molto lontano, in alto. Stucchi, affreschi, angeli… TIO, ci sono, certo che ci sono. Sono in alto, molto in alto. Da qui non si vetono».
«E… il diavolo allora, dove lo mettiamo?»
«Anche il diavolo. Il diavolo è ai nostri piedi, in basso» e si mise a ridere, sempre più: «AH AH AH! Lui più vicino! Sotto, non sopra! Più vicino! Sotto piedi! UH UH UH! IH IH IH!»
[…] Rinaldo Caddeo è nato il 7-10-52 a Milano, dove fa l’insegnante in un istituto tecnico della città. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie (Le fionde del gioco e del vuoto, Narciso, Calendario di sabbia, Dialogo con l’ombra), una raccolta di racconti (La lingua del camaleonte) e una di aforismi (Etimologie del caos). Ha inoltre pubblicato Siren’s Song, selected poetry and prose 1989-2009, una raccolta antologica di testi in italiano con testo a fronte in inglese. Ha pubblicato saggi critici, recensioni, racconti, aforismi, traduzioni e poesie su diverse riviste (Anterem, Atelier, Hebenon, kamen’, La Clessidra, il rosso e il nero, Il segnale, Odissea, Poesia, Poeti e Poesia, Testo a fronte, Testuale, il verri). È redattore della rivista milanese La mosca e socio di Milanocosa dal 2001. […]