TESTUALE
Il periodico “Testuale, critica della poesia contemporanea” è stato fondato fra il 1983 e il 1984 da Giuliano Gramigna, Gilberto Finzi e da me, e fin dal primo numero ha goduto della collaborazione dei critici più prestigiosi italiani e stranieri. Ha compiuto quindi i 25 anni di attività. E’ in forma di volume e sovente è accompagnato da Monografie e Quaderni. Non pubblica poesie, salvo rarissime eccezioni, se non nel contesto dei saggi critici.
Il volume n.46 è alla stampa e uscirà entro fine marzo: qui possiamo anticiparvi il Sommario e per chi voglia trovarlo integralmente riprodotto e scaricabile, unitamente ai numeri più recenti e ai sommari a partire dal n.1, potrà visitare il sito www.testualecritica.it
Il n.47 è già in lavorazione.
Perché nel lontano 1983 il periodico è stato fondato? Per contrastare un vizio (ancora oggi per lo più diffuso) della critica giornalistica e non poche volte anche della critica professionale: il vizio facile e superficiale di ‘commentare’ la più recente poesia con scorretti strumenti (per la poesia) ricavati dal più banale biografismo, psicologismo, storicismo contingente.
Ritenemmo che valesse lo sforzo di avvicinarsi alla poesia nuovissima con quel criterio più specialistico che caratterizza la critica dei classici: vale a dire una più stretta visitazione del testo. Il testo inteso come forma fondante (e non certo formalismo) dello specifico poesia.
Certamente, ne fummo e ne siamo coscienti, la poesia ha pure i suoi temi (volgarmente definiti contenuti): amore, rivolta, memoria, sogno, vita, morte, e così via… Sono sempre le stesse tematiche dai presocratici e dai lirici greci in poi e proprio per questo, crediamo, hanno a che vedere genericamente anche con la poesia ma non sono la poesia nel suo specifico. Hanno a che vedere più coerentemente con la filosofia, con la psicologia, con la sociologia, ecc., ma non con la poesia, appunto, letta nel suo specifico. La poesia può risalire a un pre-testo ma per quella ambiguità del segno che la qualifica fondativamente, troverà solo nella rivoluzione del linguaggio, e nella sua inutilità rispetto al linguaggio prammatico – ancorché oltre che utilitaristico sia filosofico o sociologico o simili – la propria ragione d’essere. Le caduche e contraddittorie ragioni della prassi, a nostro parere, mai possono valere per la poesia e per l’arte e per la musica, quali loro giustificazioni – sono, a nostro avviso, espressioni di un altro mondo rispetto alla nullità, nel tempo, del mondo contingente.
Certamente questa convinzione giustifica una particolare difficoltà per il lettore nel cogliere il senso profondo della poesia e della critica della poesia. Ma la poesia, se poesia è non discorso comunemente prammatico, non può comunque non essere difficile. Per penetrare un testo poetico la sensibilità deve essere accompagnata dalla conoscenza, dalla pazienza, dallo spirito d’avventura di chi ama affrontare l’ignoto.
E’ il lavorìo sul linguaggio che apre le porte all’ignoto. Dell’origine e dell’avvenire sempre incerto. E alla metamorfosi perpetua della forma. La forma fluens.
A “Testuale”, come ad altre riviste più o meno specialistiche, e alla critica in generale si rimprovera una ‘difficoltà di lettura’. Avanziamo una osservazione ovvia e banale: chi penserebbe mai di comprendere facilmente una ricerca sulla biologia o sulla fisica, o altro, senza conoscenza, curiosità, studio? Le canzonette, che sovente sono fatte passare per poesia, sono facilmente comprensibili e, appunto, malamente cantabili. La poesia è un’altra cosa. E’ la Cosa (per dirla con la Kristeva).
Gio Ferri
Due poesie da “Fecondazioni”, Book ed., Castel Maggiore, 1996
a Andrea Zanzotto
da “Idioma” *
al sibilo lamento
ora s’oppone aerato
movimento di trillo *
al margine dei rischi
geometriche tangenti
e nuove brezze aulenti
s’arresta orora il senso
in sensuati e artati
terzi dìnami e solerti
quei battiti inserti
quanto fallose màntriche
cèdule disillusioni
lasciano ai tattili suoni
astuti
concrezioni
vivide e sensitive
forme aggettive
a Giacomo Leopardi
da “Il passero solitario” *
così da incanti infine dagli ànimi
paiono le irrisorse rivolte al fare
ma sono tanti i lustri e le calure
anco irrimorse e per quanti rilasciate
in vanto che allor solo lieve sembiante
indugio in altro tempo e intanto il guardo *
ai carmina incompiuti speranza càrnea
in che rieda e m’aiuti trovar me e i liuti
altro non dà orora che in levare
l’in sensato parlare sensi innervati
e la cosa simula di sé anìmula
e le tracce in cantate spirano lande
scure beltà s’inspirano in segni
quando in segnate ora infioran l’amande